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Collisione a Venezia fra MSC OPERA e RIVER COUNTESS


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Quale socio veneziano non sono in grado di aggiungere altro a quanto riferito da Giuseppe. Mi trovo attualmente fuori città e ho appreso anch'io la notizia dai media. Da quanto ho sentito pare sia mancata la trasmissione di ordini alle macchine che sono rimaste ingranate in avanti ma, a mio parere, il black out ha interessato anche i sistemi di governo, timoneria e bow thrusters.

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Dubito che ci diranno mai cosa è realmente successo.

Credo sia un problema al software del tipo di quello che ha causato la caduta dei due Boeing 737 Max.

Dai filmati non ho capito se la nave era diretta diagonalmente verso la banchina e non ha virato o se andava parallelamente alla banchina 

ed ha virato verso la banchina.

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In condizioni normali la nave avrebbe dovuto transitare al centro del canale della Giudecca, largo in quel punto 400 metri, proseguire a lento moto ancora per qualche centinaio di metri, poi evoluire virando a dritta di 90° per entrare nella darsena della Marittima.

In conseguenza dell'avaria, da parallela alla banchina, si è disposta diagonalmente e non le è stato possibile rallentare fino a giungere alla collisione.

Dei vari filmati apparsi in rete è significativo quello in cui si notano la velocità elevata della nave che transita vicinissima alla stazione Ormeggiatori a fianco del pontile del vaporetto poco prima dell'impatto.

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Venezia e la deriva professionale

 

Il problema delle navi da crociera è solo la punta dell’iceberg di una crisi di involuzione delle costruzioni navali, un’ involuzione che ha visto in pratica la sparizione dell’ ingegneria navale e delle sue buone pratiche.

Un’ involuzione che purtroppo è stata scatenata anche dalla miopia della cantieristica italiana.

Per fare sempre più navi, rapidamente, per assecondare armatori sempre più avidi e spregiudicati, la cantieristica non è stata da meno, assecondando in tutto gli aspetti più biechi di un mercato assurdo.

La caduta di qualità non è servita a nulla, il risultato è che le navi più grandi adesso le fanno in Cina, per fare “quelle” navi in cui tanto pomposamente ci eravamo vantati non occorrono tradizioni e meriti, possono mettersi tutti, intanto si tratta di “vuoti a perdere”.

Navi non più fatte per navigare, ma costruite come gusci per scopi ludici a spregio della sicurezza, sorta di alberghi ad ore che si muovono – e male – solo con tempo assicurato, condotte da personale che inevitabilmente si è dovuto adeguare alla spregiudicatezza di armatori (biscazzieri), cantieri, registri al seguito.

In quanto all’ ennesimo incidente, che non è stato certamente il primo e neppure il primo avvenuto a Venezia (a Venezia si percepiscono solo di più ed hanno maggiore risonanza mondiale) c’ è solo da capire il fatto che si vede da filmati di una nave, già molto abbrivata, che addirittura in quello che sembra il momento dell’incidente, visto che aziona la sirena a livello di clacson di autista impaziente sulla salita del Vomero, addirittura accelera.

La spiegazione – che avevo anticipato in conversazioni immediate con alcuni colleghi – sarà la solita:  la “scheda” in avaria .... d’ altra parte anche altro collega ne aveva parlato molto tempo addietro in merito ad un black out in pieno canale ...

 

La conseguenza non poteva che essere che questa.  

Sulle navi per risparmiare non si montano più apparecchiature “navalizzate” (di norme MIL neppure a parlarne), ma componenti nel migliore dei casi industriali (e si spera di buona qualità), senza la minima ridondanza e senza predisposizioni di emergenza non elettro elettroniche.

La conoscenza dei sistemi, come hardware e come manutenzione minima, non è né di competenza né di conoscenza del personale di bordo, che è abilitato alla condotta (normalmente da JoyStick) ma non all’ emergenza;  manca totalmente la scuola (la scuola comando di manovre all’ infinito) con la “sensibilità nave, e con bestie di quelle dimensioni il metro diventa un micron, e si ragiona in termini di decine di metri.

Tutti noi (al contrario del giornalismo tuttologo) sappiamo che i rimorchiatori sono una formalità, un retaggio di regole del passato, visto che nulla possono fare con l’inerzia di una tale massa.

L’ emergenza non è una eventualità, è una condizione da considerare nella normalità, come tutti eravamo stati educati a considerarla, e bisogna essere reattivi al riguardo.

Le avarie non sono solo eventi casuali, sono più che probabilità da considerare nella preparazione e nell’ addestramento della gente di mare, e sono soprattutto eventi da prendere in considerazione nel momento della progettazione come sfida per trovare alternative.

L’ emergenza non è solo reazione individuale, ma consapevolezza e capacità collettiva, di team.   Questi equipaggi sono dei team addestrati come tali? Certamente no.

L’ addestramento del personale di bordo, e l’ abilitazione (per i più fortunati ed avanzati) è individuale ed avviene al simulatore, ed i pochi simulatori sono inadeguati, nel migliore dei casi arretrati:  l’ abilità ed il tirocinio sono stati sostituiti da “certificazioni”, meri passaggi burocratici, mentre la manutenzione è terziarizzata con soggetti che non hanno alcuna voce in capitolo, hanno un tot di ore a disposizione durante le brevi soste, non devono valutare od opinare, quello che non si riesce a fare nella sosta è rinviato (con altri soggetti che devono ricominciare da capo) alla prossima sosta...

Colpevoli sommi sono i registri, (e purtroppo con dispiacere, in sequenza anche le Capitanerie, oggi Guardia Costiera, sempre più distante dalla realtà della vita in mare, ma solo costiera e formale.., ovviamente per questi aspetti, visto che poi è altrimenti impiegata ed impegnata)

 

Siamo di fronte ai corsi e ricorsi della storia navale, e ci racconto non un’ aneddoto, ma una realtà marittima:  nel 1856 un ingegnere inglese, Brunel, concepì, progettò e costrui una nave inaffondabile, che veramente fu tale, il Great Eastern.

Era il meglio dell’ingegneria navale, con criteri di costruzione e compartimentazione validi ancor oggi, un gigante lungo 214 metri quando la normalità era 60 mt e l’eccezione 90 metri.

Il Great Eastern (a galla ancor oggi dopo essere stato abbandonato dagli armatori su una scogliera in Sud America è tornato in Inghilterra)

Lo slogan di Brunel era “Safety First”:  negli anni successivi cantieri ed armatori, armatori e cantieri come dir si voglia, si resero cono che la sicurezza costava troppo, era una voce impropria, e cominciarono a “smontare” il sistema Brunel, sino ad arrivare a strutture leggere, sempre più leggere su navi sempre più grandi, sino ad arrivare al Titanic, nave inaffondabile secondo la pubblicità, che proprio tale non era;  il Titanic salpò con incendio a bordo e senza avere le condizioni di sicurezza e navigabilità, con la piena approvazione delle autorità di sorveglianza e di quelle portuali.

Come andò a finire tutti lo sappiamo, meno si sa che la causa dell’ affondamento non fu l’ iceberg (causa scatenante ma contenibile) ma cause strutturali e la mancanza di compartimentazione.

Lusitania ed Empress of Ireland, per non citare contemporanee unità italiane, si persero per mancanza di stabilità.

Da quel momento, e prima ancora delle falcidie della 1^ GM, cominciò il “recupero” del senso di responsabilità dell’ ingegneria navale e delle attività di sorveglianza.

Oggi siamo di nuovo al punto più basso, con responsabilità collettive, anche lasciando da parte il nuovo fattore, quello strano individuo, un marziano,  oggi responsabile di tutti i trasporti italiani ... (ed ovviamente porta pure sf...)

 

Speriamo di essere nella fase montante, dopo aver toccato il fondo, comunque, come ho continuato a ripetere negli ultimi trent’ anni: ... alla larga dalle crociere.... (e cautela con i traghetti).

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