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La tragedia del CAP ARCONA, un TITANIC tedesco


Francesco De Domenico
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Dal libro di Robert P. Watson, "The Nazi Titanic. The Incredible Untold  Story of a Doomed Ship in World War II",  Da Capo Press, Boston, 2016.

 

CAP ARCONA era una grande turbonave passeggeri varata il 14 maggio  1927 da Blohm und Voss di Amburgo per la Hamburg-Suedamerikanische Dampfschiffahrt Ges. (in breve Hamburg-Sued), 27.561 tsl e 20 nodi. Compie il viaggio inaugurale Amburgo-Buenos Aires via Vigo, Lisbona, Madeira, Rio de Janeiro, Montevideo con partenza il 19 novembre 1927, con  1.325 passeggeri a bordo, di cui 575 in suites di lusso di prima classe, 275 in cabine di seconda classe e 475 in cameroni di terza classe. Tra i passeggeri vi sono Clark Gable e il poeta amburghese Hans Leip, noto come l'autore di "Lili Marlene", in viaggio di nozze. Una ricca argentina noleggia due suites solo per i suoi 14 cani, mentre una ricca famiglia brasiliana fa sistemare vacche e galline nella stiva in modo che i suoi bambini possano avere latte e uova fresche ogni mattina.

Tra il 1927 e il 1939 CAP ARCONA compie 91 traversate atlantiche per il Sudamerica della durata media di cinque settimane, trasportando 57.859 passeggeri. Ma a partire dalla fine del 1936 le prenotazioni si diradano, a causa delle sempre più diffuse  notizie sul regime dittatoriale  e sulle leggi antisemitiche imposte dal regime nazista, dello spettacolo poco incoraggiante offerto dalle Olimpiadi di Berlino dell'estate 1936, e delle restrizioni poste ai viaggi all'estero dei cittadini tedeschi (fatta eccezione per la notoria campagna di crociere popolari  "Kraft durch Freude", la forza per mezzo della gioia, una forma propagandistica di dopolavoro dei lavoratori nazionalsocialisti, di cui faceva parte tra le altre la tragica WILHELM GUSTLOFF).

Nell'ultimo viaggio, svolto nell'agosto 1939, al ritorno da Argentina, Uruguay e Brasile tutti i passeggeri meno due sbarcano nel porto francese di Boulogne, evidentemente nel timore di trovarsi bloccati in Germania dallo scoppio della guerra mondiale. Dopo aver ricevuto da Berlino una sequenza di sempre più allarmanti segnali contenenti le istruzioni per il naviglio mercantile tedesco in vista delle ostilità, la nave rientra ad Amburgo il 24 agosto, una settimana prima dell'attacco alla Polonia.

Non appena completata l'occupazione nazista della Polonia, CAP ARCONA va nel Baltico, a Gotenhafen (oggi la polacca Gdynia) vicino a Danzica il 29 novembre 1939 per servirvi da nave caserma (Wohnschiff). Viene formalmente requisita come tale dalla Kriegsmarine il 29  novembre 1940 in vista della Unternehmen Barbarossa, l'attacco all'URSS del giugno 1941.

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Ma questa utilizzazione passiva viene interrotta dalla decisione di Joseph Goebbels di produrre dei film di propaganda  da contrapporre ai grandi successi antinazisti hollywoodiani come  "Il grande dittatore" di Charlie Chaplin (1940), "Casablanca"  di Michael Curtiz (1942), il britannico "In Which We Serve" di Noel Coward (1942), "Why we fight" di Frank Capra. Ora, nel 1936 aveva avuto grande successo in Germania il libro di Josef Pelz von Felinau "Titanic. La tragedia di un transatlantico". Nel settembre 1941 lo sceneggiatore Harald Bratt ebbe l'idea di ricavarne un copione per un film e lo propose a Goebbels, cui l'idea piacque subito molto, nell'intento di farne un successo propagandistico-commerciale rappresentando una grande storia di stupidità, vigliaccheria e avidità di danaro, naturalmente tutte qualità da attribuire ai britannici. La regia venne affidata a Herbert Selpin, un regista di grande successo popolare, che nel dicembre 1941 pretese ed ottenne una riscrittura del copione per aumentarne la spettacolarità,  la drammaticità e il quoziente di nazismo, affidandola al suo collaboratore  Walter Zerlett-Offenius, un nazista fanatico. La sceneggiatura definitiva (febbraio 1942) conteneva tra l'altro  un assassino di provenienza mediterranea cui si alludeva come ebreo, dei personaggi britannici bollati come spietati capitalisti, ufficiali e marinai meschini ed egoisti, passeggeri in prima classe vigliacchi, e stereotipi etnici come latini teste calde, irlandesi ubriaconi e litigiosi, donne zingare che cercavano di sedurre uomini sposati, e scandinavi calmi e cavallereschi fino all'ultimo. C'è infine un coraggioso quanto immaginario ufficiale  tedesco di nome Petersen che tenta invano di avvertire gli ufficiali circa il pericolo di una navigazione ad alta velocità in una zona infestata dagli iceberg, ed è l'unico che coraggiosamente salva i passeggeri intrappolati nei ponti inferiori. A lui si contrappone il plutocrate cattivo,  Bruce Ismay, il presidente della società armatrice White Star Line, che voleva a qualunque costo conquistare il Nastro Azzurro  per aumentare il valore delle azioni della società e quindi esigeva la massima velocità  dal capitano promettendo la ricchezza ai suoi azionisti. Il miliardario americano John Jacob Astor (quello del Waldorf Astoria) viene rappresentato mentre dice alla giovane moglie che potrebbe facilmente comprarsi il TITANIC come regalo di compleanno per lei. La compagna di Ismay si preoccupa solo di recuperare tutti i suoi gioielli e si allontana dalla nave che affonda con una scialuppa vuota a metà, e Petersen salva con lei anche il marito con l'idea di farlo processare per i suoi crimini, ma il magnate verrà assolto.

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La produzione del film iniziò nel febbraio 1942 in un set faraonico allestito a Berlino, compresa la costruzione di un perfetto modellino del TITANIC lungo quasi dieci metri, che doveva esser affondato di notte in un lago nel Brandeburgo (con le luci del set che violavano clamorosamente   il blackout imposto contro  i bombardieri notturni  della RAF in volo verso Berlino), ma alla fine Selpin ne rimase insoddisfatto e pretese di usare un transatlantico vero per le riprese in esterni e sul ponte. Venne scelto il CAP ARCONA, ancora in uso da parte della Kriegsmarine  come nave caserma  e scuola per gli equipaggi degli U-Boote in addestramento nel Baltico, pitturato in grigio e con solo tre fumaioli contro i quattro del TITANIC, ma con molte somiglianze strutturali con la nave della White Star.  La nave venne ripitturata con i colori del 1912 (ma con i fumaioli bianchi e grigi anziché neri e ocra per le esigenze della pellicola) e fatta inclinare su un fianco per simulare l'affondamento.

Ma i ritardi subiti dalla produzione avevano fatto infuriare Goebbels, che maltrattò il regista Selpin, il quale, afflitto da un problema di alcolismo, durante una serata a metà maggio 1942 se la prese a sua volta con Zerlett e insultò pubblicamente la Wehrmacht e dette dei vigliacchi ai soldati tedeschi. Zerlett lasciò il set e avvertì la Gestapo a Berlino, che alla fine di luglio, a produzione ormai quasi conclusa, convocò il regista a Berlino. Qui fu interrogato personalmente da Goebbels, ma rifiutò di ritrattare le sue parole ingiuriose. Il 31 luglio Selpin venne arrestato e ne fu organizzata l'impiccagione in carcere, camuffata da suicidio. Il film venne terminato  il 31 ottobre 1942 da un regista nazista  poco noto, Werner Klinger.

Ma quando Goebbels lo visionò, il 17 dicembre, proprio la sera di un duro bombardamento della RAF su Berlino, si rese conto che la sua proiezione per il pubblico tedesco poteva rivelarsi un boomerang. Un film di persone abbandonate su una nave in affondamento con un comandante scemo poteva ben  esser visto come uno specchio della situazione tedesca del momento, dato che la guerra ormai volgeva al peggio. Le scene dell'affondamento poi erano molto realistiche e impressionanti, certo poco apprezzabili dai tanti tedeschi che avevano perso familiari ed amici in mare. La proiezione in Germania fu vietata,  ma nel 1943 il film uscì nelle sale a Praga e in altri paesi occupati,  in Svizzera, Svezia, Finlandia, Grecia,  Spagna, Belgio, e nel settembre 1943 a Parigi, dove riscosse un grande successo di pubblico. In Germania sarà proiettato solo nel 1955, dieci anni dopo la guerra.

Nel 1958 la casa cinematografica inglese Rank Film produsse a sua volta un film sul TITANIC, "A Night to Remember", per la regia. di Roy Ward Baker. E questi pensò bene di utilizzare le scene dell'affondamento girate da Selpin per il loro realismo e la loro qualità sul piano della tecnica cinematografica.

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Finita la parentesi cinematografica, CAP ARCONA torna al suo ruolo di nave caserma, ma nel gennaio 1945 viene riattivata per partecipare alla Unternehmen Hannibal, l'evacuazione forzata di due milioni di civili rifugiati e di un milione di soldati dalla Prussia orientale e dai paesi baltici di fronte alla travolgente avanzata dell'Armata Rossa tra il 23 gennaio e il 9 maggio 1945. La nave doveva caricare il massimo numero possibile di profughi a Gotenhafen e portarli in Danimarca e nei porti tedeschi più a ovest. Salpa per la prima volta il 31 gennaio con 10.000 rifugiati a bordo, e durante il primo viaggio urta una mina sovietica ma riporta solo pochi danni e continua la rotta fino a Copenaghen. Il 20 febbraio il capitano della nave Johannes Gerdts, al comando dall'ottobre 1943, riceve l'ordine di compiere una nuova traversata del Baltico per recuperare altri rifugiati, e sotto l'effetto dello stress si suicida. Viene sostituito da Heinrich Bertram, in passato secondo e poi primo ufficiale a bordo. Dopo sommarie riparazioni alle macchine, CAP ARCONA compie il secondo viaggio a tutta velocità per sfuggire ai sommergibili sovietici come lo S-13, un battello di progettazione tedesca (ironia della sorte: un prodotto della IvS, Ingenieurskantoor voor Scheepsbouw, la società tedesca sotto bandiera ombra olandese che progettava e realizzava i prototipi degli U-Boote aggirando il divieto del Trattato di Versailles; in questo caso si trattava di un battello analogo agli U-Boote del tipo IA). Lo S-13 il 30 gennaio aveva affondato il WILHELM GUSTLOFF del Deutsche Arbeitsfront, 25.484 tsl/1938, provocando da 5.100 a 5.384 vittime con solo da 654 a 904 superstiti e poi il 10 febbraio lo STEUBEN del Norddeutscher Lloyd, 14.660 tsl/1923, con altre 3.608 vittime e 659 superstiti. Poi il 27 marzo CAP ARCONA parte per una terza volta imbarcando tra gli 8 e 9.000 profughi che porta in salvo in Danimarca il 5 aprile. In totale, nei tre viaggi la nave ha recuperato 25.795 tra soldati feriti, profughi civili e funzionari nazisti dalla Prussia orientale.
Il 13 aprile il capitano Bertram riceve l'ordine di portarsi a Neustadt nella baia di Lubecca, dove arriva il giorno successivo unendosi alla nave passeggeri DEUTSCHLAND della Hamburg-Amerika Linie, 21.046 tsl/1923, e al piccolo cargo THIELBEK della Knoehr & Burchard, 2.815 tsl/1940, entrambi reduci dalla stessa Unternehmen Hannibal.

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Il campo di concentramento per lavori forzati di Neuengamme, vicino ad Amburgo, era nato come dipendenza di quello di Sachsenhausen, e in quanto ubicato in una ex fornace prossima a delle cave d'argilla produceva mattoni e materiali da costruzione per conto di alcune imprese tedesche. I forzati nel campo erano soprattutto prigionieri sovietici, e la crescita della popolazione carceraria era stata tale che si erano creati una novantina di lager satelliti; a fine 1944 c'erano 49.000 prigionieri nell'insieme, tra cui 13.000 ebrei polacchi e ungheresi provenienti da Auschwitz. Da Neuengamme sono passati complessivamente qualcosa come 106.000 detenuti: 34.350 sovietici (incluse 5.900 donne), 16.900 polacchi, 11.500 francesi, 9.200 tedeschi, 6.950 olandesi, 4.800 belgi, 4.800 danesi, 850 italiani ecc. Durante l'inverno 1944/45 il tasso di mortalità mensile era pari a 1.700 persone, in febbraio ne morirono 2.500.

Il 19 marzo 1945, con l'approssimarsi della fine, Hitler disse a Himmler e a Goebbels di distruggere i campi di concentramento e i loro detenuti, per evitare che sopravvivessero alla sconfitta del Terzo Reich, e quindi di liquidare tutte le prove dell'Olocausto. Il 14 aprile, Himmler ordinò a sua volta a tutti i comandanti dei campi superstiti (molti erano già caduti in mano degli Alleati) di evacuarli immediatamente, per evitare che i detenuti cadessero vivi in mano nemica.
A Neuengamme il comandante del campo, tenente colonnello Max Pauly, decise di evacuare i prigionieri verso nord, verso la costa baltica, distante circa 100 km, l'unica direttrice ancora libera dagli Alleati.
Verso il porto di Neustadt, nel golfo di Lubecca, convergevano anche i prigionieri provenienti da Mittelbau-Dora a Nordhausen e da Stutthof vicino Danzica: sopratutto ebrei e prigionieri russi.
A questo punto il Gauleiter di Amburgo, Karl Kaufmann, che era anche Reichskommissar fuer Handelsschiffahrt, ministro della marina mercantile (e che come tale aveva concluso con Pierre Laval nell'agosto-novembre 1942 gli accordi per la cessione ai tedeschi di quasi tutto il naviglio mercantile di Vichy nel Mediterraneo), prende il controllo delle quattro navi da lui appositamente raccolte nella baia di Lubecca, le grandi navi passeggeri CAP ARCONA e DEUTSCHLAND, ancorate in rada a tre km dalla costa, e i due cargo ATHEN (della Deutsche Levante Linie, 4.451 tsl/1936, già usato dalla Kriegsmarine come nave spazzamine SPERRBRECHER 2) e THIELBEK, ormeggiati al molo, e ordina ai loro comandanti di prendere a bordo i prigionieri provenienti da Neuengamme.

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Nel frattempo, il 30 marzo il conte Folke Bernadotte, vice presidente della Croce Rossa svedese, che aveva già ottenuto il rilascio dai lager di Sachsenhausen e Dachau di 4.400 prigionieri scandinavi, era entrato a Neuengamme e aveva visto con i suoi occhi le spaventose condizioni del campo, da lui definite "paragonabili a quelle del campo di sterminio di Dachau". Poi il 2 aprile incontra Himmler, che com'è noto gli chiede di aprire un negoziato per una pace separata con Eisenhower. Il 19/20 aprile tutti i 4.225 detenuti scandinavi di Neuengamme vengono da lui liberati: in quella circostanza, Bernadotte vede molti detenuti non-scandinavi caricati su carri bestiame diretti non si sa dove, e subito dopo - per stare appresso al flusso dei detenuti - apre un ufficio della Croce Rossa a Lubecca, dove i prigionieri stavano convergendo. Il 23 e 24 aprile nuovi incontri tra Bernadotte e Himmler presso il consolato svedese a Lubecca: il capo delle SS acconsente a liberare altri prigionieri da Neuengamme, a condizione che il conte trasmetta subito la proposta di un armistizio sul fronte occidentale ad Eisenhower. In totale, negli ultimi due mesi di guerra Bernadotte riesce a liberare dai lager più di 21.000 prigionieri, tra cui 8.000 scandinavi, 2.629 francesi, 1.124 tedeschi, 1.615 ebrei e 7.000 donne.
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Intanto, l'ordine di Himmler del 14 aprile evacuare i lager viene applicato. I primi prigionieri escono dal campo il 19 aprile diretti a Lubecca, altri seguono tra il 20 e il 27 aprile. Il campo di Neuengamme verrà chiuso il 30 aprile, dopo che gli ultimi 3.000 detenuti non in grado di muoversi erano stati massacrati dalle SS, dai kapo e dalle guardie: le truppe britanniche arrivate il 4 maggio lo troveranno vuoto. I primi arrivi via treno a Lubecca si verificano lo stesso 19 aprile. In tutto ne arriveranno oltre 11.000, migliaia sono morti durante il tragitto. Due navi svedesi, MAGDALENA e LILLIE MATTHIESSEN, salpano il 30 dalla baia di Lubecca per la Svezia, una con 223 europei occidentali, l'altra con 225 donne provenienti dal campo di Ravensbrueck; oltre 250 detenuti di Neuengamme salpano sempre a cura della Croce Rossa svedese con la nave WESTPREUSSEN.

L'ordine è quello di imbarcare tutti i prigionieri sulle navi in rada, CAP ARCONA e DEUTSCHLAND, usando i piroscafi ATHEN e THIELBEK come navette. Il comandante del CAP ARCONA Bertram e gli altri cercarono di opporsi, ma il Gauleiter Kaufmann fu inflessibile, e l'imbarco cominciò il 20 aprile. Il 26 aprile ne vennero imbarcati su CAP ARCONA e THIELBEK altri 2.500 e dal 27 al 30 aprile ancora 6.500, quasi tutti da Neuengamme. C'era una precisa graduatoria nelle assegnazioni. Le SS occupavano le suites di lusso sui ponti superiori, i prigionieri tedeschi le cabine di prima classe, polacchi e cechi quelle di seconda, francesi, italiani e olandesi in terza, e infine i soldati sovietici e gli ebrei nelle stive. Poi le SS sbarcarono su loro richiesta il 1° e il 2 maggio e vennero sostituite come guardie da 200 anziani della milizia Volkssturm. Ma prima di andarsene, le SS rimossero e misero sotto chiave tutti i giubbotti e le ciambelle di salvataggio e qualunque altra cosa che potesse galleggiare come le panche di legno; le 26 scialuppe e zattere di salvataggio vennero sfondate per renderle inutilizzabili. Con ciò era stato reso chiaro all'equipaggio di sole 70 persone che cosa avevano in serbo i carcerieri per i prigionieri sulla nave.

Date le condizioni sempre più disumane a bordo, il 30 aprile 2.000 prigionieri (quasi tutti francesi, con qualche belga, olandese e svizzero) vengono sbarcati su istanza del capo dell'organizzazione dei detenuti a bordo, l'attore tedesco Erwin Geschonneck.

Per contro il 2 e 3 maggio altri 500 detenuti vengono imbarcati a forza e in fretta e furia sul CAP ARCONA a mezzo di zattere e motolance e gettati nelle stive. Intanto il piroscafo ATHEN lascia il porto di Lubecca e va nel Golfo di Neustadt: questa mossa salverà la nave. Lo stesso giorno, CAP ARCONA viene rifornito di 100 tonnellate di carburante da una cisterna inviata da Kiel. Con l'avvicinarsi delle truppe britanniche a Lubecca, il Gauleiter Kaufmann aveva infatti una gran fretta di liberarsi del problema autoaffondando le quattro navi-prigione prima dell'arrivo degli Alleati.

Intanto il 2 maggio viene anche emanato l'ordine (ancora ufficioso) agli equipaggi di cominciare ad autoaffondare le navi da guerra tedesche.

Il 3 maggio arriva nella baia di Lubecca l'ordine di Kaufmann di autoaffondare subito le navi prigione, curando che nessun prigioniero a bordo sopravvivesse.

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Il 3 maggio 1945, a cinque giorni dalla fine della guerra, sei squadriglie di cacciabombardieri Typhoon IB della RAF (2nd Tactical Air Force) armati ciascuno con otto razzi da 60 libbre oppure con bombe da 500 o 1.000 libbre decollano dalle loro basi nella Germania settentrionale con l'ordine di attaccare la concentrazione di naviglio tedesco individuato nelle baie di Lubecca e di Neustadt, risparmiando solo le navi della Croce Rossa. In realtà la zona era in gran parte già nelle mani delle truppe britanniche, e quindi il fuoco antiaereo era ridotto al minimo. Un solo Typhoon fu abbattuto dall'antiaerea, ma il pilota si salvò con un atterraggio forzato.

I bersagli principali erano naturalmente le due grandi navi passeggeri, CAP ARCONA e DEUTSCHLAND, che i piloti ritenevano carichi di truppe tedesche da portare in Norvegia, l'ultima possibile ridotta del Terzo Reich. Il CAP ARCONA, che era disarmato, non recava alcun segno di riconoscimento per indicare che aveva a bordo dei prigionieri: le SS avevano impedito al capitano Bertram di dipingere di bianco la nave, mentre sul DEUTSCHLAND (adattato a nave ospedale, ma che aveva scaricato parte dei soldati feriti per far posto ai prigionieri) l'equipaggio, ridotto a 80 uomini più un chirurgo e 25 infermiere, aveva cercato di dipingere una croce rossa su un lato di un fumaiolo ma aveva finito la pittura.

Il DEUTSCHLAND venne attaccato per primo subito dopo mezzogiorno da 4 Typhoon e incendiato dai razzi, poi attaccato una seconda volta. Bertram fa invano alzare una bandiera bianca sul CAP ARCONA. Ma nel pomeriggio 4 Typhoon attaccano prima il THIELBEK, ancorato a mezzo miglio di distanza e che aveva anch'esso alzato una bandiera bianca, ma che si difende con le sue armi antiaeree danneggiando un Typhoon, lo colpiscono con una trentina di razzi e lo fanno affondare a poco meno di 3 miglia dalla costa. Comandante, primo ufficiale e ufficiale di macchina periscono, dopo che alcuni tra di loro avevano cercato di aiutare i prigionieri chiusi nelle stive. Tra l'altro, le scialuppe di salvataggio erano state sfondate dalle SS ed erano quindi inservibili. Solo 50 dei 2.800 prigionieri a bordo sopravvivono, e con essi pochi marinai e guardie.

Poi 5 Typhoon attaccano il CAP ARCONA, che viene colpito da una quarantina di razzi e incendiato (senza aver a bordo alcun sistema antincendio né pompe in grado di funzionare). Una cinquantina di prigionieri riescono a scendere nel piccolo traghetto usato come navetta per l'equipaggio e ormeggiato a fianco e a salvarsi. Una parte dell'equipaggio riesce a liberare i giubbotti di salvataggio posti sotto chiave ed a salvarsi anch'essa. Durante un secondo e poi un terzo attacco, l'intera nave viene investita dalle fiamme e comincia ad affondare lentamente. Un Typhoon è costretto ad un atterraggio di emergenza nei dintorni con noie al motore, ma il pilota viene salvato delle truppe britanniche ormai giunte ai margini della baia.

In un nuovo attacco sul DEUTSCHLAND, già in fiamme e sbandato, resta ucciso il comandante della nave; vengono colpite, incendiate e affondate anche altre navi minori presenti nella baia. 15 bombe sganciate da 8 Typhoon colpiscono il CAP ARCONA. A bordo, le guardie naziste sbarrano i boccaporti per impedire ai prigionieri di salvarsi, si rifiutano di aprire i ripostigli dei giubbotti di salvataggio, e perfino aprono il fuoco sui pochi prigionieri riusciti a salire sul ponte o gettatisi in mare. Anche i Typhoon, come presi da un'orgia di sterminio, si uniscono al massacro, mitragliando con i loro cannoncini da 20 mm le scialuppe di salvataggio in mare e i naufraghi in acqua. Qualche scialuppa viene ammainata da alcuni membri dell'equipaggio, che vengono poi salvati da un peschereccio tedesco nella baia. 16 marinai e più di 400 guardie SS e Volksturm vengono salvati, ma impediscono ai pescherecci intervenuti per il salvataggio di recuperare i prigionieri, riconoscibili dai loro pigiami a strisce. Il comandante Bertram viene raccolto da una motolancia e si salva, mentre il maggiore Gehrig delle SS, inviato a bordo dal comandante del campo di Neuengamme Max Pauly per costringere Bertram ad imbarcare altri detenuti del campo, cerca di salvarsi con la prima scialuppa ammainata, che però affonda per le falle aperte in precedenza dalle stesse SS e l'ufficiale annega. Altre tre scialuppe danneggiate ma calate ugualmente in mare si capovolgono per il sovraccarico di prigionieri.

Il comandante della guarnigione di Neustadt, Heinrich Schmidt, aveva dato ordine di non recuperare detenuti, e quindi gran parte dei battelli salpati nella baia per recare soccorso salvavano solo marinai tedeschi e guardie.

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Nel frattempo le truppe britanniche in avanzata avevano raggiunto Lubecca e poi i dintorni di Neustadt sin dal 2 maggio, il giorno prima dell'attacco aereo. I tanks videro da lontano l'attacco dei Typhoon. Aerei e tanks della 11th Armoured Division attaccano lo ATHEN ormeggiato in porto, che si difendeva con la sua flak (antiaerea), mettendola fuori combattimento. Diverse chiatte cariche di prigionieri provenienti dai lager si trovavano ancora attraccate in porto, non avendo fatto in tempo a trasferirli sulle navi all'ancora nella baia: vennero colpite dagli aerei e coinvolte negli scontri tra le truppe tedesche e le forze britanniche. Buona parte dei prigionieri riuscirono a salvarsi, ma per due chiatte non fu così perché una banda di nazisti (non si sa se cadetti della vicina scuola per sommergibilisti o guardie SS) pensò bene di massacrare gli sventurati ammassati nelle stive aperte. I primi superstiti approdati sulle spiagge vennero anch'essi presi sotto tiro da marinai, da cadetti e da un gruppo di giovani della Hitlerjugend; in questo, i pochi superstiti del CAP ARCONA arrivati a riva furono più fortunati, in quanto arrivarono a riva più tardi, quando ormai le truppe britanniche (159th Infantry Brigade, 15th Scottish Division, 1st Special Service Brigade) avevano respinto o annientato le guardie SS e i cadetti di marina sorpresi mentre cercavano di massacrare fino all'ultimo prigioniero, in esecuzione degli ordini ricevuti.

 

Ma solo il giorno dopo, 4 maggio, tutte le forze tedesche nella zona di Lubecca e Neustadt si arrendono. I britannici salvano così i circa 2.000 detenuti ancora stivati a bordo dello ATHEN abbandonato dalle guardie SS, privi di cibo da 12 giorni e senz'acqua da una settimana, tra cui molti ebrei e partigiani dai paesi occupati, in particolare norvegesi. Di fronte a queste scene di inaudita crudeltà testimoniate dalle centinaia di cadaveri disseminati sulle spiagge, nelle stive delle chiatte e in mare, il brigadier generale Derek Mills-Roberts della 1st Special Service Brigade convoca il feldmaresciallo Erhard Milch, comandante delle truppe tedesche della regione catturato a Lubecca, e di fronte al grottesco saluto "Sieg Heil!" di questi gli spacca in testa il bastone di maresciallo e lo costringe a visitare una spiaggia cosparsa di un centinaio di cadaveri di vecchi, donne e bambini fucilati dai suoi commilitoni. 2.500 prigionieri tedeschi vennero addetti a scavare fosse per le centinaia e centinaia di prigionieri massacrati sulle spiagge, nelle chiatte e nelle due città.

Intanto, la sera del 3 maggio gli inglesi avevano inviato dei battelli (rimorchiatori, pescherecci ecc.) alla ricerca di superstiti sui relitti delle navi passeggeri e da carico semiaffondate nella baia, e in particolare sul CAP ARCONA. Il comandante tedesco del porto di Neustadt Heinrich Schmidt si vanta che 6/8 dei suoi battelli avevano salvato circa 200 persone: ma in realtà si trattava solo di marinai tedeschi e di SS, mai di prigionieri. Si verifica tuttavia anche qualche caso isolato, come un cameriere di cabina tedesco del CAP ARCONA, che prende il controllo del rimorchiatore AKTIV e lo riporta accanto al relitto per salvare dei superstiti, e così pure due pescatori locali a bordo del loro peschereccio che salvano 18 sopravvissuti.

In serata, il CAP ARCONA, che aveva bruciato per tutto il pomeriggio, comincia a capovolgersi con centinaia di sventurati ancora rimasti a bordo. Alcuni si salvano su motobarche e pescherecci. La grande nave resta capovolta su un fianco in acque basse sopra il pelo dell'acqua. Anche le soprastrutture del THIELBEK sbandato restano emerse poco lontano. Il DEUTSCHLAND affonda parzialmente per ultimo. Il relitto in fiamme dello ATHEN, svuotato dei prigionieri, viene fatto rimorchiare in rada dai britannici per evitare che esplodesse in porto; affonderà al largo.

Per settimane di seguito dei cadaveri provenienti dalle tre navi saranno portati a riva dalle correnti e sepolti in una fossa comune a Neustadt. E per anni e anni resti umani vennero depositati dalle correnti sulle coste del Baltico meridionale.

Ancora nel 1971 i resti di uno scheletro vennero trovati sulla spiaggia di Neustadt.

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Il piroscafo THIELBEK, 2.815 tsl/genn.1940, venne recuperato negli ultimi mesi del 1949 (con il ritrovamento di 49 scheletri a bordo) e rimesso in servizio nel 1950 dallo stesso armatore, Knoehr & Burchard Nfl. di Amburgo, con il nome REINBEK. Nel 1961 passò sotto bandiera panamense prima come MAGDALENA poi nel 1966 OLD WARRIOR. Fu demolito nel secondo trimestre 1974 a Spalato.

La motonave ATHEN, 4.451 tsl/sett. 1936, sopravvissuta agli attacchi, venne invece riparata e ceduta nel 1946 all'URSS a titolo di riparazioni di guerra come GENERAL BRUSILOV, poi nel maggio 1947 passata alla Polonia come WARYNSKI, porto di armamento Gdynia. Fu tolta dal servizio nel 2° trimestre 1970, usata come deposito galleggiante NP-ZPS8 a Stettino e qui demolita in seguito.

Il relitto della turbonave DEUTSCHLAND, 21.046 tsl/dic. 1923,  rimane sul fondo nella baia di Neustadt, e i sub hanno in più occasioni trovato resti umani nelle sue  stive.

Quanto alla turbonave CAP ARCONA, 27.561 tsl/ott. 1927, il relitto poggiato su un fianco venne spostato verso riva a Neustadt dalle correnti e qui demolito nel 1949.

I morti sul CAP ARCONA sono stati forse 4.500 secondo una  stima prudenziale, oltre 5.000 secondo un'altra; quelli sul THIELBEK 2.500, sul DEUTSCHLAND almeno diverse centinaia tra feriti tedeschi, personale medico e detenuti, mentre su ATHEN i 1.998 detenuti si salvarono quasi tutti. Il totale delle vittime degli ultimi giorni di aprile e dei primi tre giorni di maggio 1945  nella zona di Neustadt oscilla tra le  8 e le 10.000 persone.

 

Sul CAP ARCONA circa l'80% delle guardie e dell'equipaggio sopravvissero, circa 490 persone su 600 (16 su 70 per l'equipaggio e 20 sulle 24 guardie SS donne). Sul THIELBEK invece  circa 200 guardie naziste e l'intero equipaggio di 11 vennero perdute con la nave; solo alcune guardie si salvarono su una scialuppa.

Tra i prigionieri se ne salvarono circa 350 sul CAP ARCONA e una cinquantina sul THIELBEK.

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Nel campo di concentramento di Neuengamme, liberato come detto il 4 maggio quando ormai il comandante Max Pauly era riuscito a svuotarlo del tutto, 17.000 prigionieri erano morti solo negli ultimi due mesi, in totale oltre 50.000 (compresi i campi satellite) nell'arco degli anni di guerra dal 1939 in poi. Dal campo sono passati oltre 106.000 prigionieri: 34.350 sovietici, 16.900 polacchi, 11.500 francesi, 9.200 tedeschi, 6.950 olandesi, 4.800 belgi, 4.800 danesi.

Il comandante Max Pauly venne catturato alla fine della guerra dagli inglesi, processato ad Amburgo e impiccato nell'ottobre 1946.

Ma nel dopoguerra gli inglesi continuarono ad usare fino all'agosto 1948 il lager per ospitare ebrei russi che non volevano tornare in patria, e come prigione per ex SS ed altri esponenti nazisti. Poi fu usato dalla città di Amburgo come prigione fino al 2004, quando fu chiuso definitivamente.

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Quando ho letto il libro mi sono chiesto che cosa sarebbe successo se gli inglesi non avessero bombardato le navi.

L'intenzione dei tedeschi di affondarle uccidendo tutti i prigionieri era chiara, i preparativi erano inequivocabili, ma arrivati a quel punto della guerra, in un clima di si salvi chi può, nessuno sembrava aver fretta di farlo.

Gli inglesi stavano arrivando, tutto era pronto da qualche giorno. Perché aspettare?

Io credo che senza il bombardamento buona parte dei prigionieri si sarebbe salvata.

E da parte inglese, che senso aveva bombardare delle navi che entro pochi giorni sarebbero sicuramente cadute in mano loro?

Se mai sarebbe stato logico cercare di impedire ai tedeschi di autoaffondarle.

Da qualche parte ho letto che si voleva impedire che i tedeschi trasportassero truppe in Norvegia per continuare li la resistenza.

Una eventualità del tutto improbabile, mi sembra più una giustificazione a posteriori.

A quel punto della guerra da entrambe le parti si era arrivati ad un completo ottundimento non solo morale, ma anche della ragione.

Nessuno ragionava più si continuava a combattere per forza d'inerzia.

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