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AFFONDAMENTO DEI CACCIATORPEDINIERE GIOBERTI E FRECCIA


Francesco Mattesini
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Il seguente testo è tratto dal mio  libro “La Marina e l’8 Settembre”, USMM, 2002, p. 157-164

 

 

          Purtroppo, ancora una volta, venne a mancare una efficace protezione antisom negli approcci delle grandi basi italiane, dal momento che nella rotta di rientro a Genova l’8a Divisione Navale dell’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo, che era scortata dai cacciatorpediniere della 14a Flottiglia Mitragliere (capitano di vascello Giuseppe Marini), Carabiniere (capitano di fregata Gianmaria Bongioanni) e Gioberti (capitano di fregata Carlo Zampari) fu sottoposta ad un attacco subacqueo, da parte del sommergibile britannico Simoon (tenente di vascello G.D.N. Miller), che ebbe tragiche conseguenze.

          Infatti, dopo una sosta a La Spezia, gli incrociatori dell’ammiraglio Fioravanzo avevano ripreso il mare alle ore 17.10 del 9 agosto dirigendo, alla velocità di ventiquattro nodi, verso Punta Mesco, seguendo la rotta di sicurezza costiera – orientata per 225° - in una formazione allungata, in linea di fila, col Mitragliere in testa alla formazione, seguito da Garibaldi, Aosta, Carabiniere e Gioberti, mentre in cielo vigilava una scorta aerea di quattro velivoli da caccia e un idrovolante “Cant Z. 506”, che svolgeva servizio antisom. Subito dopo aver raggiunto l’altezza di Punta Mesco, la 8a Divisione effettuò un’accostata di 90° a sinistra, mettendo la poppa verso la costa. Nel contempo i cacciatorpediniere di coda ricevettero l’ordine di portarsi in posizione di scorta laterane, con il Carabiniere sul fianco sinistro degli incrociatori e il Gioberti sulla dritta. Gli ultimi due cacciatorpediniere erano dotati di ecogoniometro, l’efficiente scandaglio di costruzione tedesca, il cui funzionamento di scoperta subacquea era agevolato dal mare calmo.

          Dopo aver oltrepassato il punto terminale della rotta di sicurezza, con la formazione navale che, trovandosi in lat. 44°03’N, long. 09°34’E, stava dirigendo verso il vicino punto di approdo B, per poi accostare in direzione di Genova, alle 18.24 si verificò il segnale d’allarme di uno dei velivoli da caccia, pilotato dal Comandante dell’8° Gruppo, maggiore Mario Bacich. Questi, dopo aver lanciato una fumata bianca che indicava scia di siluro, abbassandosi verso il mare, sparò in acqua alcuni colpi di mitragliera per indicare il punto di provenienza della minaccia.(1)

In quel momento l’incrociatore Garibadi si trovava a poche centinaia di metri dal punto B, da dove poi avrebbe dovuto accostare per prendere la rotta ovest (270°), ed era seguito a 500 metri dall’Aosta, e proceduto di 1.000 metri dal Mitragliere, mentre invece il Gioberti e il Carabiniere, rispettivamente a 1.000 metri sulla dritta sulla sinistra della nave ammiraglia, manovravano, risalendo la formazione, per raggiungere le assegnate posizioni di scorta laterale.

          Puntando il binocolo nella direzione degli zampilli determinati dalle raffiche del velivolo, l’ammiraglio Fioravanzo, che sul Garibaldi si trovava in plancia Ammiraglio, individuò le scie di quattro siluri che ritenne fossero diretti contro l’incrociatore, ed immediatamente ordino alla sottostante plancia Comandante della nave, di accostare a sinistra con il sistema rapido di emergenza a pulzanti luminosi (pulsanti rosso e verde per permettere al timoniere di dirigere su un lato o sull’altro). Contemporaneamente le scie dei siluri erano state viste anche dal Carabiniere, mentre passavano davanti alla sua prora.  Il cacciatorpediniere, prima di accostare per portarsi sul punto di lancio del sommergibile, trasmise il prescritto segnale in fonia su onde ultracorte al Comando dell’8a Divisione Navale, e in grafia, sull’onda generale, e usando anche il lampeggiatore, a tutte le altre unità della formazione.

          La manovra, che comportava di dirigere verso i siluri per passare loro di poppa, era stata già iniziata dal Garibaldi, che per una incertezza aveva appena accostato a sinistra e poi a dritta, quando le quattro scie, che avanzavano in rotta di collisione con l’estremità prodiera della nave e con un impatto molto prossimo ai 90°. I siluri furono visti passare a poche decine di metri dalla prua dell’incrociatore, e dirigere oltre verso il Gioberti, che si era accorto della minaccia poiché, ad imitazione del Garibaldi, aveva alzato la bandiera rossa di pericolo e inoltre aveva dato il ricevuto al segnale di allarme trasmesso dal Comando della Divisione. Il cacciatorpediniere, che era l’unità di dritta della formazione e quindi la più lontana dal punto di attacco del sommergibile Simoon, invece di manovrare accostando, avendone tutto il tempo, continuo a procedere quasi alla massima velocità con rotta rettilinea per raggiungere il punto di scorta laterale ordinata.

          La speranza che il Gioberti non venisse colpito andò delusa, perché il cacciatorpediniere, che aveva avvistato le scie dei siluri ad una distanza di almeno 2.000 metri, non effettuò nessuna accostata. Il suo comandante, contò di schivare l’attacco con l’aumento della velocità, che però ebbe soltanto un lieve incremento dal momento che il Gioberti procedeva già ad andatura elevata. All’ultimo istante l’unità tentò di effettuare una disperata accostata a sinistra, ma era ormai troppo tardi.  Raggiunto all’estrema poppa da due dei quattro siluri, il Gioberti continuò ad avanzare in accostata a sinistra ancora per un centinaio di metri, per poi saltare in aria a causa della deflagrazione del deposito munizioni. Il cacciatorpediniere affondò rapidamente, in  circa  un  minuto  e  mezzo  dal  momento  in cui era stato colpito, con elevato numero di perdite umane. (2)

          Mentre il Garibaldi e l’Aosta, si allontanavano dalla zona in cui si era verificato l’attacco, il Mitragliere e il Carabiniere, imitati dall’idrovolante “Cant Z. 506”, si portarono rapidamente nella zona in cui il sommergibile aveva effettuato il lancio dei siluri, sganciandovi alcune bombe antisom, per poi raggiungere gli incrociatori. Questi ultimi entrarono nel porto di Genova verso le ore 20.00, mentre invece i due cacciatorpediniere invertirono la rotta per rientrare a La Spezia.

            Il fatto che il Mitragliere e il Carabiniere non si fossero fermati nella zona dell’affondamento del Gioberti, fu giustificata con il fatto alquanto semplicistico che il sinistro si era verificato in una zona molto prossima a La Spezia, al quale era stato subito segnalato d’inviare subito mezzi veloci di soccorso. Ma sebbene le condizioni atmosferiche fossero ottime e il mare calmissimo, occorse oltre un’ora di tempo prima che una squadriglia di Mas arrivasse sul posto.

           Riferisce l’ammiraglio Fioravanzo che la colpa dell’affondamento del Gioberti era da addebitare al suo Comandante, in quanto avrebbe potuto schivare i siluri, imitando la manovra di scampo del Garibaldi. Il capitano di fregata Zampari, al quale furono diretti dalla nave ammiraglia segnali ottici, radio e acustici per indurlo ad alterare la rotta, aveva invece erroneamente stimato di poter far passare di poppa i siluri procedendo alla massima velocità, ma la manovra non gli era riuscita. Fu parzialmente giustificato per la perdita della sua nave, con il fatto che da pochi giorni imbarcato sul Gioberti, si trovava a svolgere la sua prima missione in comando.

          L’ammiraglio Bergamini, [Comandante in Capo della Squadra Navale] si mostro sorpreso per il fatto che un sommergibile nemico si era venuto a trovare in posizione di attacco in una zona, che era già stata esplorata da Marina La Spezia, e che usualmente poco usata dai sommergibili britannici, perché, essendo a poca distanza da Punta Mesco, era anche sorvegliabile da terra.

Nel dopoguerra l’ammiraglio di divisione Vitaliano Rauber, Capo dell’Ufficio Storico della Marina Militare, mostrò chiaramente di non concordare con il fatto che la colpa dell’affondamento del Gioberti era stata addebitata, dall’ammiraglio Fioravanzo, al fatto che non era stato “possibile comunicargli per radiofonia l’ordine di accostare” e, denunciando apertamente un’altra grave lacuna nell’attività delle navi della flotta, scrisse al riguardo nel suo libro La lotta antisommergibile:

 

         Certo i mezzi e l’organizzazione di plancia di allora non erano quelli oggi disponibili, tuttavia gli oltre 100 secondi trascorsi tra il primo avvistamento e l’arrivo dei siluri sul GIOBERTI avrebbero dovuto essere sufficienti per trasmettere al Ct, l’ordine di cui sopra, anche con i mezzi di allora. La verità era che la limitatissima attività degli incrociatori negli ultimi mesi e la troppa attività non di squadra dei CC.tt., avevano fatto decadere l’addestramento alle comunicazioni e alle manovre dei reparti navali.

 

         Riguardo poi al fatto che soltanto il cacciatorpediniere Carabiniere aveva condotto un breve lanciò di otto bombe contro il Simoon,e poi lasciare subito la zona per tornare a scortare gli incrociatori, l’ammiraglio Rauber, lamentando il fatto che il sommergibile britannico se l’era cavata con pochi danni, sostenne: “Probabilmente se il CARABINIERE avesse reiterato l’attacco impiegando l’ecogoniometro l’azione A/S avrebbe potuto avere diverso risultato”.

         Confortante fu ancora una volta il fatto che il collegamento con gli aerei di scorta dell’8° Gruppo Caccia fu considerato “ottimo”  dall’inizio dei turni di scorta fino alla fine della navigazione dal Direttore della Caccia, capitano pilota Armido Pilatone, il quale sottolineò: “I cambi delle pattuglie di scorta avvengono con perfetta regolarità sul cielo della formazione” navale. Fu poi grazie alla tempestività della vigilanza aerea se il Garibaldi aveva potuto evitare i siluri lanciati dal sommergibile Simoon, uno dei quali era passato a soli venti metri di distanza dalla prora dell’incrociatore;  e questo fatto indusse il capitano Pilatone a proporre un encomio per il pilota che aveva dato l’allarme. L’ammiraglio Bergamini si associò a questa proposta di encomio, da iscriversi nel libretto personale del maggiore Bacich, e propose a Supermarina “di tributare un elogio all’8° Gruppo Caccia per la continua fattiva collaborazione”.  

         Sulle base di quanto proposto dal Comandante delle Forze Navali da Battaglia, il 26 agosto il Capo di Stato Maggiore della Marina  inviò  a  Superaereo la seguente lettera n. 24125:

 

         Gli aerei da caccia dell’8° Gruppo che la sera del 9 c.m. erano di scorta all’8^ Divisione Navale, hanno segnalato con tempestività l’attacco di un Smg. nemico, permettendo poi alla nave ammiraglia di evitare i siluri con la manovra.

         Prego V.E. voler far pervenire agli equipaggi di detti aerei una parola di elogio

                                                                                IL CAPO DI STATO MAGGIORE

                                                                                               F/to de Courten

 

         Occorre dire che l’allontanamento da Genova della 8a Divisione Navale salvò forze i due incrociatori dell’ammiraglio Fioravanzo da riportare danni a causa di un bombardamento che si sviluppò contro il capoluogo ligure nella notte sull’8 agosto, e che portò nuovi lutti alla Regia Marina.

         Allo scopo di esercitare una grossa pressione sul Governo Badoglio, che aveva dichiarato alla radio “La guerra continua”, il Comando Bombardieri della Royal Air Force (Bomber Command), che era diretto dal generale Harris, aveva pianificato una contemporanea serie di incursioni su Torino, Milano e Genova. L’operazione entrò in vigore nelle ore serali del 7 agosto, con il decollo dagli aeroporti dell’Inghilterra di centonovantasette micidiale quadrimotori “Lancaster”, dei quali quarantasette con il compito da fare da battipista (“Pathfinder”), sganciando  bengala e bombe incendiarie per il riconoscimento degli obiettivi. Seguirono poi i bombardieri veri e propri, che erano dotati di bombe di grosso calibro e incendiarie.  

         Sorvolando Le Alpi, con provenienza dalla Francia, andarono a colpire Milano ventitré “Pathfinder” dell’8° Gruppo e cinquanta bombardieri del 5° Gruppo. Furono diretti su Torino ventiquattro “Pathfinder” e cinquanta bombardieri del 1° Gruppo. Infine, usufruendo dell’illuminazione degli obiettivi da parte dei ventitré “Pathfinder” che avevano partecipato all’incursione su Milano, arrivarono su Genova cinquanta bombardieri, dei quali ventidue del 1° Gruppo e ventotto del 5° Gruppo. Le perdite britanniche, a causa della deficienza italiana nella difesa contraerea e di caccia notturni, furono limitate a due velivoli, dei quali uno soltanto abbattuto su Milano, mentre l’altro precipitò in Francia, nella rotta del rientro. Per contro i danni inflitti alle tre città del triangolo industriale risultarono molto gravi e luttuosi nei confronti della popolazione civile.

         Complessivamente arrivarono su Genova settantadue “Lancaster” su settantatre decollati dalle basi, e l’obiettivo “fu centrato nel raggio di tre miglia dal punto  di  mira  da  63  apparecchi”.   Gli  edifici  della  città,  soprattutto  quelli  della Stazione Principe e nelle sue vicinanze, riportarono gravissimi danni, essendo stati centrati da gran parte delle novantaquattro bombe esplosive, comprese venticinque da quattromila libbre, e da settantacinque tonnellate di bombe incendiarie.

          Nel porto il cacciatorpediniere Freccia, della 7a Squadriglia, che si trovava ormeggiato al molo Parodi  fu centrato alle 01.25 da due bombe, che andarono ad esplodere vicino allo scafo aprendovi squarci. I conseguenti allagamenti portarono nello spazio di venti minuti all’affondamento dell’unità che, rovesciandosi sul fianco sinistro, rimase completamente immersa. I morti dell’equipaggio del Freccia furono soltanto tre mentre i feriti assommarono a cinquanta, cinque dei quali gravi. Nessun danno riportarono le navi mercantili presenti nel porto, ma diverse chiatte furono colpite da bombe incendiarie e presero fuoco assieme al rimorchiatore Adua, che però riuscì a domare le fiamme abbastanza agevolmente. Furono invece colpite con danni abbastanza gravi le caserme Compamare e Finanza, magazzini, moli e darsene. 

 

 

 

 

 


(1) In quel momento l’incrociatore Garibadi si trovava a poche centinaia di metri dal punto B, da dove poi avrebbe dovuto accostare per prendere la rotta ovest (270°), ed era seguito a 500 metri dall’Aosta, e proceduto di 1.000 metri dal Mitragliere, mentre invece il Gioberti e il Carabiniere, rispettivamente a 1.000 metri sulla dritta sulla sinistra della nave ammiraglia, manovravano, risalendo la formazione, per raggiungere le assegnate posizioni di scorta laterale.

 

(2) Il Simoon, che era comandato dal tenente di vascello  G.D.N. Miller, aveva lasciato il 4 agosto la sua base di Algeri, sede della 8^ Flottiglia Sommergibili britannici, per una missione da svolgere nel Golfo di Genova. Passando al largo di Bastia, l’8 agosto aveva attaccato una nave ausiliaria senza successo, e alle 18.15 del 9, si trovò sulla rotta dei due incrociatori italiani, che riconobbe scortati da tre cacciatorpediniere del tipo “Oriani”. Contro le navi nemiche, che navigavano a velocità stimata di ventidue nodi, il comandante Miller fece partire sei siluri, e nella successiva caccia a cui fu sottoposto dalle unità di scorta, riportò danni ad un tubo lanciasiluri, che rimase inutilizzabile. Il Simoon continuò ad operare nella zona del Golfo di Genova ancora per sei giorni, e rientrò ad Algeri il 18 agosto.  

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