Jump to content

In difesa di Francesco Mattesini


Recommended Posts

Su facebook un tale Antonio Lombardo si esibisce in contumelie e farneticazioni contro il nostro Francesco Mattesini, uno degli storici aeronavali piu' seri e documentati che abbiamo la fortuna di possedere. Il suo unico difetto e' quello di non cercar di riscrivere la storia al servizio di quella che per usare un eufemismo chiamero' la moda revisionista, di non lasciarsi guidare dall'ideologia, cioe' da un malinteso patriottismo/nazionalismo (per non dir peggio). Mattesini insomma ricostruisce gli eventi della seconda guerra mondiale sulla base di una consultazione accurata ed esaustiva dei documenti, italiani ed esteri, e non andando alla ricerca dei modi per smascherare la "perfidia Albione" , che secondo una certa risibile vulgata ricorrente avrebbe in realta' perso la guerra contro la Regia Marina (solo che gli inglesi non se ne erano mai accorti, come diceva ironicamente un altro noto storico navale italiano).

A Mattesini vanno la solidarietà e l'affetto dell'AIDMEN tutta.

 

Francesco De Domenico, presidente AIDMEN

Link to comment
Share on other sites

Ancora dalla minuta del mio libro sulla Battaglia di Capo Matapan:

 

CAPITOLO N. 20

 

I MOVIMENTI NOTTURNI DELLA “MEDITERRANEAN FLEET” E

 L’AGGUATO DI CAPO MATAPAN

 

         Mentre la 1^ Divisione Navale dirigeva verso il Pola, l’ammiraglio Iachino, si preoccupò di non lasciare l’indomani senza effettiva protezione le sue navi in rotta di rientro alle basi metropolitane. Alle 20.37 del 28 marzo compilò un telecifrato per Supermarina che, per non congestionare la stazione radio della Vittorio Veneto, fu trasmesso tramite il Trieste alle 21.35 ; con esso il Comandante in Capo della Squadra Navale richiedeva per la corazzata e per le unità della 3^ Divisione l’intervento degli aerei da caccia a partire dall’alba sul punto situato a 60 miglia per 140° da Capo Colonne (vedi Documento n. 118).

         Alle 21.56 la medesima richiesta di appoggio fu trasmessa anche per la 1^ Divisione nella posizione in cui doveva trovarsi il Pola, calcolata a 92 miglia per 231° da Capo Matapan, la punta estrema meridionale della Grecia, nella penisola del Peloponneso.

         Infine, alle 22.20 (vedi Documento n. 119) l’ammiraglio Iachino richiese a Supermarina di voler provvedere a far salpare la 10^ Squadriglia Cacciatorpediniere da Messina, ove era stata tenuta pronta a muovere, per raggiungere la zona in cui si trovava l’incrociatore danneggiato, oppure quella che la 1^ Divisione le avrebbe successivamente indicato. L’ordine fu impartito da Supermarina per telefono alle 23.30 (vedi Documento n. 121).

Nel frattempo, alle 22.00 circa, a bordo della Vittorio Veneto fu notata per qualche secondo una luce, ritenuta l’accensione di un proiettore, molto lontano verso nord-nordest, che l’ammiraglio Iachino ritenne appartenere al gruppo dei tre cacciatorpediniere nemici usciti dallo Stretto di Cerigotto, con rotta verso ponente probabilmente per attaccare la sua corazzata, che in quel momento si trovava già oltre 40 miglia a nordovest dal Pola. Poi alle 22.25 fu intercettato dalla Vittorio Veneto il segnale radiotelegrafico trasmesso da una unità navale nemica, con sigla HS, che segnalava ad una unità  con sigla UF: “J-300=6”. Segnale che decrittato dopo qualche giorno a Roma, aveva il significato “Apparati r.t. indicano che unità di superficie si avvicinano alla flotta sul rilevamento 300° e a distanza di  6 miglia - 2121/28/3”.

 

         Infine, alle 22.30 apparvero di poppa, verso levante, vampe d’artiglieria di grosso calibro e bagliori di illuminanti e ciò dette l’impressione che il combattimento si svolgesse nelle vicinanze, mentre in realtà esso si verificava a 30 miglia di distanza.

         Vedendo le sagome delle unità della 3^ Divisione, che seguivano la Vittorio Veneto, profilarsi  nettamente sui  bagliori, l’ammiraglio Iachino  chiese  al  Trieste e allo Zara se erano attaccati. Il primo incrociatore rispose negativamente mentre dal secondo non arrivò nessun segnale. Una volta che furono cessati i bagliori, verso la mezzanotte,  il   Comandante   in   Capo   della  Squadra   Navale  fece   trasmettere  a Supermarina il seguente messaggio (vedi Documento n. 125) :

 

         “VITTORIO VENETO per SQUADRA - 33876 (alt) Prima Divisione mentre trovavasi ore 2230 presso POLA per assistenza è stata lungamente impegnata con forze nemiche (alt) Non ho notizie perché non risponde alle chiamate R.T. - 223728”.

 

***

 

         Fino al tramonto i quattro incrociatori della Forza B dell’ammiraglio Pridham-Wippell (Orion, Ajax, Perth, Gloucester) avevano navigato alla velocità di trenta nodi verso occidente con l’intenzione di prendere contatto visivo con la flotta italiana, e a partire dalle ore 19.07 erano stati allargati in linea di rilevamento alla distanza di 7 miglia l’uno dall’altra per ridurre le possibilità di lasciarsi sfuggire il nemico nell’oscurità.

         Sette minuti più tardi, alle 19,14, furono avvistate di prora, contro le ultime luci del crepuscolo, tre o quattro navi che vennero scambiate per incrociatori italiani. Ritenendo che appartenessero ad una divisione incaricata di effettuare una puntata tendente ad allontanare la Forza B, l’ammiraglio Pridham-Wippell ritenne necessario di riunire i propri incrociatori per affrontare le navi italiane, ordine che impartì alle 19.25, subito dopo averne informato il Comandante in Capo. 

         L’ammiraglio Cunningham considerò nella sua relazione la decisione di Pridham-Wippel “opportuna”, ma poi lamentò che da essa sarebbero derivate delle circostanze sfavorevoli nel corso delle successive manovre per riprendere il contatto con le navi italiane.

         Subito dopo aver assunto la formazione in linea di fila per prepararsi ad un combattimento   imminente,  alle  19.32  la   Forza  B  accostò  per  320°.  Alle  19.35, trovandosi ad una distanza stimata di 12 miglia dalle navi italiane, ne fu distintamente scorta la reazione contraerea contro l’attacco degli aerosiluranti britannici sferrato al crepuscolo. “Il cielo era pieno di scie di proietti traccianti di vari colori - scrisse Pridham-Wippel - e devono essere stati degli uomini ben valorosi quelli che son passati in mezzo ad un tale fuoco per mettere a segno i loro siluri”.

         Alle 19.45 il fuoco di sbarramento delle navi italiane cessò, e il Comandante della Forza B, avendo constatato che le unità nemiche si trovavano riunite in gran numero in formazione serrata, decise di farsi sotto, per serrare la distanza, riducendo nel contempo la velocità dei suoi incrociatori a venti nodi allo scopo di “ridurre l’onda di prora”.

         Nondimeno, poiché la diminuzione di velocità degli incrociatori inglesi a venti nodi si verificò, dopo che era stata assunta la rotta 290°, quasi contemporaneamente ad un aumento della velocità della Vittorio Veneto da quindici a diciannove nodi, le navi di Pridham-Wippell non poterono guadagnare gran che sulle unità nemiche, che pure continuavano a trovarsi a non più di dodici miglia di distanza verso nord-ovest. Ma alle 20.25, mentre la nave ammiraglia Orion accostava per 310°, forse ritenendo quella direttrice di marcia la più diretta verso il porto di Taranto, il suo apparato radar, di tipo molto vecchio e capace di esplorare solo in direzione della prora, ottenne un contatto, percependo la presenza di una nave alla distanza di 6 miglia.  Nello stesso tempo il Gloucester avvistava, sempre di prora a dritta “qualcosa di oscuro e basso sull’acqua” alla distanza di circa un miglio, ma sul momento non lo segnalò all’Orion.

         Quest’ultimo ordinò di ridurre la velocità della Forza B a quindici nodi , e per diciotto minuti tenne quel rilevamento sotto controllo constatando trattarsi di una nave isolata, ritenuta “più grande di qualsiasi incrociatore”, che appariva “ferma o a lento moto” ; elementi che furono confermati per radio anche dall’Ajax, che disponeva del più efficiente apparato radar tipo 279.

         “Per le 20.33 - ha scritto Pridhem-Wippel - l’ORION era a meno di tre miglia e mezzo da detta nave, che allora, a causa delle sue dimensioni, credevo essere la nave da battaglia colpita. Essa non era ancora visibile”.

         Ma che potesse trattarsi della Vittorio Veneto non era poi del tutto certo ; se lo era, sostenne il Comandante della Forza B, “essa era sistemata” ; e se  non lo era, bi-sognava riprendere  il contatto” con quella  corazzata. Ragion  per cui egli decise di aggirare da settentrione quello scafo immobile, mantenendosi fuori vista, ed aumentando la velocità a venti nodi, lasciò il compito di finire quel primo bersaglio ai cacciatorpediniere delle tre flottiglie del capitano di vascello Mack, due delle quali, la 14^ e  la  2^, con  lo  stesso  comandante  delle  siluranti, come  vedremo, avevano  nel frattempo sopravanzato la squadra da battaglia.

         Ricordiamo che l’ammiraglio Cunningham aveva due possibilità per cercare di prendere contatto con la Vittorio Veneto. O rischiare la sua squadra da battaglia in un’azione  notturna  contro un  complesso nemico  fortemente  fornito di  incrociatori e cacciatorpediniere, o attendere l’alba per impegnare le navi italiane ad occidente delle coste del Peloponneso, in una zona ove egli poteva essere attaccato pesantemente da bombardieri in picchiata tedeschi basati in Sicilia.

         Dopo aver ricevuto anche la notizia che gli aerosiluranti avevano comunicato di aver messo probabili colpi a segno sulle navi italiane nel corso dell’attacco crepuscolare, senza però poter precisare se la corazzata tipo “Littorio” fosse stata nuovamente colpita, l’ammiraglio Cunningham dovette ben ponderare le sue future mosse, e su questa tormentata decisione ha lasciato la seguente testimonianza:

 

         “Era venuto il difficile momento di decidere che cosa fare. Io ero ben convinto che, dopo esserci spinti tanto lontani, sarebbe stato sciocco non fare ogni sforzo per completare la distruzione del VITTORIO VENETO. Al tempo stesso ci pareva che l’ammiraglio italiano dovesse essere ben informato sulla nostra posizione. Egli aveva seco numerosi incrociatori e cacciatorpediniere, e qualsiasi ammiraglio inglese che si fosse trovato al suo posto non avrebbe esitato a impiegare tutti i cacciatorpediniere, appoggiati da tutti gli incrociatori armati con lanciasiluri, per andare all’attacco della flotta che lo inseguiva. Qualche ufficiale del mio stato maggiore mi fece notare che era poco prudente per noi tallonare ciecamente il nemico in ritirata con le nostre tre grosse unità, e anche con la FORMIDABLE, correndo il rischio che le nostre navi venissero danneggiate e ci trovassimo quindi il mattino seguente alla mercè dei bombardieri in picchiata nemici. Considerai con tutto il rispetto questa osservazione ma, dato che la discussione coincideva con la mia ora di cena, dissi che prima avrei pranzato e poi riesaminato la questione.

         Quando tornai in plancia ero euforico e ordinai alla forza d’attacco di cacciatorpediniere di dirigere verso il nemico. Continuammo regolarmente la marcia per inseguire il nemico, e avevamo qualche dubbio sul modo col quale se la sarebbero cavata i quattro cacciatorpediniere rimasti con la flotta da battaglia se i cacciatorpediniere italiani fossero venuti all’attacco. In quel momento si stimava che la flotta nemica fosse a 33 miglia a proravia e navigasse a 15 buoni nodi”.

 

         Quindi a differenza di quanto pensava l’ammiraglio Iachino, il quale riteneva che il nemico non avrebbe spinto le sue navi da battaglia in avanti con il rischio di trovarle poi impegnate in una possibile mischia notturna, il Comandante in Capo della Mediterranean Fleet, non volendo lasciarsi sfuggire la preda rappresentata dalla distruzione della Vittorio Veneto, agì nel modo più audace. Dopo aver ricevuto il segnale dell’Ajax, riferito alla posizione del Pola,  alle 20.37 comunicò al capitano di vascello Philip Mack, del Jervis, il seguente segnale esecutivo:

 

         “IMMEDIATO - 14^ e 2^ Flottiglia Cacciatorpediniere da Comandante in Capo, Le flottiglie attacchino con siluro la Squadra da battaglia nemica. Rilevamento stimato e distanza centro squadra nemica da ammiraglio 286°, 33 miglia alle 20.30. Rotta e velocità nemico 295°, 13 nodi”.

 

         Con questa decisione che risultava errata nella rotta e nella velocità attribuita alla flotta italiana, l’ammiraglio Cunningham, si assumeva consapevolmente anche una grave responsabilità, poiché lasciava come schermo alla sua flotta da battaglia, nel caso gli italiani avessero tentato contro di essa un attacco notturno, soltanto i quattro cacciatorpediniere della 10^ Flottiglia.  Si trattava del Greyhound, del Griffin, dello Stuart e dell’Havock, che per l’anzianità e le condizioni di logorio il capitano di fregata Geoffrey Barnard, capo servizio artiglieria della Mediterranean Fleet, classificò, in modo ironico come “il vecchio, lo zoppo, lo storpio e il cieco”.

         Ricevuto l’ordine di attaccare la Squadra italiana i quattro cacciatorpediniere della 14^ Flottiglia Jervis (capitano di vascello Mack), Janus, Mohawk e Nubian, e i quattro cacciatorpediniere della 2^ Flottiglia Ilex (capitano di vascello Nicholson), Hasty, Hotspur Hereward, avanzarono aumentando la velocità a ventotto nodi. Essi assunsero formazione in linea di fila, ripartita su due colonne distanti tra di loro circa centocinquanta metri, e diressero per 300° ; rotta che a priori era errata per la ricerca della Vittorio Veneto, in quanto alle 20.48, la corazzata italiana e la sua scorta, la cui distanza dalla flotta britannica era maggiore di 9 miglia rispetto a quanto stimato dall’ammiraglio Cunningham (33 miglia), ricevette dall’ammiraglio Iachino l’ordine di dirigere per 323° ad una velocità effettiva di diciannove nodi. Velocità, non dimentichiamolo, pur sempre aumentabile, in caso di necessità, a venticinque nodi mettendo in funzione il terzo asse della Vittorio Veneto.

         Successivamente, alle ore 21.00 il Comandante in Capo  britannico fu  informato della presenza di una grossa “nave ferma” scoperta e segnalata dall’Orion in lat. 35°16’N, long. 21°04’E.. Messa la posizione sulla carta, l’ammiraglio Cunningham stimò che, procedendo con rotta costante 300° e con velocità che era stata diminuita a venti nodi, le sue unità da battaglia avrebbero impiegato circa un’ora per raggiungere la posizione in cui si trovava la nave nemica, distante 20 miglia.

         Pertanto, alle 21.11 egli fece accostare le sue navi per 280°, manovrando per contromarcia, così da mantenere la linea di fila. Quattro minuti più tardi segnalò ai cacciatorpediniere di scorta della 10^ squadriglia che intendeva dirigere per passare sul lato sinistro della flotta nemica con l’intenzione di attaccarla di prora.

         Nel frattempo, dal momento che la rotta dei cacciatorpediniere delle squadriglie del comandante Mack convergeva con quella degli incrociatori della Forza B, il viceammiraglio Pridham-Wippell fu costretto a trattenersi dallo spiegare le proprie unità a rastrello per allargare la direttrice di ricerca delle navi italiane. Alle 22.00, come era stato comunicato, i cacciatorpediniere della 14^ e della 2^ Flottiglia accostarono per 285° per raggiungere la posizione di inizio attacco che, secondo quanto stabilito da Cunningham, il comandante Mack si riproponeva di condurre in modo nelsoniano, dividendo le forze per portare entrambe le flottiglie ad incunearsi tra le due colonne degli incrociatori italiani e la danneggiata nave da battaglia, in modo da causare al nemico il maggior scompiglio e i maggiori danni.

         Il Capitano di fregata Walter Scott, comandante in seconda del Jervis, scrisse:

 

         “I cacciatorpediniere furono irradiati a rastrello, la velocità aumentata fino a 28 nodi circa e la rotta stabilita per intercettare”. Il quadro presentato dal carteggio sul JERVIS mostra la corazzata molte miglia a proravia, che dirigeva per nord-ovest a circa 12 nodi, affiancata da due incrociatori a 900 metri su ogni lato e da 2 cacciatorpediniere, ad altri 900 da ogni lato. L’intenzione del Comandante Mack era di aggirarli verso prora e quindi, dividendo in due le proprie forze, scendere con rotta opposta facendo passare ogni Squadriglia tra la corazzata e gli incrociatori a una distanza di 450 metri da ogni lato. Si sperava, con ciò, di confondere il nemico che avrebbe così potuto far fuoco sulle proprie unità. Era un piano audace e in accordo col risaputo punto di vista del Comandante in Capo secondo il quale tanto più si veniva alle strette col nemico meglio era. E’ difficile immaginare quale sarebbe stato il risultato se si fosse riusciti a stabilire il contatto, ma certamente sarebbe stato un combattimento breve e assai aspro”.

 

         L’intendimento del capitano  di vascello Mack  era  notevolmente  apprezzabile dal punto di vista combattivo. Tuttavia occorre dire che l’attacco non avrebbe potuto svolgersi nel modo stimato dal Comandante dei cacciatorpediniere britannici, dal momento che egli conduceva la navigazione basandosi su propri calcoli, ricavati dalle istruzioni ricevute dalla Warspite ed ignorava del tutto il cambiamento di rotta per 323°, ordinato dall’ammiraglio Iachino alle sue navi. Inoltre la squadra italiana aveva nel frattempo assunto una nuova formazione notturna molto allungata, che non corrispondeva più a quella molto raggruppata che gli aerei britannici avevano potuto osservare e segnalare per l’ultima volta al tramonto del sole. Ne conseguiva che, con l’invio della 1^ Divisione Navale in soccorso del Pola, la Vittorio Veneto e i tre incrociatori della 3^ Divisione avevano assunto una formazione in linea di fila, attorniata da sette cacciatorpediniere che vigilavano su ogni lato.

         Questo dispositivo avrebbe costretto le unità del comandante Mack ad attuare un attacco frontale, i cui risultati positivi, se conseguiti sfruttando l’arma della sorpresa, potevano risultare inferiori a quelli desiderati, dal momento che gli era venuta a mancare la possibilità di incuneare i suoi cacciatorpediniere tra più bersagli per colpirli con fasci di siluri.

         Tuttavia il comandante dei cacciatorpediniere britannici, non era disposto a mollare la preda, tanto più che alle 22.38 egli ricevette dall’ammiraglio Cunningham il seguente tassativo ordine.

 

“A : 2^ e 14^ Flottiglia Cacciatorpediniere

Da Comandante in Capo

        

         Le flottiglie in indirizzo attacchino la nave da battaglia nemica con i siluri. Direzione stimata della nave da battaglia nemica 286° distanza 33 miglia.

        

                                                                           2238 28/3/41”

 

***

 

         Alle 22.03, dirigendo verso la posizione del Pola, la corazzata Valiant rilevò sullo schermo del suo apparato radar tipo 279 una nave ferma di grandi dimensioni, che fu apprezzata misurasse non meno di 150 metri di lunghezza e che si trovava sul rilevamento 244° ; ossia sulla sinistra della squadra da battaglia britannica, ad una distanza di 6 miglia.

         La notizia dell’avvistamento radar, subito trasmessa dalla Valiant, giunse sette minuti  più  tardi  alla  Warspite, che  era  priva di  quell’apparato  di  rilevamento ; ed immediatamente l’ammiraglio Cunningham, illudendosi che si trattasse della Vittorio Veneto e volendo “vederci chiaro”, invece di accostare in fuori, come gli fu consigliato dagli ufficiali del suo stato maggiore, alle 22.13 ordinò alla squadra da battaglia rotta 240° ad un tempo. Con questa decisione, portando le unità in linea di rilevamento verso l’avvistamento sospetto, l’ammiraglio Cunningham effettuò una manovra non prevista nei manuali inglesi per il combattimento notturno, dal momento che in tali condizioni esisteva il pericolo di essere sorpresi da attacchi insidiosi sviluppati da cacciatorpediniere, i quali, non era da escludere, potevano trovarsi nelle vicinanze della grande nave scoperta dalla Valiant.

         Nel frattempo, alle 21.15, l’incrociatore Ajax trasmise di aver stabilito un altro contatto radar con “tre navi non identificate, rilevamento tra 190° e 252°, distanza 5 miglia dalla posizione 35°19’N, 21°15’E” (20). Ma il capitano di vascello Mack, che si trovava nelle vicinanze con unità prive di radiolocalizzatore, fatto il punto sulla carta e constatato che la posizione segnalata dall’Ajax corrispondeva a circa 4 miglia di prora alla posizione tenuta dai suoi cacciatorpediniere alle 20.55, ritenne si trattasse di navi appartenenti alle sue due squadriglie, e lo segnalò per mezzo della radio.

         Intercettando lo scambio delle trasmissioni di messaggi tra il Jervis e l’Ajax, l’ammiraglio Pridham-Wippell giunse alle stesse conclusioni del comandante Mack, e per allontanarsi dai cacciatorpediniere della forza d’attacco, alle 22.02 fece accostare gli incrociatori della Forza B per 340°, assumendo una rotta ritenuta la più adatta per intercettare le unità navali italiane che intendessero dirigere verso Messina.

         Invece, per uno dei tantissimi errori di quella notte piuttosto oscura, a causa della mancanza di luna e della presenza di qualche nuvola che rendeva la visibilità molto scarsa, specialmente verso levante, si trattava delle unità della 1^ Divisione Navale in rotta per soccorrere il Pola.  Esse, fatalmente, superano indisturbate ed ignare quella prima insidia di navi britanniche passando, con rotta inversa, a sud degli incrociatori dell’ammiraglio Pridham-Wippell e a una distanza di 10 miglia dalla posizione più avanzata tenuta dai cacciatorpediniere del comandante Mack.

         E’ probabile che un attacco immediato di queste due formazioni navali britanniche, seguito alla segnalazione dell’Ajax, avrebbe potuto causare gravi danni alle navi italiane, ma non certamente nella proporzione di quelli che poi sarebbero stati inferti dal tiro delle corazzate di Cunningham. Queste ultime ebbero anch’esse la possibilità di mettere in allarme le unità della 1^ Divisione Navale aprendo il fuoco sull’immobilizzato Pola, ma questa eventualità, come vedremo, purtroppo non si verificò.

         Per di più anche il Pola, avendo scorto a circa 3.000 metri di distanza delle ombre scure, ebbe la possibilità di dare l’allarme, ma non lo fece perché il comandante dell’incrociatore,  capitano  di   vascello  De  Pisa, essendo  a  conoscenza  che   la  1^ Divisione accorreva in aiuto alla sua nave, ritenne che le unità avvistate appartenessero alla formazione amica. Egli indicò la propria posizione prima con una lampada da segnalazione Donath e poi con un razzo very rosso. Le segnalazioni del Pola furono viste dalla squadra da battaglia di Cunningham, ed alle 22.29, su rilevamento 40°, distintamente anche dall’unità della 1^ Divisione Navale che continuò ad avanzare verso un fatale appuntamento, dal momento che le luci avvistate furono interpretate, giustamente, come segnali provenienti dal Pola.

         Nel frattempo i cacciatorpediniere dello schermo situati sulla sinistra della squadra da battaglia britannica, il Greyhound e il Griffin, avevano ricevuto l’ordine di portarsi sulla dritta, ove già si trovavano gli altri due cacciatorpediniere della 10^ Flottiglia, lo Stuart  e l’Havock. Ma  l’ordine era  stato  appena  impartito quando, alle22.23, lo Stuart (capitano di vascello H.M.L. Waller della Reale Marina australiana), che occupava la posizione più avanzata verso occidente, avvistò otticamente una nave alla distanza di 4 miglia, che si trovava esattamente al mascone di destra per 250°, e quindi in posizione radicalmente opposta rispetto a quella in cui si trovava il Pola.

         Subito il cacciatorpediniere dette l’allarme con il seguente segnale urgentissimo : “Unità sconosciuta - 250° - 4 miglia”.

         Nel contempo, alle ore 22.20, la Valiant aveva nuovamente effettuato un altro rilevamento radar, sempre riguardante lo scafo immobile del Pola, e trasmise il segnale : “Nave ferma - rilevamento 191° - distanza 4-1/2 miglia”.

         La Barham, avendo individuato un lampo rosso per 90° e successivamente l’ombra della sagoma dell’incrociatore italiano, puntò i cannoni su quel bersaglio e si apprestò a far fuoco.

         Ma, prima ancora che la Barham potesse agire e che l’allarme dello Stuart arrivasse alla conoscenza dell’ammiraglio Cunningham, alle 22.25, nella più completa sorpresa, apparvero inaspettatamente di prora le sagome imponenti di alcune navi oscurate. Esse furono avvistate con il binocolo dal nuovo capo di stato maggiore della Mediterranean Fleet, commodoro J. H. Edelsten, che si trovava sul ponte di comando della Warspite, e poi dallo stesso Comandante in Capo.

         Entrambi gli ufficiali, individuarono ad una distanza di circa 2 miglia due grossi incrociatori, che il capitano di fregata Power, ex esperto sommergibilista, identificò per le sagome di due unità del tipo “Zara”, preceduti di prora da una nave più piccola (assolutamente inesistente in quella posizione), e che navigavano con rotta a controbordo (24). Naturalmente  si trattava delle  unità della 1^ Divisione  Navale, che procedevano in linea di fila con rotta 130°.

         Nonostante quelle navi “risultassero nettamente visibili attraverso le lenti dei binocoli notturni, era evidente, per quanto incredibile, che esse non sospettassero affatto la presenza della squadra inglese”.

         L’ammiraglio Cunningham, usando il radiosegnalatore, alle 22.26 diede ordine alla squadra da battaglia di accostare a un tempo di 40° a dritta, ritornando, dalla rotta 240°, alla originale rotta 280°, in modo da portare nuovamente le tre corazzate su un’unica linea di fila, allo scopo di assumere rotta parallela a quella dello sopraggiungenti navi  italiane. Pertanto, con  questa  manovra  improvvisa  fu impedito alla Barham, che nella linea di rilevamento delle navi da battaglia era l’unità che più si trovava vicino al Pola ed era l’unica ad avere il campo di tiro sgombro, di aprire il fuoco sull’incrociatore italiano.

         Nel contempo la portaerei Formidable, il cui armamento leggero e la estrema vulnerabilità non permettevano assolutamente di affrontare un combattimento balistico, veniva fatta uscire dalla formazione. Alle 20.27 essa accostò di 90° sulla dritta, mentre le corazzate, procedendo sempre alla velocità di venti nodi, puntavano i loro ventiquattro cannoni da 381 m/m sui nuovi bersagli, ciascuna unità separata da un intervallo di circa 600 metri, con la Warspite che precedeva la Valiant e la Barham.

         Durante questa fase il cacciatorpediniere Griffin (capitano di corvetta C.C.J. Lee-Barder), che era venuto a trovarsi nella poco invidiabile posizione sulla linea di tiro delle navi da battaglia che stavano per aprire il fuoco, si allontanò rapidamente dopo aver ricevuto dalla Warspite il secchissimo segnale : “Fuori dai piedi dannato !” .

         Pochi istanti dopo, alle 22.28, il cacciatorpediniere Greyhound (capitano di fregata W.R. Marshall A-Deane), che allora si trovava in testa alla formazione ed era l’unità britannica più vicina alle navi italiane, accese il suo proiettore. La lama di luce illuminò l’incrociatore Fiume senza far rilevare la posizione delle navi da battaglia amiche, e la sua luce spietata rilevò che i cannoni delle unità avversarie erano sistemati per chiglia, nella normale posizione di riposo, segno indicatore che gli italiani non si aspettavano di dover fronteggiare un imminente attacco da parte delle unità britanniche.

         Nello stesso istante, di prora a sinistra ed a una distanza che fu calcolata in circa 3.000 metri, le vedette delle navi italiane ebbero il primo indizio del pericolo imminente, avendo avvistato grosse sagome di unità oscurate che portavano sull’alberatura lo stesso gruppo di riconoscimento notturno, costituiti da luci arancioni. Ma non vi fu il tempo di fare qualcosa, perché subito dopo, scrisse l’ammiraglio Iachino, “si videro  brillare su  quelle  ombre  le  vivide  vampate delle artiglierie e lo ZARA fu investito da una bordata di grosso calibro”.

         Su queste circostanze sfavorevoli per le unità della 1^ Divisione Navale, l’ammiraglio Iachino fece il seguente commento:

 

         “Il destino aveva sincronizzato con estrema precisione il movimento dei vari gruppi di unità, per rendere inevitabile il tempo, perché se la Divisione Cattaneo avesse tardato soltanto qualche minuto in meno, le corazzate inglesi avrebbero aperto il fuoco  sul POLA, rivelando  alle  nostre navi la loro  presenza ed  il terribile pericolo che le minacciava. Di conseguenza l’Ammiraglio Cattaneo si sarebbe allontanato rapidamente dal luogo dell’azione prima di essere avvistato dal nemico, ed avrebbe persino potuto lanciare i suoi cacciatorpediniere all’attacco degli inglesi con grande probabilità di successo, perché questi, impegnati contro il POLA, difficilmente si sarebbero accorti dell’attacco silurante sottofuoco. Il ritardo di qualche minuto cambiò profondamente la situazione e portò fatalmente le nostre unità alla loro totale distruzione”.

 

         I minuti che seguirono dall’avvistamento delle navi italiane all’apertura del fuoco di quelle britanniche, furono descritto dall’ammiraglio Cunningham, nella sua opera memorialistica, con efficace drammaticità scenica, scrivendo:

 

         “Per radiosegnalatore ([rasmettitore di limitata portata] diedi ordine alla flotta da battaglia di accostare e di assumere formazione in linea di fila. Insieme con Edelsten e con lo stato maggiore ero salito in plancia comando, che era di sopra, donde potevo vedere bene tutt’intorno. Non dimenticherò mai quei pochi minuti che seguirono.      

         In un silenzio di morte, un silenzio che poteva venir udito, si potevano sentire le voci del personale addetto alla direzione del tiro che andava in punteria con i pezzi sul nuovo bersaglio. Si sentivano ripetere gli ordini nella stazione di direzione del tiro, dietro e sopra la plancia. Guardando verso prora si vedevano le torri brandeggiare per andare in punteria finché i cannoni da 381 furono rivolti sugli incrociatori nemici. In tutta la mia vita non avevo mai provato un’emozione simile : un brivido mi pervase quando udii una calma voce della stazione di direzione del tiro ”Bersaglio inquadrato dall’A.P.G.” [apparecchio di punteria generale], segno sicuro che i pezzi erano pronti e che il dito era impaziente di premere il pulsante. IL nemico si trovava a una distanza di non più di 3500 metri : proprio a bruciapelo.

         Dev’essere stato il capo servizio artiglieria della flotta, capitano di fregata Geoffrey Barnard, che diede l’ordine decisivo di aprire il fuoco. Si sentì il ronzio dei fonici. Poi uscì la  grande vampa arancione  e un tremendo scotimento quando  tutti igrossi cannoni tuonarono simultaneamente. Nel medesimo istante il cacciatorpediniere GREYHOUND, che era di scorta, accese il suo proiettore puntato su uno degli incrociatori nemici e apparve per un momento la sagoma turchino-argento sullo sfondo delle tenebre. I nostri proiettori s’accesero con la prima salva e illuminarono in pieno uno spettacolo fantastico. Nel raggio di luce vidi i nostri sei grossi proietti che percorrevano la traiettoria. Cinque su sei colpirono a qualche palmo sotto il ponte di coperta e detonarono scoppiando con bagliori fiammeggianti. Gli italiani erano stati colti di sorpresa : i loro cannoni erano per chiglia. Furono colpiti a morte prima di aver potuto tentare qualsiasi difesa. Un episodio più umano si intercalò a  questo  punto nel  tragico  frangente. Il Comandante  della WARSPITE, capitano di vascello Douglas Fisher era un distinto specialista d’artiglieria : quando vide la prima salva colpire il bersaglio, esclamò con voce di stupefatta meraviglia - “Santo cielo ! l’abbiamo colpito !”.

         La VALIANT che era di poppa a noi, aveva aperto il fuoco nello stesso tempo. Anch’essa aveva trovato il proprio bersaglio, e, quando la WARSPITE ingaggiò le artiglierie sull’altro incrociatore, osservai la VALIANT che squarciava il suo bersaglio. La sua velocità di tiro mi impressionò. Non avrei mai creduto che fosse possibile una cadenza tanto serrata con quei grossi cannoni. La FORMIDABLE era uscita di formazione sulla dritta, ma di poppa alla VALIANT navigava la BARHAM, anch’essa seriamente impegnata.

         Indescrivibile era lo stato degli incrociatori italiani. Si vedevano intere torri d’artiglieria e masse di altri pesanti frammenti turbinare e piombare in mare, e in pochi minuti le navi stesse furono ridotte a torce fiammeggianti, con incendi che le divoravano di prora a poppa. Tutta l’azione era durata qualche minuto”.

 

         Il comandante Bernard, nel descrivere l’efficienza del tiro della Warspite, raccontò:

 

         “La prima salva della WARSPITE (su rilevamento 232° e alla distanza del bersaglio di 2.650 metri) fu, probabilmente, una delle più spettacolari di tutta la guerra; cinque dei sei proietti da 381 colpirono a intervalli per tutta la lunghezza il nemico, al disotto della coperta e il colpo più a dritta sollevò, a quanto parve, la maggior parte della torre 4, facendola cadere fuori bordo, ABC [il Comandante in Capo]  fu particolarmente compiaciuto del fatto che il suo Comandante, un ex specialista di tiro, esclamasse “Buon Dio, l’abbiamo colpito !” e, subito dopo la battaglia, ordinò che fosse messo a verbale in caso avesse voluto prendere in giro la nave scuola d’artiglieria”.

 

         Dopo  aver fatto  partire  una  seconda salva  di 8 proiettili  da 381 m/m, con un intervallo  di  30  secondi  dalla  prima  e  sempre  su  rilevamento 232°, e  dopo  aver sparato a tiro rapido anche quattro salve da 152 contro il Fiume (il quale alle 22.31 fu preso sotto il fuoco dal cacciatorpediniere Stuart che accostò a sinistra per serrare la distanza con l’unità italiana che stava uscendo di formazione), la Warspite passò ed inquadrare il bersaglio di sinistra, su rilevamento 186°. Si trattava dello Zara, seconda nave della formazione italiana, che era illuminata in pieno dai proiettori e dagli illuminanti. La corazzata britannica, da una distanza di circa 3.200 metri, fece partire la salva di otto proietti da 381, che furono visti cadere a cavallo dell’incrociatore e per la maggior parte colpire il segno. Successivamente la Warspite sparò sullo stesso bersaglio altre tre salve.

         Nel frattempo la Valiant, dopo aver sparato con le due torri prodiere di grosso calibro contro il Fiume una  prima salva di quattro  proietti, che partì esattamente dopo sette secondi dall’apertura del fuoco della Warspite contro quello stesso incrociatore, avendo subito constatato di non poter portare in punteria su quel bersaglio le torri poppiere n. 3 e n. 4, cambiò l’obiettivo. Essa, dalla distanza variante da 3.500 metri fino a 2.950 metri, impegnò con tutti i cannoni da 381 lo Zara e nello spazio di poco più di tre minuti gli scaricò addosso cinque bordate, ciascuna di sei-otto colpi, mettendone a segno parecchi a partire dalla seconda salva.

         La Barham, che al momento dell’apertura del fuoco delle altre due corazzate si trovava ancora in accostata, in coda alla linea delle navi da battaglia, avendo difficoltà nell’inquadrare il bersaglio - per il verificarsi di un’avaria ai suoi due proiettori, verificatasi per effetto delle vampe - fu costretta a fare affidamento, per la punteria e il calcolo della distanza di tiro, sulle proprie granate illuminanti e sull’illuminazione fornita dalle altre navi.

         Vista una unità navale presentarsi su rilevamento di prora a sinistra mentre si profilava nel pannello di luce del proiettore del Greyhound (era l’Alfieri), il comandante della Barham, capitano di vascello Cooke, ordinò di aprire il fuoco su quel bersaglio. La corazzata sparando da una distanza di circa 2.800 metri la sua prima salva, piazzò un colpo a segno  sotto la plancia del cacciatorpediniere italiano. Quindi spostò la punteria sullo Zara e gli scaricò contro sei salve da 381 e sette salve da 152, e constatò che quella nave stava accostando a dritta, tutta illuminata dagli incendi sviluppatisi a bordo, ed in parte oscurata dal fumo.

         Commentando i risultati ottenuti dalla prima salva sparata contro l’Alfieri, il Direttore del Tiro della Barham affermò : “E’ stato il migliore tiro notturno che abbia mai fatto”. Valutazione che fu pienamente condivisa dal comandante Cooke.

         Nel frattempo i proiettori avevano individuato nella loro illuminazione anche gli altri tre cacciatorpediniere italiani, che si trovavano di poppa agli incrociatori incendiati, e che sembrava stessero serrando la distanza per attaccare. Contro di essi la Warspite si apprestò a far fuoco con i cannoni di medio calibro. Ma a causa di un contrattempo che impedì l’entrata in  funzione del sistema di illuminazione  automatico EBI, a bordo della corazzata vi fu un certo ritardo a sparare la prima salva (settima della serie) ; e quando ciò si verificò, alle 22.31, la distanza del bersaglio era divenuta ormai troppo grande.

         La prima salva, su rilevamento 239°, sparata alla distanza di 2.290 metri, cadde distante dal cacciatorpediniere preso a bersaglio, che gli inglesi ritengono fosse stato il Gioberti, mentre la seconda salva inquadrò il bersaglio sul quale furono osservati colpi a segno. Subito dopo, alle 22.32, ritenendo che i cacciatorpediniere italiani, che si stava disimpegnando emettendo cortine di fumo, avessero lanciato i siluri, la flotta da battaglia della Mediterranean Fleet ricevette l’ordine di effettuare un’accostata di emergenza ad un tempo di 90° a dritta, mediante il segnale di manovra a luce fissa.

         Mentre si verificava questa  manovra di emergenza, con  la flotta che alle 22.33  assumeva la rotta 10°, la Warspite, che era la corazzata britannica più vicina ai cacciatorpediniere italiani, sparò una salva da 381, i cui risultati non poterono essere osservati per l’abbaglio del fascio di luce del proiettore diretto contro le unità nemiche. Nel contempo, dopo un altro ritardo causato dal mancato funzionamento del sistema automatico di illuminazione, che rese scarsamente visibile il bersaglio, la Warspite fece partire due salve da 152 contro un altro cacciatorpediniere, e subito dopo si accorse, con orrore, trattarsi dell’Havock (tenente di vascello G.R.G. Watkins). Questi, che nell’impegnarsi con i cacciatorpediniere italiani aveva omesso di accendere i fanali di mischia, fu inizialmente ritenuto colpito dai medio calibri della corazzata, mentre in realtà non riportò alcun danno per il semplice motivo che i proietti passarono sopra lo scafo (32).

         Sul presunto tentativo d’attacco dei cacciatorpediniere italiani l’ammiraglio Cunningham scrisse:

 

         “I nostri proiettori erano ancora accesi e poco dopo le 22.30 furono visti tre cacciatorpediniere italiani - che dovevano aver seguito in linea di fila i loro incrociatori - che si avvicinavano sulla nostra sinistra. Accostarono e vedemmo che uno di essi lanciò siluri, al che la flotta da battaglia accostò ad un tempo di 90° sulla dritta per evitarli. I nostri cacciatorpediniere erano anch’essi impegnati e la mischia era assai confusa. La WARSPITE faceva fuoco sul nemico con i pezzi da 381 e da 152. Con orrore vidi un nostro cacciatorpediniere, il HAVOCK, inquadrato dal nostro tiro e mentalmente lo consideraì perduto. Anche la FORMIDABLE sfuggì per un pelo: quando ebbe inizio l’azione, essa accostò in fuori sulla dritta a tutta velocità, perché una battaglia notturna non è indicata per le portaerei. Quand’era a circa 5 miglia di distanza, fu illuminata dal fascio del proiettore della WARSPITE che esplorava il lato opposto a quello scontro per l’occorrenza che vi fossero unità nemiche. Sentimmo il  direttore del  tiro del 152 di dritta mandare i  suoi  cannoni in

punteria contro di essa, e si  fece appena in tempo ad impedirgli che aprisse il fuoco.”

 

         Nel contempo che le corazzate della squadra da battaglia accostavano a dritta, l’ammiraglio Cunningham faceva segnalare “a tutte le forze non impegnate nell’affondamento del nemico” di ritirarsi per nord-est. Egli ha scritto nella sua relazione che “L’ordine era inteso ad assicurare la ritirata su rotte parallele, libere dalla mischia dei cacciatorpediniere e fu dato sotto l’impressione che anche gli incrociatori e le siluranti (dell’ammiraglio Pridham-Wippell e del comandante Mack - N.d.A.) fossero a contatto col nemico”.

         Le corazzate britanniche cessarono il fuoco alle 22.35 e riformarono la linea di fila su rombo 010, per poi continuare ad allontanarsi verso nord-est, per evitare di trovarsi nella eventuale mischia di siluranti, con il rischio di essere colpite da qualche siluro lanciato da unità amica. Nel contempo, alle 22.38, l’ammiraglio Cunningham fece riprendere la rotta 280° e ordinò ai quattro cacciatorpediniere dello schermo di finire gli incrociatori italiani in fiamme e di impegnare i loro cacciatorpediniere di scorta.

         Alle 22.40 il Griffin e il Greyhound si misero all’inseguimento  del Gioberti e dell’Oriani, ed un minuto più tardi lo Stuart e l’Havock ricevettero dalla Warspite l’ordine di dare il colpo di grazia agli incrociatori nemici, che allora apparivano in fiamme verso sud, sul rilevamento 150°.

         Dirigendo verso quella posizione, alle 22.59 lo Stuart individuò un incrociatore che, in fiamme, appariva fermo ad una distanza di 2 miglia, mentre un’altra unità, che dalla sagoma sembrava fosse anch’esso un grosso incrociatore apparentemente indenne, gli girava intorno. Il cacciatorpediniere britannico, portatosi a distanza d’attacco ritenuta favorevole, lanciò contro le due grosse navi l’intera sua dotazione di otto siluri. Il comandante dello Stuart osservò una sorda esplosione sotto l’incrociatore che appariva illeso, e ritenne d’averlo colpito. L’unità in fiamme, secondo una ricostruzione fatta dall’Ammiraglio britannico, era probabilmente lo Zara, mentre quella illesa poteva essere il cacciatorpediniere Alfieri, il quale, in seguito ai danni al timone, stava girando in circolo.

         Mentre l’Havock non ebbe modo di sparare, non essendo riuscito a identificare convenientemente il bersaglio, lo Stuart, manovrando alla velocità di venticinque nodi, diresse sull’incrociatore che sembrava illeso e, alle 23.05, constatò che in realtà l’unità italiana appariva danneggiata, in quanto la  vide ferma ad una distanza di circa un miglio e mezzo e con lo scafo fortemente sbandato. Lo Stuart aprì il fuoco contro quel presunto incrociatore, sparando due salve da 120 m/m che furono viste cadere sul bersaglio sul quale si determinò una forte esplosione ed un incendio.

         Prima di affondare l’Alfieri rispose al fuoco con i suoi pezzi da 120 e tentò di lanciare i siluri.

         Improvvisamente una nave, sbucando dall’oscurità, apparve allo Stuart di prora a sinistra, ed il cacciatorpediniere dovette accostare tutto a sinistra per evitare di misura la collisione. Mentre l’unità italiana stava passando sulla dritta dello Stuart, a circa 150 metri di distanza, si verificò un’esplosione su uno degli incrociatori in fiamme, seguita da vasti incendi. Il bagliore che seguì all’esplosione confermò che si trattava di una unità della classe “Zara”, e nel contempo mostrò che la nave che passava defilando lungo il fianco dritto dello Stuart era un cacciatorpediniere ritenuto della classe “Grecale”.

         Si trattava probabilmente del Carducci, contro il quale, alle  23.08, lo  Stuart aprì il fuoco sparando  due salve, mentre  l’Havock, che lo seguiva, lanciò quattro siluri sullo stesso bersaglio, e ritenne di averne visto arrivare uno a segno alle 23.15.

         Quindi, l’Havock continuò ad impegnare il Carducci con il cannone per circa venti minuti, e cessò il fuoco soltanto quando fu certo che la silurante italiana, in fiamme da prora a poppa, stava cominciando ad affondare. Infine, verso le 23.30, quando ormai lo scafo del Carducci si trovava a fior d’acqua, il cacciatorpediniere italiano fu visto saltare in aria ed inabissarsi.

         Nel frattempo, essendo rimasto senza siluri e non avendo altri bersagli in vista, lo Stuart si limitò a perlustrare la zona, per poi dirigere per nord-est coll’intenzione di raggiungere il gruppo da battaglia.

         L’Havock, che disponeva ancora di quattro siluri, corrispondenti alla metà della sua iniziale dotazione, ed era ancora in vista di alcuni relitti di navi in fiamme, alle 23.30 lanciò tutte le sue armi contro lo Zara, mancando il bersaglio. Contro l’incrociatore, sul quale appariva ardere un solo incendio vicino al ponte di comando, il cacciatorpediniere britannico sparò un proietto illuminante seguito da due salve d’artiglieria. L’illuminazione del proietto rivelò, alle ore 23.45, la presenza di una grossa nave ferma, in direzione nord-est. Si trattava del Pola, contro il quale l’Havock apri il fuoco con i 120 m/m mettendo a segno due proietti, uno sottocoperta e l’altro a poppa, ove furono visti scoppiare incendi.

         In realtà, come avremo modo di vedere, uno dei proietti strusciò sulla tuga del Pola e l’altro a poppa in prossimità dell’alloggio del comandante in seconda dell’incrociatore, esattamente sotto coperta, ove dette origine ad un secondo incendio che invano l’equipaggio dell’unità italiana tentò di spegnere.

         Non avendo acceso il proiettore per individuare l’unità navale che stava attaccando, il comandante dell’Havock, tenente di vascello G. Watkins, alle 00.20 del 29  marzo  segnalò di  aver individuato  una  nave da  battaglia della  classe  “Littorio” intatta e ferma. E poiché la presunta corazzata costituiva l’obiettivo principale del comandante Mack, quel segnale dell’Havock ebbe un effetto deleterio per la ricerca della Vittorio Veneto.

         Già in precedenza, lo stesso Mack, che era impegnato nella ricerca di quella corazzata, era stato costretto a ritardare  la marcia dei suoi otto cacciatorpediniere verso ponente, avendo captato il segnale trasmesso subito dopo la conclusione dell’azione balistica dal Comandante in Capo della Mediterranean Fleet, che ordinava a tutte le navi britanniche, non impegnate nell’affondamento di unità nemiche, di  ritirarsi verso nord-est. In seguito a ciò, alle 23.30, Mack accostò immediatamente per 45° e per radio chiese alla Warspite se l’ordine da essa impartito riguardava le sue due flottiglie.

         Ricevuta alle 23.37 la significativa risposta “dopo il vostro attacco”, alle 23.40 Mack accostò  di  nuovo  verso  ponente, e   per  venti  minuti  diresse   per  rotta  270°. Alla mezzanotte, giudicando di essere andato sufficientemente di prora alla flotta italiana, fece accostare i suoi cacciatorpediniere per 200° e ne ridusse la velocità a venti nodi. Egli mantenne la nuova rotta fino alle 00.30 del 29 marzo, ora in cui raggiunse la posizione che egli riteneva essere esattamente davanti alla marcia delle navi nemiche, quando ricevette il segnale trasmesso dal cacciatorpediniere Havock, che si trovava 50 miglia ad oriente, e che comunicava di essere in contatto con una nave da battaglia della classe “Littorio” e di aver lanciato tutti i suoi siluri. Il segnale, come sappiamo, aveva il protocollo orario delle 00.20, ed il comandante Mack, messa la posizione sulla carta, decise senza indugio di accostare per 110° per dirigere verso quel nuovo bersaglio.

         Nel frattempo, un’ora dopo aver trasmesso il primo segnale sull’errata presenza di una corazzata della classe “Littorio”, L’Havock correggeva l’inesattezza trasmettendo trattarsi di un incrociatore  con il seguente messaggio:

 

         “Urgente. Mio 0.20. in luogo di una corazzata classe “LITTORIO” leggete un incrociatore da sei pollici. Incrociatori pesanti erano nelle vicinanze. Mia posizione 036°, MB HS 59°.  Stò ritornando a  vigilare”.

 

         Trascorse un’intera ora, dal momento in cui il comandante Mack aveva cambiato rotta per raggiungere la presunta corazzata italiana, prima che il Jervis, sul quale egli era imbarcato, ricevesse il segnale di rettifica dell’Havock. Date le circostanze Mack giudicò fosse conveniente continuare nella rotta che stava seguendo per agire contro quell’incrociatore.

         Ma ancora una volta fu commesso un errore di valutazione, dal momento che il Pola fu ritenuto dall’Havock un incrociatore leggero, armato con cannoni da 152 m/m.

         Nel frattempo che lo Stuart e l’Havock si impegnavano a dare il colpo di grazia alle unità italiane danneggiate, il Griffin e il Greyhound, si erano posti all’inseguimento dei cacciatorpediniere Gioberti, e Oriani, i quali, abbandonando subito dopo l’inizio dell’attacco la posizione da essi tenuta dietro lo Zara, il Fiume e l’Alfieri, erano stati visti accostare verso ponente. I due cacciatorpediniere britannici aprirono il fuoco e osservarono alcuni colpi arrivare a segno sulle unità italiane, le quali però, accostando verso sud, alle 23.20 scomparvero nell’oscurità coprendosi con cortine di fumo.

         Alla stessa ora, avendo ricevuto il segnale con il quale l’ammiraglio Cunningham ordinava di ripiegare verso nord-est, il Griffin e il Greyhound accostarono per prendere quella nuova rotta che poi  variarono per sud  alle 00.50, dopo aver ricevuto il segnale trasmesso dall’Havock sulla presenza della presunta corazzata classe “Littorio” .

         Dirigendo verso quella posizione, alle 01.40 del 29 il Greyhound avvistò anch’esso il Pola e dette l’allarme. Quindi, assieme al Griffin si avvicinò all’incrociatore, che pur essendo fermo appariva stabile nella sua galleggiabilità e con tutti i suoi cannoni illesi e la bandiera al vento, e i due comandanti britannici, consultandosi con quello dell’Havock, presero in considerazione il problema di affondare quella nave, oppure di cercare di abbordarla per catturarla. L’occasione per una prova di forza appariva realizzabile, perché, nell’avvicinarsi al Pola, dal quale non arrivava alcun accenno di reazione, fu constatato che una parte degli uomini del suo equipaggio si trovavano incomprensibilmente in mare, avendo abbandonato l’incrociatore, ed i restanti formavano una massa disordinata sui ponti superiori e davano l’impressione di volersi arrendere.

         Tutto si risolse all’arrivo del Comandante della 14^ Flottiglia Cacciatorpediniere, il quale, accorrendo con le sue otto unità da ponente, durante la rotta verso il Pola era transitato nella zona in cui si era consumato il sacrificio delle unità della 1^ Divisione Navale. Alle 02.30 aveva avvistato con il proiettore l’incrociatore Zara, con pochi piccoli incendi ancora in atto sul ponte superiore, e passandogli accanto lanciò contro quella nave quattro siluri, due dei quali sembra avessero colpito il bersaglio, accelerandone l’affondamento che si verificò alle 02.40 in seguito a violenta esplosione.

         Il comandante Mack ordinò ai suoi cacciatorpediniere di raccogliere i naufraghi del Pola, senza però ammainare le imbarcazioni, ed egli stesso dette l’esempio prendendo a bordo del Jervis nove marinai italiani.

         Quando  poi il  Jervis arrivò  nei pressi  del   Pola, il  comandante  dell’Havock, tenente di vascello G. Watkins, non disponendo più di alcun siluro a bordo della sua nave, alle 03.14 chiese al capitano di vascello Mack come doveva comportarsi con l’incrociatore, trasmettendo: “Stando sotto la poppa del POLA, devo abbordarlo oppure affondarlo con bombe di profondità”.

         Il Comandante della 14^ Flottiglia Cacciatorpediniere rispose con un secco “Levatevi di torno”. Quindi, subito dopo, trasmise al Comandante in Capo delle Forze Leggere il seguente segnale : “Ho affondato lo ZARA e stò per affondare il POLA - 0311 29/3/41”.

         Dopo aver spedito questo messaggio il Jervis si portò al fianco del Pola e ne recuperò, per mezzo di una passerella fissata all’incrociatore italiano, duecento quarantotto uomini dell’equipaggio. Quindi, prima di allontanarsi dalla zona per raggiungere la squadra da battaglia dell’ammiraglio Cunningham, il capitano di vascello Mack ordinò di finire il Pola, che affondò, esplodendo, alle 04.03 del 29 marzo, dopo essere stato colpito da un siluro del Jervis e poi da uno del Nubian.

         Sul tiro delle navi britanniche l’ammiraglio Cunningham scrisse nella sua relazione per l’Ammiragliato (vedi Documento n. 149):

 

         “L’azione notturna delle navi da battaglia non presenta aspetti nuovi, a prescindere dall’impiego del radar e dal grande successo dell’illuminazione indiretta praticata dal GREYHOUND ; ma a proposito dei bersagli effettivamente impegnati, è sorto un curioso contrasto di pareri. Le registrazioni tecniche del combattimento indicano che la WARSPITE impegnò l’unità di coda e successivamente cambiò bersaglio sulla sinistra impegnando la seconda nave di testa forse un cacciatorpediniere.

         Il mio parere, condiviso dal Capo di Stato Maggiore, dal “Captain of the Fleet” e da vari ufficiali dello Stato Maggiore, è che la WARSPITE impegnò il primo incrociatore armato di 203 (seconda unità della formazione) e che successivamente cambiò bersaglio sulla dritta impegnando la nave di coda. E’ questo un punto che non potrà essere chiarito in modo  assoluto sino a che  non sarà  nota l’intera  storia del combattimento nella versione di entrambe le parti ; ma sembra che il rapporto del tiro sia sbagliato”.

 

         Invece, apportando  una  nota alla  pubblicazione  di  questo  rapporto  sulla The London    Gazzette,   l’Ammiraglio   britannico,   che    nel    frattempo   aveva     fatto successive  analisi, affermò “che la  WARSPITE impegnò il Fiume  e che quindi, assieme alla VALIANT, aprì il fuoco contro lo ZARA incrociatore di testa”.

         Attualmente le versioni più recenti esistenti negli ambienti navali britannici propendono nell’assegnare i bersagli battuti dalle corazzate britanniche nel modo seguente: “il cacciatorpediniere Alfieri ricevette due bordate dalla Barham, l’incrociatore Zara quattro della Warspite e cinque dalla Valiant, e l’incrociatore Fiume due dalla Warspite e una dalla Valiant” .

          Intanto dopo la rapida accostata per evitare il supposto attacco silurante l’ammiraglio Cunningham si era diretto verso nord, recuperando lungo quella rotta di disimpegno la Formidable. Dopo il breve combattimento egli avrebbe ancora potuto approfittare dell’occasione che gli si presentava per tentare di raggiungere la Vittorio Veneto ma, memore della dura punizione subita il 10-11 gennaio nel Canale di Sicilia ad opera dei bombardieri in picchiata tedeschi del X Fliegerkorps, preferì non rischiare un combattimento il mattino seguente in una zona controllata dall’aviazione nemica.

         Questa decisione tattica, che seguendo l’errata impostazione della ricerca svolta dai cacciatorpediniere di Mack permetteva all’ammiraglio Iachino di proseguire indisturbato verso occidente in direzione di Taranto, fece si che gli inglesi fallissero il loro principale obiettivo. E questo sebbene fossero stati avvantaggiati dalle informazioni Ultra, dal possesso del radar, dalla superiorità potenziale, dal fatto di operare in zona di loro controllo con in più l’ausilio veramente prezioso dell’aviazione imbarcata e, soprattutto, per essere stati agevolati dalla fortuna e dagli errori commessi dall’avversario sia in campo navale che in quello aereo.

         Di tale verità si dolse con estrema obiettività l’ammiraglio Cunningham il quale concluse la sua relazione per l’ammiragliato ammettendo:

 

         “I risultati dell’operazione non possono essere considerati interamente soddisfacenti   poiché   alla   VITTORIO   VENETO    danneggiata   fu  consentito   di sfuggire alla ricerca. L’insuccesso degli incrociatori e dei cacciatorpediniere nel riprendere contatto con quella nave durante la notte fu sfortunato ed è molto da rimpiangere”.

 

         Noi riteniamo che sia altrettanto da rimpiangere la sua decisione di sospendere l’inseguimento alla squadra italiana per restare passivamente nella zona della battaglia fino al mattino seguente.

         Cunningham criticò poi anche l’operato del capitano di vascello Mack nella ricerca della Vittorio Veneto, sostenendo che il comandante dei cacciatorpediniere aveva errato nel tenere le sue siluranti in formazione serrata invece di spiegarli per una ricerca a rastrello. Il capitano di vascello Mack probabilmente non attuò quella misura perché,  ritenendo precisi i dati ricevuti dal Comandante in Capo (distanza dal nemico 33 miglia per 286°, rotta 295°, velocità 13 nodi), preferì tenere i suoi cacciatorpediniere riuniti per portarli ad un attacco in massa che avrebbe avuto in caso di incontro col nemico molte più probabilità di successo.

         Invece gli elementi forniti da Cunningham risultavano errati, come ha giustamente rilevato l’ammiraglio Iachino, dal momento che la distanza della squadra italiana era di 9 miglia maggiore di quella stimata, la rotta errata in più di 28° e la velocità superiore di sei nodi. E tali errori erano così forti, soprattutto nella velocità, da compromettere fin dall’inizio ogni possibilità di successo e questo anche se gli otto cacciatorpediniere del comandante Mack si fossero disposti a catena per attuare il rastrello.

 

 

___________________________

 

Alla stesura del mio libro su Matapan hanno partecipato, quali revisori, oltre al Direttore, Ammiraglio di Divisione Mario Buracchia  e ad ufficiali superiori qualificati dell’Ufficio Storico della Marina Militare, cinque superstiti  della Battaglia di Matapan, imbarcato sui cacciatorpediniere della 1^ Divisione Navale, ossia gli ammiragli, Michele Cimaglia, Luigi Tomasolo, Pietro Zancardi, Francesco Mascini e il capitano di vascello Vito Sansonetti.

 

Quando i collaboratori dell’Ufficio Storico, per evidente invidia e voglia di protagonismo di qualche compiacente revisionista al contrario, sono sotto violento attacco sulla stampa e in Internet (vedi oltre a Mattesini, il compianto professor Santoni e il nostro Presidente onorario Dottor Bargoni), lo stesso Ufficio Storico, e per esso anche i vertici della Marina, dovrebbero essere obbligato a difenderli.

 

Fin dagli anni 80’ i miei documentati libri, che sono stati sempre commissionati dagli ammiragli Sicurezza e Buracchia e dai Comandanti Severi e Valentini, e i sessanta grossi saggi prodotti per il Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina, sono considerati importanti dagli storici seri e apprezzati anche all’Estero. Chi li contesta abbia la compiacenza di consultare in Internet le pubblicazioni di Francesco Mattesini, conosciute dagli storici non soltanto in Italia. Sono attivo in vari siti di Internet, in particolare uboat.net e Wikipedia, dove ho apportato moltissime modifiche e sono stimato dagli Amministratori che mi danno fiducia.

 

Quando lo storico statunitense Vincent O’Hara mi ha elogiato apertamente per come avevo compilato nel Bollettino d’Archivio la Battaglia della 1a  Sirte, il Signor Enrico Cernuschi, che continuamente mi attacca anche su cose banalissime, ha trovato da ridire con lo stesso O’Hara, cercando di sminuire il mio lavoro.

 

Da moltissimi anni faccio parte della  Società di Storia Militare Italiana (SISM) e dell’Associazione di Documentazione Marittima e Navale (AIDMEN), e in passato sono stato un attivo collaboratore del Giornale d’Italia per il quale ha curato la rubrica “Verità Storiche”.

 

Infine, un fattore per me importante è quello che nella documentatissima e conosciutissima opera di J. Rohwer e G. Hummelchen, “Chronik des Seekrieges 1939-1945”, portata anche in Internet e completamente aggiornata, i soli libri italiani sulla guerra aeronavale che si trovano in bibliografia sono due miei volumi “La partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo 1940-1945” e “L’attività aerea italo tedesca nel Mediterraneo Il contributo del X Fliegerkorps, Gennaio – Maggio 1941”.

 

Francesco Mattesini

Edited by Francesco Mattesini
Link to comment
Share on other sites

I have not read the Facebook exchange but I would like to reiterate my greatest admiration and solidarity for Francesco Mattesini.

 

We have not always agreed on every point but I have the greatest respect for him and always look forward to read his texts.

 

With my best wishes,

 

Platon

Link to comment
Share on other sites

Il Signor Enrico Cernuschi, scrivendo tempo indietro in un sito di Internet, ha sostenuto che Mattesini e Santoni, essendo troppo vecchi, si sarebbero messi da parte lasciandogli, evidentemente, campo libero per raggiunge il suo agognato scopo di apparire come il migliore degli storici italiani di Marina. Debbo deluderlo. L’amico fraterno Alberto Santoni purtroppo è morto. Il nostro presidente onorario Franco Bargoni, altra spina sul fianco di Cernuschi, non è più in condizioni di scrivere. Resto io che in un solo anno, tralasciando i poderosi libri in sospeso all'Ufficio Storico della Marina - tra cui L’Operazione Pedestal, La Battaglia Aeronavale di Mezzo Agosto, La Battaglia di Creta, Betasom La guerra negli Oceani (terza edizione), Le Direttive tecnico-operative di Supermarina (3° Volume in tre Tomi) -, ho prodotto questi lavori:

 

- Nel Quaderno 2014 della Società di Storia Militare, nel volume in onore di Santoni, “Naval History”, il molto documentato ed esaustivo saggio La seconda battaglia della Sirte 22 Marzo 1942;

 

- Nel Bollettino n. 28 dell’AIDMEN il saggio L’inizio del Blocco di Malta. I convogli britannici del gennaio 1942;

 

- Nel Bollettino dì’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, anno 2014 (online), L’attacco dei sommergibili di Betasom dalle Isole Bahama alle coste del Venezuela (febbraio – marzo 1942);

 

Nei quaderni della Società di Storia Militare, Collana SISM (online):

 

- La seconda battaglia della Sirte 22 Marzo 1942;

 

- Operazione Pedestal. La battaglia di mezzo agosto;

 

- 8 Settembre. Il dramma della Flotta Italiana, di 173 pagine;

 

- I sommergibili dell’Asse nell’Operazione Torch.

 

Non credo che sia poco e, badate bene, non si tratta di lavori di poche pagine da stampare in riviste, ma di saggi di un certo peso, con documentazione in parte inedita.

 

Francesco Mattesini

Edited by Francesco Mattesini
Link to comment
Share on other sites

  • 3 weeks later...

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Guest
Reply to this topic...

×   Pasted as rich text.   Paste as plain text instead

  Only 75 emoji are allowed.

×   Your link has been automatically embedded.   Display as a link instead

×   Your previous content has been restored.   Clear editor

×   You cannot paste images directly. Upload or insert images from URL.

Loading...
 Share

×
×
  • Create New...