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TESTIMONIANZE ATROCITA' DEI PARTIGIANI COMUNISTI A CASTEL FOCOGNANO - 1944


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Da un mio saggio che stò componendo per la mia pagina in Accademia Edu (https://independent.academia.edu/FrancescoMattesini),

dal titolo“Testimonianze delle atrocità Comuniste e Naziste nell’estete del 1944 a Castel Focognano (Arezzo)”.  Storia assolutamente Inedita.

 

Francesco Mattesini,

di Arezzo, nato il 14 aprile 1936, sfollato a Castel Focognano dall’8 dicembre 1943 al 24 agosto 1944, dichiarato “Patriota” dall’ANPI, numero d’ordine 1476 firmato il 1° maggio 1948 dal Ministro della Difesa Cipriano Facchinetti.  

 

 

TESTIMONIANZE DELLE ATROCITA' DEI PARTIGIANI COMUNISTI NELL’ESTATE DEL 1944 A CASTEL FOCOGNANO (AREZZO)

 

         Parlo di tre episodi, due dei quali con delitti efferati che sconvolsero la vita di Castel Focognano, nel Casentino in provincia di Arezzo, e che tutt’oggi, in un paese da sempre antifascista, sono nascosti dall’omertà; ossia volutamente dimenticati per non far conoscere che anche tra i compagni partigiani “comunisti”, che giustamente combattevano i fascisti e i tedeschi, vi erano purtroppo anche crimini indifendibili verso persone dello stesso Comune, ma di fede differente, che per Verità storica e responsabilità dalla stessa comunità, in parte ignara (i più giovani), non possono essere dimenticati.

 

         Una notte la formazione partigiana comunista di Licio Nencetti (8a Banda Autonoma – “I ribelli della teppa”) scese a Castel Focognano dal Pratomagno, e andò a prelevare quattro uomini, nelle loro abitazioni, accusati, per le loro amicizie, di essere spie fasciste o naziste, senza che ve ne fossero le prove, se non alcuni indizi di collaboratori. Mio padre, il maresciallo capo Antonio Mattesini, che nel III Battaglione “Pio Borri” del tenente Raffaello Sacconi (capitano “Sandri”) rivestiva l’incarico di comandante della compagnia “I” (Informazioni), fu raggiunto in casa dalle mogli dei prigionieri, che conoscendolo per il “maresciallo” lo implorarono di intercedere sui partigiani perché i loro uomini fossero liberati.

         Mio padre raggiunse il gruppo di partigiani poco prima del cimitero di Castel Focognano, a circa 300 metri dalla nostra abitazione. Camminando con loro verso la montana, direzione del bivio Carda - La Petrella, parlando a lungo con Licio, che conosceva dal febbraio 1944 quando gli aveva “offerto il suo appoggio alla causa antifascista”, riuscì a convincerlo a lasciar liberi i quattro prigionieri, sostenendo che, sebbene fossero ritenuti fascisti, lui li conosceva bene, e assicurava erano persone corrette e tranquille, con famiglia, che non davano fastidio ad alcuno.[1] Potete immaginare la gioia delle mogli e dei figli, e i ringraziamenti verso mio padre che durarono per giorni.

         Il 24 maggio Licio Nencetti fu catturato accidentalmente a Uomo di Sasso (passo della Crocina del Pratomagno), da una pattuglia della Guardia Nazionale Repubblicana e soldati tedeschi, mentre ritornava da una riunione col comandante della Divisione Garibaldi “Arno”. Interrogato brutalmente a Poppi e infine portato a Talla, fu ucciso il giorno 26, per ordine del Comandante tedesco di Borgo alla Collina, nella piazza del paese dal plotone d’esecuzione dei repubblichini di Rassina, comandato dai tenenti Mario Sorrentino e Pietro Sacchetti. Nella scarica di fucile fu colpito e restò ucciso anche un ragazzino, Marcello Baldi, che dalla porta della vicina chiesa seguiva curiosamente lo svolgimento dell’esecuzione. Ciò dimostra che non fu il tenente Sorrentino a uccidere Lucio sparandogli più volte in bocca con la pistola perché, come fu detto, ed è  ancora oggi creduto e discusso in modo artefatto, il plotone d’esecuzione si sarebbe rifiutato di sparare a quel giovane partigiano.

        Dopo la morte di Lucio Il comando della “Formazione volante” 8a Banda Autonoma,  abbandonò la denominazione di Gruppo Casentino trasformandosi in III Battaglione “Licio Nencetti”, al comando di Bruno Fantoni (“Bruno”), della cui attività di guerriglia in quel periodo, praticamente non sappiamo nulla, e trattandosi di un capo partigiano di una formazione importante e battagliera (nel bene e nel male), ciò è molto strano!

         Alcuni giorni dopo, nel mese di giugno, una formazione partigiana comunista  fiorentina  del distaccamento “Faliero Pucci” (comandante Angelo Gracci - "Gracco") , della brigata "Sinigallia" di  Aligi Barducci (“Potente”), scese dal Pratomagno a Castel Focognano; e nella notte furtivamente prelevò i medesimi quattro uomini che erano stati liberati da Licio per l’intervento di mio padre, e condotti al cimitero li fucilarono lungo il muro esterno alla destra del cancello d’entrata, senza che si potesse fare nulla per impedirlo. Io, sempre curioso come può esserlo inconsciamente un ragazzino di otto anni, assieme ad altri amichetti assistetti l’indomani al recupero dei corpi e alla tumulazione, e alle strazianti scene di dolore dei loto famigliari.

         Si trattò di un vero atto barbarico, da uomini che con minacce alla popolazione impotente nascosta nelle loro abitazioni, urlando verso i poveretti indifesi che portavano alla morte, dimostrarono quale fosse tutta la loro brutalità,  mandandoli alla morte senza interrogatorio e processo. La spedizione era stata guidata da un certo comandante Vladimiro (nome di battaglia), del Valdarno si diceva a Castel Focognano, di cui, per lo stato di omertà, non ero riuscito a conoscere le generalità: (Sergio  Farulli).

         Per quanto riguarda il sito Banca Dati – Partigiani Toscani, come potrete constatare, quasi tutti i partigiani del Casentino e del Valdarno  aretino , sono privi di nome di battaglia, il che denuncia che, quelli più compromessi, sono stati praticamente blindati, per evitare che si conosca il loro vero nome. Lo stesso é per Sergio Farulli

         Si disse, ma non è stato provato, che la successiva reazione tedesca che portò il 4 luglio all’attacco tedesco a Castel Focognano, e all'impiccagione di quattro partigiani (dopo interrogatorio), fosse stata determinata dalla richiesta dei fascisti di Rassina, affinché avvenisse una qualche forma di rappresaglia; evidentemente in modo da far credere che i quattro fucilati erano realmente pericolosi fascisti, delle spie.[2] Ma in qual momento i tedeschi avevano in atto una grossa operazione di rastrellamento dei partigiani che si realizzo d’ovunque nel Casentino, poiché per ordine del Comitato Liberazione Nazionale (C.L.N.) toscano della fine di maggio, tutti i reparti partigiani s’impegnarono contemporaneamente in pattugliamenti offensivi sulle strade percorse da soldati e mezzi tedeschi, con atti di sabotaggio a linee telegrafiche e telefoniche, e sbarramenti stradali. Ciò portò, dopo che vi era stato un lungo periodo di quasi assoluta tranquillità, ad alcuni combattimenti e come al solito, dopo perdite umane tedesche, a rappresaglie più o meno pesanti, molte particolarmente dolorose.

         Purtroppo, anche nel libro di Carla Nassini e Massimo Martinelli, Castel Focognano. Obiettivo sul novecento. Identità e trasformazioni di una comunità casentinese, l’episodio della fucilazione dei quattro uomini a Castel Focognano dei partigiani di Vladimiro è assolutamente ignorato, come è stato  ignorato quello della cattura e uccisione a Pieve Socana, sempre da parte di Vladimiro, dell’autista di una motocicletta side-car, dove si trovava di un maggiore tedesco che pur restando ferito evitò la cattura o la morte. Nel libro dei due autori e’ soltanto riportato alla p. 72: “Il 14 giugno i partigiani catturano a Pieve Socana Giuseppe Baldassarri, che viene deportato in Pratomagno e ucciso sopra Carda. La data della cattura deve essere errata poiché l’attacco, attribuito “al 4° Squadrone Volante alla motocicletta con side-car, ferendo un tedesco che però riuscì a fuggire”, secondo il sito Internet “I massacri di Arezzi. Castelfocognano e Talla”, avvenne il 25 giugno.  E’ però da dire, che il 4° Squadrone Volante apparteneva al battaglione “Licio Nencetti”, che non doveva avere nulla a che fare con la banda di cui faceva parte Vladimiro, a meno che questi fosse stato aggregato.

         Vladimiro, considerato nei paesi e frazioni del Pratomagno un pericoloso spietato personaggio, terrore dei contadini che venivano sistematicamente derubati di viveri e bestiame dai “grattigiani” (come li chiamavano), dopo l’attacco al side-car prese prigioniero il conduttore della motocicletta, italiano, disarmato, ma in divisa tedesca come io e mio padre potemmo constatare di persona. Infatti, nel pomeriggio, mentre il Vladimiro da Pieve Socana percorreva la strada che conduce a Carda, passato il cimitero di Castel Focognano proprio mentre noi dopo una giornata alla macchia scendevamo sulla stessa strada verso il paese, da una curva abbiamo visto sbucare due persone, una avanti a piedi e l’altra dietro a cavallo. Quest’ultimo, il partigiano con la stella rossa sul berretto, teneva al laccio con una lunga corda il suo prigioniero, in divisa tedesca, come un cane al guinzaglio, mentre l'aguzzino lo seguiva sul suo cavallo bianco. Mi é passato accanto sulla strada, vicinissimo, e ricordo molto bene il suo sguardo verso di noi, piuttosto beffardo, come dire vedete come sono bravo, mentre l'italiano appariva angosciato; ma con lo sguardo fisso in avanti non disse nulla, anche se forse desiderava da noi un tentativo di aiuto, che non potevamo dargli. Arrivato sopra Carda il Vladimiro ha sparato freddamente all'italiano con la sua pistola uccidendolo, come poi in paese venimmo subito a conoscenza.

            Sul sito I Massacri di Arezzo 1944 (https://arezzomassacri.weebly.com/il-casentino.html), riguardo all’episodio è detto brevemente che “il 25 giugno il 4° Squadrone, il “Volante”, attaccò una motocicletta side-car, ferendo un tedesco che però riuscì a fuggire”; nulla è scritto sull’autista del side-car e sulla causa della sua penosa morte. Prima di essere ucciso aveva percorso con il laccio al collo almeno 25 chilometri e in gran parte in salita.

         E’ possibile che Vladimiro avesse realizzato quell’azioni di guerriglia, agendo autonomamente, e che quindi il 4° Squadrone "Lucio Nencetti"  non centri nulla. Quando lo incontrammo con il suo prigioniero, Vladimiro era completamente solo, e non vedemmo arrivare sulla stessa strada alcun altro partigiano. La strada più breve e facile per raggiungere Pieve Socana dalle zone partigiane del Pratomagno (zona di Talla-Crocina) era quella di Salutio, sulla sponda destra dell’Arno. Se per spostarsi all’andata o al ritorno fossero passati per Castel Focognano, dove non vi erano né fascisti né tedeschi, i partigiani li avremmo visti. Vladimiro era sulla strada per Carda perché li era di stanza la base del suo distaccamento “Faliero Pucci”.

         Nel dopoguerra, nel corso di varie discussioni che si svolgevano nella mia casa tra mio padre e due capi partigiani della Compagnia “I” del 3° Battaglione “Pio Borri”, Libero Burroni e Leo Boncompagni, e in cui si decideva di scegliere, come più meritevoli di riconoscimento, i partigiani e i patrioti da comunicare all’ANPI, fu spesso discusso sul comportamento di Vladimiro. Ricordo che Burroni disse che quando tornò a casa i suoi compaesani, conoscendo i suoi delitti, lo avevano aggredito e picchiato sonoramente.

         Quello stesso il 25 giugno dell'attacco al Side-car, i tedeschi si limitarono, come rappresaglia, a distruggere tre case di Pieve a Socana, antico centro etrusco, e a rastrellare tutti i civili, che messi al muro con le mani alzate e interrogati, misericordiosamente furono poi rilasciati. Evidentemente, non essendo stato ucciso l’ufficiale, non dettero molta importanza alla cattura dell’autista italiano, poi ucciso barbaramente. Per loro era importante la regola, per ogni tedesco ucciso uccidere dieci italiani. Di rappresaglie chieste dagli italiani, difficilmente se ne occupavano.

                Quelli descritti erano, infatti, episodi che tutti a Castel Focognano e dintorni conoscevano, apprendendolo da contadini o dagli stessi partigiani del III Battaglione, ed erano discussi, tanto che quando si spargeva la voce che Vladimiro veniva in paese con i suoi uomini (lo ricordo bene), tutti i paesani restavano in casa o scappavano nel timore che fossero loro gli obiettivi di quella spietata formazione comunista, i cui raid in paese rigaurdavano di procurarsi gli approvvigionamenti, prendendo particolarmente di mira la fattoria "Bonomi".

         E’ corretto uccidere in combattimento uomini nemici in divisa e armati, ma è anche facile e disonorevole giustiziare un prigioniero, per di più disarmato, o andare a prelevare con la forza bruta delle armi persone civili che hanno un certo ceto sociale, come dottori, farmacisti, banchieri, benestanti, ecc. E quindi elementi da eliminare secondo la teoria comunista, quella di far scomparire le classi dirigenti, in un paese dove non ci sono avversari che ti contrastano al momento dell’agognata presa del potere. E ciò avveniva strappandoli alle famiglie angosciate, con l’accusa, spesso falsa o fornita da delatori, spesso vere spie, di essere fascisti e ucciderli freddamente.

         Io durante la mia permanenza a Castelfocognano non ho visto nessun civile ucciso o ferito dai fascisti, anche quando da Rassina, lo ripeto, venivano in forze, per effettuare pagliaccesche scene dimostrative, come quelle di allinearsi sulla strada e sparare a lungo verso la chiesetta della Pretella (a nord) come atto di sfida ai partigiani, nulla di più. Ma aimè, gli omicidi avvennero in quel tranquillo paese a opera della “banda” comunista, guidata da Vladimiro.

            Quando la Storia è veritiera, e io sono riconosciuto come uno storico serio che non fa sconti, il revisionismo va scritto esattamente come gli episodi, anche i più crudi, sono realmente accaduti; ma non sopporto esagerazioni e tanto meno la faziosità, che è particolarmente odiosa quanto é originata da cause politiche, volendo nascondere la realtà.

         Fare almeno una targa ai quattro uomini assassinati dai partigiani di una banda di esaltati, dovrebbe essere doverosa per il Sindaco e la Giunta attuale di Castel Focognano, ma sono convinto che, essendo di sinistra, e temendo le reazioni che sempre ci sono,  manca loro la volontà e il coraggio.

         Nella cerimonia rievocativa di domani (Domenica 8 luglio 2018) degli oratori al monumento dei quattro impiccati a Castel Focognano, nel clima di esaltazione, si abbia almeno il coraggio di accennare qualcosa anche sulle altre quattro vittime del paese, ripeto del paese!

         Spero molto che qualche familiare, o qualcuno che era stato amico dei quattro civili fucilati e del motociclista, mi contatti per posta elettronica, o per posta normale, in modo da farmi conoscere i loro nomi l’età e la loro professione, che non ricordo. Sarò grato anche a coloro che volessero fornire sugli episodi altri particolari e i loro ricordi, che inserirò nel mio saggio.

         Comunque, questo mio intervento, che intendo riportare, dopo stampato in anteprima, in vari siti storici, servirà almeno a fare aprire gli occhi dopo 74 anni di omertà.

 

 

7 luglio 2018.

 

Francesco Mattesini (francesco.mattesini@fastwebnet.it), Via Imera, n. 3, Roma – 00183


                [1] Ho sempre la visione di un militare tedesco, che periodicamente veniva a Castel Focognano da Rassina in motocicletta per servizio, e che una volta aveva consegnato il suo fucile a un conoscente italiano, e per finta se lo faceva puntare contro. Fu una grossa leggerezza da parte dell’italiano. Vi fu una spiata, e quell’uomo, la cui abitazione nella piazza era davanti alla mia residenza, accusato di fraternizzare con i tedeschi ed essere una spia, era uno dei quattro ad essere prelevato dai partigiani di Licio Nencetti, e poi liberato per intercessione di mio padre.

 

                [2] Avendo la camera dell’abitazione (venendo da Rassina un palazzo alto sul lato sinistro,  della piazza di Castel Focognano) nel piano superiore, proprio sopra il luogo dell’impiccagione, distante non più di 30 metri, io e i miei genitori, che avevamo i tedeschi nel sottostante appartamento dove si era svolto l’interrogatorio degli uomini, vedemmo tutto e io lo ricordo come se fosse oggi. Al più alto dei quattro partigiani (quello impiccato al gelso sul lato sinistro della strada direzione per Rassina), che toccava il terreno scosceso con la punta dei piedi, gli aguzzini della Kompanie 16 del 4 Regiment-Brandenburg lo fecero girare su se stesso fino alla morte.

Edited by Francesco Mattesini
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Vede, Mattesini, per questo ha ragione Lei: questi argomenti è meglio non toccarli, ma solo perché sono divisivi; Lei stesso ha frainteso il motivo del mio intervento puramente di opportunità "navale e marittima".

Avessi pensato ad altro lo avrei scritto senza problemi.

Buon fine settimana.

 

 

P.S.: ... non sono mai stato marxista.   :lol: ... nemmeno quando, ai tempi di scuola, sarebbe stato molto comodo e fruttuoso con le ragazze.

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Questo lo avevo capito, ed io ho sempre votato al centro. La formazione partigiani di mio padre era "Badogliana". Ma io vorrei che i parenti dei quattro fucilati avessero giustizia. Purtroppo alla cerimonia di oggi non saranno ricordati, perché il sito "Arezzo Notizie" dove io lo chiedo alla Giunta di Castel Focognano, ha cancellato l'ultima parte dell'articolo, ad iniziare da dopo io parlo dell'uccisione dell'autista del side-car.

Buona Domenica

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Effettivamente non è di argomento "marittimo e navale", ma cosa importa?

Si tratta di una testimonianza diretta degli avvenimenti, questo è l'interessante.

Che episodi simili siano avvenuti non dovrebbe essere una sorpresa per nessuno, è ridicolo che qualcuno si offenda perché li si ricorda.

Infatti credo non si sia offeso nessuno.

L'AIDMEN dovrebbe essere un gruppo di amici e tra amici si può parlare di tutto, polemizzare educatamente e magari anche prendersi amabilmente in giro.

Forse ci stiamo prendendo troppo sul serio. 

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Su richiesta dell'amico Mattesini, posto due immagini. E' vero che non si tratta di materia marittima o navale, ma di una testimonianza personale di uno storico navale e nostro apprezzato socio che non mi sento mio malgrado di censurare.

 

Mattesini scrive:

"La prima foto rappresenta Castel Focognano. Il palazzo in basso a sinistra, che ha sul tetto l'abbaino, è quello in cui la famiglia Mattesini e la famiglia Bianchini, sfollate da Arezzo, abitavano ospitati da parenti. Al primo piano, dove c'è la terrazza, si svolse l'interrogatorio degli uomini, una ventina compresi i quattro partigiani, da parte di tre ufficiali tedeschi. Il cortile a sinistra, quello delle stalle, è il luogo dove gli uomini, a sinistra del cortile, erano stati tenuti allineati al muro in attesa dell'interrogatorio.

La nostra abitazione dava sulla facciata del palazzo dove vi è in alto una finestrella, quella della nostra camera da cui assistemmo all'esecuzione dei partigiani, proprio sopra la sala della sottostante abitazione in cui si svolgevano gli interrogatori. La strada che scende, dopo la fila di alberi della piazza, è quella in cui i quattro partigiani furono impiccati, a 30 metri circa dalla nostra finestra. Le case lungo la strada non esistevano, essendo più recenti, e nello stesso punto vi erano i campi con i vigneti."

 

"La seconda foto rappresenta il posto dove i quattro partigiani furono impiccati il 4 luglio 1944, tre sul lato destro verso Rassina dove è il monumento, su tre grosse piante da uva del campo del mio parente Luigi Falzini, e uno sul lato sinistro su un gelso. Il monumento commemorativo del comune di Castel Focognano (sede a Rassina) tra l'altro riporta il nome delle quattro vittime. Le case che si vedono dietro il monumento allora non c'erano, sono costruzioni successive. Sulla destra della fotografia, a una ventina di metri di distanza vi è il grosso palazzo/fattoria (non ripreso) in cui, ospitata dai parenti, viveva la famiglia Mattesini (quattro persone). La finestra in alto era quella della loro camera. Da lì, in prima fila (sic), tra i pochi testimoni, videro tutto."

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  • 2 weeks later...

Ho scoperto chi era "Vladimiro". Conosco adesso quale é  stata la sua attività come partigiano. Era vice comandante di plotone e ufficiale responsabile delle requisizioni ( che significa ruberie anche violente) di un famoso distaccamento di partigiani fiorentini, responsabile dei massacri del 12 aprile 1944 nella zona del Monte Falterona (Valluccione e paesi vicini) con 216 morti tra la popolazione civile, uomini, donne e bambini, per rappresaglia dei tedeschi.

 

Sto cercando di avere, per completare il saggio per l'Accademia EDU, i nomi dei quattro fucilati dalla banda partigiana, ma finora il Comune di Castel Focognano (di sinistra), che si trova certamente in imbarazzo, non mi ha risposto. Aspetterò, altrimenti sarò presto costretto ad andare a Castel Focognano di persona, e sarà mia cura trovate i nomi dei fucilati e la data della morte e di farlo sapere al mondo.

 

Francesco Mattesini

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Era vice comandante di plotone e ufficiale responsabile delle requisizioni ( che significa ruberie anche violente) di un famoso distaccamento di partigiani fiorentini, responsabile dei massacri del 12 aprile 1944 nella zona del Monte Falterona (Valluccione e paesi vicini) con 216 morti tra la popolazione civile, uomini, donne e bambini, per rappresaglia dei tedeschi.

 

 

Mattesini, mi scusi, una domanda che forse dalle sue parole non capisco bene: i 216 morti civili furono uccisi dai partigiani o dai tedeschi?

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Il 12 aprile, elementi comunisti fiorentini della brigata “Faliero Pucci” (novanta uomini di cui quaranta ex prigionieri alleati), che operava nella zona del Monte Falterona, uccisero due tedeschi e ne ferirono in terzo, e nella rappresaglia che segui l’indomani nella zona di Stia, a Vallucciole, Partina e Moscaio, vi fu un elevato bilancio di morti; 216 persone, di cui 108 soltanto a Vallucciole: 43 uomini, 43 donne e 22 bambini, trucidati con estrema crudeltà dalle forze, appiedate, del 2° Reggimento corazzato della Divisione della Luftwaffe Hermann Göring, che stava proteggendo i passi appenninici di La Calla e Mandrioli, da dove passavano parte dei rifornimenti diretti ai fronti tedeschi di Cassino e Anzio. Più che per due soldati uccisi, è da ritenere che i tedeschi vollero dare un chiaro esempio per allontanare i partigiani da quella zona nevralgica della Linea Gotica in costruzione.

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  • 3 weeks later...

AVVENIMENTI A CASTEL FOCOGNANO (AREZZO) DEL 4 LUGLIO 1944, E DELLE OPERAZIONI PARTIGIANE NELLA ZONA DEL PRATOMAGNO

                                                                                          Da uno degli Allegati della monumentale relazione, da mio padre maresciallo Antonio Mattesini

 

___________________

 

        

         Nel 1974, nel trentesimo anniversario dell’episodio dell’attacco tedesco a Castel Focognano del 4 luglio 1944, mio padre, maresciallo di fanteria Antonio Mattesini, già in servizio fino al 12 settembre 1943 al SIM del Comando Supremo come capo disegnatore, e poi dal dicembre 1943, dopo lo sbandamento dell’8 settembre, organizzatore e capo della Compagnia “I” (Informazioni) del 3° Battaglione “Pio Borri” della 23a Brigata Partigiana Garibaldina (“Arezzo”), già da tempo in pensione ma nominato sottotenente onorario per la sua attività di partigiano, fece un aggiunta alla sua monumentale relazione, scritta nel 1944-1945 per l’Associazione Nazionali Partigiani d’Italia (ANPI). Castel Focognano,  ridente paese agricolo del fiorente Casentino, si trova adagiato  sulle pendici di un contrafforte del Monte Pratomagno, alle origini del torrente Soliggine, affluente di destra del Fiume Arno. La nuova relazione si trova nella cartella personale di mio padre, che per motivi affettivi, ma soprattutto di ricordi, conservo gelosamente.

         La parte introduttiva di mio padre, aggiunta alla relazione consegnata all’ANPI di Firenze nel 1945, e pertanto assolutamente inedita, è la seguente:

 

ATROCITA’ NAZISTE IN TOSCANA NEL 1944

 

         In Castel Focognano, dal 2 dicembre 1943, aveva sede una formazione patriottica denominata “Centrale Militare del Casentino”, perche costituita prevalentemente da militari sbandati in seguito ai noti eventi bellici dell’8 settembre 1943; difatti era composta da: ufficiali, sottufficiali ed altri militari delle tre Forze Armate, carabinieri, pubblica sicurezza, vigili del fuoco, (ivi compreso l’Ufficiale allora comandante ad Arezzo e da altre personalità come: medici, ingegneri, studenti, sacerdoti e monaci, vennero incorporati anche uomini e giovani di leva del luogo che non avevano aderito alle chiamate della Repubblica Sociale Italiana.

         Lo scopo di questa formazione consisteva soprattutto sulla difesa, (in attesa di ricongiungersi ai comandi e reparti per porsi agli ordini del Governo Nazionale), e non sull’offesa, tanto da ottenere per la loro serietà e onestà l’ammirazione delle popolazioni, (apolitica ed indipendente da altre formazioni).

         Entrò a far parte della III^ Brg partigiani – 23^ Divisione “Arezzo” solo nell’ultima decade di giugno 1944, perché in maggioranza anch’essi operavano con gli stessi principi a scopo puramente patriottico per la difesa e l’integrità di quel tratto della linea “Gotica”, affinché con la presenza di dette forze della resistenza non venisse fortificata dai tedeschi. Tutti questi reparti erano comandati da un valente capitano on SPE, ottimo ed esperto ufficiale dell’Esercito, (ora generale) [Raffaello Sacconi], il quale inviò alla Centrale anche altri fidati elementi di rinforzo e protezione della stessa, che portò così i suoi effettivi a circa 120 uomini.

 

Segue la Relazione consegnata all’ANPI di Firenze

__________

 

OPERAZIONI D’ATTACCO E D’ACCERCHIAMENTO DI CASTEL FOCOGNANO DA PARTE DELLE SS TEDESCHE, CONTRO I PARTIGIANI DELLA COMPAGNIA “I” DEL III BATTAGLIONE 23^ BRIGATA GARIBALDINA[1]

- 4 LUGLIO 1944 -

                Circa le ore 6 del giorno 4 luglio 1944, il Presidio di Castel Focognano venne di sorpresa attaccato da parte delle SS tedesche [come sappiamo erano invece reparti della Wermacht], con nutrito fuoco di armi automatiche pesanti e leggere, nonché da moltissimi colpi d’artiglieria mortaio in direzione della montagna.

         Lo scopo dei nazisti era di sopraffare e catturare tutti i componenti del reparto, accerchiando il paese da tutte le direzioni.

         Difatti un plotone di circa 60 uomini, provenienti da Nord, puntò sul paese assumendo tre direzioni: - la prima da Casa Nuova (q. 589) scese a Castel Focognano, seguendo il fosso del Fontanone; -  la seconda seguendo la mulattiera per le Vaglie e Ghizzano, nonché il fosso dei Fagiani, raggiunse il capoluogo; - la terza da Ghizzano, attraversando il fosso Fagiani alla confluenza con fosso Vallezzi, risalì a Cerreto (q. 513), e seguendo poi la rotabile, puntò pure sull’abitato.

         Questo plotone, durante la marcia lasciò per misure di sicurezza, due pattuglie distaccate: - una con un’arma pesante a 200 metri circa ad est di Casa il Sasso Grosso; - la seconda, pure con altra arma pesante ad ovest di Cerreto e più precisamente alla Maestà.

         Altro plotone, proveniente da Terrossola portando seco i già quattro noti partigiani, catturati nei pressi della Vite [erano della 2a compagnia], da Podere Greta, scese a Belvedere, puntando anch’esso sull’abitato di Castello.

         Il grosso, (autotrasportato), proveniente da Rassina, giunto presso il ponte di Pieve Socana, si arrestò a causa dei primi sbarramenti anticarro, formati con tronchi d’albero, i quali vennero in parte distrutti col fuoco, in parte scansati con i mezzi corazzati pesanti.

         Per ultimare quest’opera si crede che abbiano silenziosamente lavorato a lungo per stabilire a Castel Focognano, il contatto con gli altri reparti.

         Ma giunti al ponte del Molino (q. 343), furono completamente bloccati a causa del ponte distrutto [precedentemente] dalle mine dei partigiani.

         Intanto che i tedeschi provvedevano al loro piano e alle nuove direzioni da seguire, elementi partigiani di guardia in quei pressi, cercarono di portare velocemente la notizia al Comando, altrettanto fecero quelli dislocati nelle altre zone già citate.

         Il grosso assumeva intanto le seguenti direzioni di marcia:

         Un plotone prese l’itinerario della mulattiera delle Fontacce e Casa il Giardino, raggiunsero il paese seguendo il Soluggine; un altro plotone, marciando pari passo col primo, seguì il torrente per circa un chilometro, e attraversando i campi, attaccò il paese ad est della fattoria “Bonomi”; - altra colonna di circa 35 uomini, marciò sulla rotabile, evitando il passaggio dagli sbarramenti, già deposti dagli uomini del presidio.

         Questa terza colonna del grosso, per protezione inviò tre pattuglie, armate pure con armi pesanti, nei seguenti luoghi: - una nei pressi delle Casine (q. 428), una a Balestro e l’altra nelle alture del Ceppato, in prossimità di Casa Farneto.

         Tutte le suddette colonne tedesche serrando il cerchio a morsa, raggiunsero Castel Focognano, quasi contemporaneamente, facendovi (come abbiamo detto) un fuoco concentrati da ogni parte.

         Dopo circa mezz’ora di sparatoria accanita, entrarono a gruppi in ogni casa, catturarono tutti gli uomini rimasti in paese e perquisirono inoltre minutamente ogni luogo, asportando molto bottino.

         Durante il fuoco, vennero feriti: Cinti Remigio, Conti Adelmo e Paperini Giuseppe. Tra i catturati vennero presi alcuni componenti la compagnia, non potuti evadere in tempo il paese, per raggiungere il reparto in montagna. Tra i catturati rimase ferito anche Cerofolini Cesare, perché malmenato col calcio del moschetto da parte di un caporale tedesco.

         Alcuni dei catturati, vennero rilasciati dopo qualche tempo, altri sfruttando la accidentalità del terreno, riuscirono a raggiungere miracolosamente il bosco, riunendosi ai compagni; altri ancora meno fortunati vennero trattenuti, fotografati e sottoposti ad uno stringente interrogatorio da parte di tre ufficiali nazisti. Alle insistenti domande tutti gli interrogati negarono compatti di appartenere a bande armate e di essere a conoscenza di piani e formazioni partigiane [in realtà non potavano saperlo non essendo partigiani].

         Verso le ore 11, vennero condotti nella piazzetta , di fronte all’ingresso della Chiesa, (forse per commettere in quel luogo sacro i delitti già prefissi)[2], portando seco anche i quattro partigiani catturati nei pressi di Terrossola, i quali a differenza degli altri, erano stati legati precedentemente, con le mano dietro la schiena.

                Anche il partigiano Pieri Piero, della 2^ compagnia, già ferito nello scontro di San Piero in Frassina, benché in condizioni fisiche debolissime per le gravi ferite riportate, scoperto dai nazisti in un’aula delle scuole elementari[3] (ospedale da campo del III btg.) dove era stato condotto dai compagni per meglio essere curato dal medico Dott. Giorgi venne fatto alzare seminudo e tradotto anch’esso assieme agli altri. Il parroco [Enrico Lachi], vedendolo in quelle tristi e pietose condizioni, lo ricoprì col suo manto, anche perché in quel momento imperversava la pioggia.

         Il Pieri, si salvò dichiarando, che venne giorni addietro ferito da sconosciuti mentre mieteva un campo di grano. Altrettanto asserirono i presenti interrogati dai tedeschi presenti alle domande.

         I nazisti dopo aver fatto con la violenza preparare il pranzo in alcune case, consumarono quanto esisteva per i bisogni propri e dei componenti di quelle povere famiglie [sic].

         Usciti dal pranzo molto avvinazzati [sic], condussero i quattro partigiani (legati) nella strada che dal paese conduce a Rassina e nei pressi del ponte del condotto, li impiccarono alle piante; tre su alberi da uva il quarto ad un gelso dalla parte opposta della strada.[4]

         Tutti gli altri già obbligati a rimanere al muro con le braccia alzate per oltre 6 ore, vennero popi rilasciati compreso il Pieri.

         I criminali lasciarono il paese facendo ritorno a Rassina, Chitignano e Bibbiena nel pomeriggio, trasportando inoltre al seguito il bottino già citrato.

         In prossimità dei quattro martiri ancora appesi alle piante, venne condotta e data al fuoco l’automobile del Dott. Giorgi, perché accusato di prestare le proprie cure ai partigiani feriti e malati. Anche il dottore poté salvarsi, perché raggiunse per tempo la montagna.

         I componenti la compagnia “I” ad eccezione dei catturati poco prima dell’arrivo dei tedeschi ripiegarono in montagna, una parte protetti dalla 3^ compagnia, puntò su Monti Cornioli, dove si erano concentrati quasi tutti i reparti del III° btg., per portarsi nella linea già preparata a difesa dal Comandante Sacconi Raffaele. Altri elementi furono invece costretti a ripiegare verso sud perché nuovamente attaccati dai centri di resistenza tedeschi lasciati nelle zone già citate.

         Questi ultimi, perduto il collegamento col grosso si portarono nella zona controllata dalla 4^ compagnia, riuscendo però ad incontrare solamente pochi elementi di retroguardia, rimasti ancora verso Ornina e Salutio.

         Il grosso del III° btg., accettò battaglia nella zona già preparata a difesa, ma i tedeschi anziché accettare il fuoco, preferirono il ritorno ai loro accampamenti, forse perché avevano previsto il nostro piano difensivo a nostro favore.-

 

         Su quest’ultimo episodio io non vidi nulla, e neppure sentire sparare un colpo d’arma, forse perché lo scontro avvenne lontano dal paese. Ricordo che una trentina di partigiani della 1a Compagnia del 3° Battaglione “Licio Nencetti”, comandata dal ventenne Libero Burroni – di professione Marmista –, sbucarono come dal nulla al momento che i cadaveri dei quattro impiccati furono trasportati al cimitero dal biroccio di un mio parente, il contadino Luici Falsini (la moglie Zelinda Biondini era la sorella di mia nonna), che aveva anche provveduto a staccarli dagli alberi del suo campo assieme ad altri uomini del paese, tutti anziani. Io, con altri ragazzini, seguivo il trasporto proprio dietro il piccolo biroccio (le gambe degli impiccati, coperti da lenzuoli, oscillavano davanti a noi), e Burroni che mi conosceva bene, essendo quasi ogni sera a casa nostra in consulta con mio padre, mi disse “che fai qui, torna a casa”, costringendomi ad allontanarmi. Ma io restai poc o distante per poter continuare a vedere.  Per il resto, mentre i tedeschi indisturbati si erano allontanati in buon ordine, marciando in tre righe nella strada per Rassina, quel giorno 4 giugno a Castel Focognano non avvenne altro.

 

Francesco Gianfranco Mattesini


                [1] La compagnia “I” (Informazioni) era stata organizzata e comandata da mio padre. La relazione contiene varie cartine delle operazioni (con le quote metriche), che per la loro grandezza sono omesse.

                [2] La relazione compilata da mio padre per l'ìANPI di Firenze, dovette essere concordata con i vari capi delle compagnie  partigiane, ognuno dei quali, riunitisi ogni sera nella nostra casa di Arezzo (via Cavour n. 126), volle metterci del suo, motivo per cui vi sono parecchie omissioni e alterazioni e esagerazioni dei fatti reali, che andrebbero rivisti. Avevo poco più di otto anni e ricordo, infatti, che a parte gli uomini tenuti parecchio tempo con le mani alte, guardati da uomini col fucile spianato, prima degli interrogatori, e tutti liberati meno i quattro partigiani catturati, non vi fu alcun atto di offesa nei confronti delle donne e dei bambini né distruzione delle abitazioni.

                [3] Dove, sfollato da Arezzo dal 3 dicembre 1943, ho completato la seconda elementare assieme alla bambina Rossana Malatesti, che nel 1964 sarebbe divenuta mia moglie, oggi defunta dopo cinquant’anni di convivenza felice. Ha lasciato in me un grande vuoto.

                [4] Avendo la camera della abitazione proprio sopra quel luogo, io e i miei genitori vedemmo tutto e lo ricordo come se fosse oggi. Al più alto dei quattro partigiani, che toccava a terra con i piedi, lo fecero girare su se stesso fino alla morte. Quando è veritiera, la Storia va scritta esattamente come gli episodi sono accaduti, ma non sopporto esagerazioni e tanto meno la faziosità.

 

 

 

Edited by Francesco Mattesini
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