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Wilhelm Eck, unico comandante di Uboot processato per crimini di guerra


jacopoenzo2007
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Il massacro dell'equipaggio del cargo Peleus

L'insulsa azione del comandante Eck

 

Il 18 gennaio 1944 l’U 852 del KapitänLeutnant Wilhelm-Heinz Eck lasciava le acque di Kiel con destinazione la base navale di Penang nell’oceano Indiano da dove avrebbe operato con il gruppo di U-Boote denominato “Monsun”. Appartenente al tipo “IXD-2”, l’U 852 era tra i più grandi battelli subacquei della Kriegsmarine, dotato di un potente armamento silurante e una grande autonomia ma a causa delle notevoli dimensioni la sua manovrabilità era scarsa, la velocità inferiore alle necessità e i tempi di immersioni più lunghi rispetto ai modelli standard. A dimostrazione di questa maggiore vulnerabilità c’erano i precedenti tentativi, tragicamente falliti, effettuati dagli altri battelli del tipo “IXD-2” diretti nella lontana Penang. Salpato il 29 luglio 1943, l’U 847 al comando del KL Herbert Kuppisch era stato distrutto il successivo 27 agosto a sud-ovest delle Azzorre da un “Avenger” e due “Wildcat” della portaerei di scorta statunitense CVE11 Card. L’U 848 del KorvetteKapitän Wilhelm Rollmann che aveva lasciato la Germania il 18 settembre 1943 aveva terminato la sua corsa il 5 novembre a sud-ovest dell’isola dell’Ascensione colpito da due “Liberator” del VB-107. Il 25 novembre era toccato all’U 849 del KL Heinz-Otto Schultze a occidente dell’estuario del fiume Congo affondato da un altro “Liberator” ancora del VB-107 mentre il 20 dicembre a sud-ovest delle Azzorre identica sorte era occorsa all’U 850 del KK Klaus Ewerth centrato da due “Avengers” e da due “Wildcat” della portaerei di scorta CVE-9 Bogue. Di tutti i 254 componenti gli equipaggi dei quattro U-Boote solamente un marinaio dell’U 848 era sato tratto in salvo dell’incrociatore leggero statunitense CL12 Marblehead ma avendo trascorso un intero mese su una scialuppa era deceduto pochi giorni dopo a causa della lunga esposizione agli agenti atmosferici.

 

Wilhelm-Heinz Eck, classe 1916, arruolatosi nel 1934, aveva iniziato il conflitto come comandante di dragamine ma nel 1942 si era offerto volontario negli U-Boote. A conclusione del periodo di addestramento era stato assegnato all’U 124 del KL Johann Mohr - uno degli assi del sommergibilismo tedesco - a bordo del quale aveva partecipato a una missione atlantica, ottenendo di seguito il comando dell’U 852. Nel gennaio 1944 l’ufficiale era perfettamente consapevole dei rischi che comportava la permanenza in Atlantico e, tra l’altro, era stato messo a conoscenza della disgraziata sorte a cui erano andati incontro gli altri battelli destinati all’oceano Indiano. Prima di lasciare le acque nazionali era stato avvicinato dall’esperto KL Adalbert Schnee che l’aveva ulteriormente messo in guardia confermandogli l’estrema pericolosità non solo delle acque dell’Atlantico settentrionale ma anche di quelle meridionali, in particolare nella zona tra Freetown e l’isola dell’Ascensione, a seguito della presenza di reparti aerei statunitensi su diverse basi africane e brasiliane. L’efficacia della sorveglianza alleata, in grado di individuare i resti di un affondamento “entro pochi giorni” aveva raggiunto livelli tali che una volta individuato il grande battello avrebbe avuto pochissime probabilità di salvezza: era stato questo era stato il senso dell’avvertimento di Schnee.

 

Navigando in immersione di giorno e risalendo in superficie di notte principalmente il tempo necessario alla ricarica delle batterie, l’U 852 aveva impiegato circa due mesi per raggiungere un punto al largo delle coste della Liberia. La sera del 13 marzo 1944 la sua rotta incrociava quella di un mercantile in navigazione solitaria. Dopo un breve inseguimento, alle 19.50 la nave veniva centrata da due siluri, andando a fondo in meno di tre minuti. ll breve lasso di tempo tra l’esplosione degli ordigni e l’affondamento non aveva però impedito ad alcuni membri dell’equipaggio di porsi in salvo su scialuppe e zattere inducendo Eck ad avvicinarsi per avere informazioni sul mercantile colpito che tra l’altro rappresentava il suo primo successo. Il comandante dell’U-Boot fece quindi salire a bordo due naufraghi, il terzo ufficiale, il greco Agis Kefalas, e il marinaio Pierre Neeumann di nazionalità russa a dispetto del nome occidentale: i due appartenevano all’equipaggio del cargo greco Peleus di 4.695 tsl, al servizio di Sua Maestà britannica, in navigazione tra Freetown e Buenos Aires, con un equipaggio di 35 uomini [18 greci, 9 britannici, 2 egiziani, 3 cinesi, 1 russo, 1 cileno e 1 polacco]. Dopo un breve colloquio e aver fatto risalire i due sulla zattera, Eck diede l’ordine di distruggere le scialuppe: dando per scontato che alle prime luci del giorno l’affondamento sarebbe stato scoperto dalla ricognizione alleata, anche se si fosse immediatamente allontanato dalla zona - fu il suo ragionamento - il sommergibile avrebbe potuto percorrere non più di 150-200 miglia, rimanendo dunque entro il raggio d’azione dei velivoli antisom; inoltre vi era la possibilità che sulle scialuppe stesse vi fossero apparati radio.

 

Nelle successive cinque ore il battello si aggirò tra i relitti del cargo aprendo il fuoco con il cannone da 37 mm e i due da 20 mm mentre gli uomini sul ponte lanciavano bombe a mano e sparavano con armi portatili. All’una di notte del 14 marzo Eck fece sospendere il fuoco per dirigersi alla massima velocità verso sud. Il maldestro ordine era stato eseguito in modo ancora peggiore. Alcuni uomini del Peleus infatti si erano salvati: oltre allo stesso Kefalas, ferito a un braccio, erano rimasti in vita il direttore della sala macchine Antonios Liossis, il marinaio Dimitrios Argiros, ambedue greci, e il marinaio britannico Rocco Said. Il destino inoltre doveva rendere l’azione di Eck assolutamente inutile. Contrariamente alle sue previsioni, trascorsero ben 36 giorni prima che i superstiti del cargo fossero tratti in salvo dal mercantile portoghese Alexandre Silva: così solo il 20 aprile i tre uomini - Kefalas era deceduto per le ferite riportate dopo un’agonia durata 25 giorni - poterono raccontare la loro terribile esperienza.

 

La missione dell’U 852 ebbe un altro sussulto il 1° aprile con l’affondamento al largo di Città del Capo del mercantile britannico Dahomian di 5.277 tsl colpito dai siluri lanciati in immersione: questa volta Eck rinunciò persino a risalire in superficie per ottenere informazioni sul bersaglio colpito, mettendo la prua verso il golfo di Aden. L’episodio doveva evidenziare la cattiva stella del comandante tedesco. Nel caso del Peleus la distruzione dei resti della nave non era servita a nulla visto che i superstiti erano stati individuati dopo più di mese; l’affondamento del Dahomian invece fu scoperto il giorno successivo quando i due whalers sudafricani Krugersdorp e Natalia salvarono i 49 sopravvissuti ma a dispetto dei timori di Eck il sommergibile, nonostante il pronto intervento delle forze aeronavali alleate, non venne individuato.

 

Un mese più tardi l’U-852 andava incontro alla sua tragica sorte. Il 2 maggio 1944 al largo delle coste somale veniva individuato da un “Wellington” dell’East Africa Command. Dimostrando un’abilità che stupì i piloti britannici, Eck resistette per due giornate agli attacchi condotti da diversi velivoli degli Squadrons No.8 e No.621. Dopo aver perso sette uomini, decise di far arenare il battello gravemente danneggiato lungo la costa somala dove poco più tardi insieme ad altri 58 superstiti venne catturato da un reparto del Somaliland Camel Corps e da una squadra d’abbordaggio dello sloop Falmouth. In quelle concitate ore il comandante tedesco commise una grave dimenticanza, ovvero la mancata distruzione del diario di bordo [Kriegstagebuch, KTB] dal quale gli inglesi ricavarono la certezza che l’U-852 era stato protagonista della distruzione del Peleus. I prigionieri furono trasferiti in Inghilterra, l’intera documentazione relativa al caso venne classificata “top secret” in attesa della fine della guerra e della resa dei conti.

 

Il 17 ottobre 1945, a distanza di più di cinque mesi dalla fine del conflitto in Europa, ad Amburgo Eck compariva di fronte a un tribunale militare inglese per rispondere dell’accusa di aver massacrato i superstiti di un mercantile alleato “in violazione alle leggi e agli usi di guerra”. Al suo fianco c’erano anche altri quattro membri dell’equipaggio dell’U-852: gli ufficiali Hans Lenz e August Hoffmann; il medico di bordo Walter Weisspfennig e il marinaio Wolfgang Schwender. La corte era presieduta dal brigadiere generale C.I.V. Jones, comandante della 106th AA Brigade, mentre il collegio giudicante era composto da altri sei ufficiali [due della Marina e altrettanti dell’Esercito, e due della Reale Marina greca]; la pubblica accusa era rappresentata dal maggiore A. Melford Stevenson mentre sul fronte opposto la difesa dei cinque imputati era coordinata dal professore tedesco Albrecht Wegner, esperto di diritto internazionale.

 

A parte disquisizioni giuridico-legali sulla legittimità o meno dei tribunali militari internazionali alleati o su quali leggi e convenzioni fossero state rispettate e avessero avuto effettiva validità in un conflitto conclusosi con la morte di decine di milioni di persone; oppure che Eck avesse ordinato di distruggere zattere e scialuppe e non di sparare sui naufraghi o sulla possibilità che i membri dell’U-852 potessero rifiutarsi di eseguire un ordine perchè ingiusto come se tale evenienza fosse una regola nelle forze armate hitleriane, la difesa puntò molte delle sue carte sul concetto di “necessità operativa”. Ovvero in quel momento storico caratterizzato da un’assoluta supremazia avversaria l’immediato ritrovamento dei naufraghi avrebbe provocato la perdita dell’U-Boot e quindi Eck aveva agito come qualsiasi militare di ogni tempo e nazionalità, anteponendo la salvezza dell’unità e dell’equipaggio al suo comando a qualsiasi altro interesse ancorché riconosciuto e legittimato da leggi, convenzioni o dalla morale del tempo.

 

Il processo di Amburgo si concluse il 20 ottobre 1945 dopo appena quattro giorni di udienze. Al termine di una camera di consiglio durata solo 58 minuti, i giudici rientrarono in aula per la lettura della sentenza: condanna a morte mediante fucilazione per Eck, Hoffmann e Weisspfennig; condanna alla prigione a vita per Lenz e 15 anni di carcere a Schwender. Il 12 novembre la sentenza venne controfirmata dal responsabile delle forze terrestri britanniche in Germania, il Field Marshall Sir Bernard Law Montgomery. Il 30 novembre 1945 Eck, Hoffmann e Weisspfennig finivano la loro esistenza terrena davanti al plotone di esecuzione. Lenz, condannato alla prigione a vita, e Schwender, a 15 anni, rimasero in carcere rispettivamente fino al 27 agosto 1952 e 21 dicembre 1951. Nella storia della Seconda Guerra Mondiale Wilhelm-Heinz Eck ha avuto il triste privilegio di essere stato l’unico degli oltre 1.400 comandanti di U-boote a essere riconosciuto colpevole e giustiziato per aver commesso uno stupido quanto inutile crimine di guerra.

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Wilhelm Eck, é il Comandante di Sommergibili nella seconda guerra mondiale, di tutte le Marine belligeranti, che ha dato il maggiore esempio di disprezzo della vita  di equipaggio di una nave che aveva affondato, per questo a Norinberga é stato  condannato a Morte, una giusta punizione che si era meritato.

Franco

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prima di parlare dei giapponesi parlo del caso statunitense... ma solamente perché avevo preparato già qualcosa anni fa..

ecco il testo

il caso è quello del comandante Morton del Wahoo

 

 

Se per quanto accaduto nel Mare di Bismarck la U.S. Navy non ebbe nulla da eccepire, diverso fu l’atteggiamento per l’azione compiuta qualche settimana prima dal sommergibile SS-238 Wahoo del Lt.Cdr. Dudley W. “Mush” Morton. Il 26 gennaio 1943 il battello aveva mandato a fondo il mercantile giapponese Buyo Maru di 5.447 tsl a bordo del quale si trovavano non solo soldati nipponici ma anche prigionieri di guerra indiani. In risposta ad alcuni colpi d’arma da fuoco provenienti da una delle 20 scialuppe sulle quali avevano trovato posto i superstiti e contro le quali il sommergibile aveva sparato un colpo d’artiglieria, Morton diede il via a un massacro indiscriminato. Nessuno fu risparmiato, amici e nemici. Un indiano, facilmente riconoscibile dai tratti somatici così diversi da quelli giapponesi, che si era avvicinato alla scafo per chiedere disperatamente di essere issato a bordo venne abbattuto senza tanti complimenti, su esplicito ordine del comandante accecato dall’ira e dall’odio. In 30-45 minuti tutte le scialuppe furono distrutte mediante l’impiego del pezzo principale, di due cannoni da 20 mm e delle armi portatili. Al rientro a Pearl Harbor il 14 febbraio 1943, l’ufficiale si vantò di aver eliminato “la maggior parte dei 1.500-6.000 soldati” trasportati dal Buyo Maru [11]. Quando i particolari dell’azione iniziarono a circolare suscitando parecchie perplessità, temendo le dannose polemiche sul comportamento del proprio subordinato se la notizia fosse arrivata ai media, la Marina rese pubblica una romantica immagine – ufficialmente scattata il giorno stesso dell’affondamento del Buyo Maru - dell’equipaggio dello Wahoo impegnato a rifornire di acqua e cibo gli uomini di una piccola imbarcazione da pesca: una coincidenza certamente sospetta se si considera che per tutto il conflitto le notizie sulle imprese dei sommergibili furono così centellinate che l’arma subacquea statunitense è passata alla storia con l’appellativo di “Silent Service”. Di lì a poco la Navy ebbe comunque la possibilità di dimostrare il proprio disappunto nei confronti di Morton, tristemente famoso anche per i toni razzistici con i quali appellava il nemico, ben oltre la comprensibile rabbia che animava tutti i cittadini statunitensi per l’attacco contro Pearl Harbor. Qualche mese più tardi infatti l’ammiraglio Charles A. Lockwood propose per il comandante dello Wahoo l’assegnazione postuma della Medaglia d’Onore del Congresso: nonostante la richiesta portasse la firma del comandante della flotta subacquea del Pacifico, di colui che più di chiunque altro contribuì agli straordinari successi ottenuti dalle unità a stelle e strisce nella Seconda Guerra Mondiale, la risposta fu negativa, limitata a una meno importante Navy Cross [12].

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ll britannico è invece il comandante Miers del Torbay, vecchia conoscenza - purtroppo - della Regia Marina

 

 

Andò certamente meglio al comandante del sommergibile britannico Torbay, Lt.Cdr. Anthony Cecil Capel Miers. Il 4 luglio del 1941 il battello, in missione nelle acque dell’Egeo, distruggeva due caicchi greci requisiti dalla Kriegsmarine con a bordo soldati tedeschi contro i quali fece poi fuoco con le armi di bordo. Fino a qui dunque niente di nuovo rispetto ai casi sin qui analizzati. Cinque giorni più tardi la stessa cosa si ripetè contro i caicchi L-V e L-VI. Questa volta però Miers superò certamente “la necessità operativa” di impedire a soldati nemici di mettersi in salvo per poi riprendere a combattere. Nell’abbordaggio dell’unità L-VI due tedeschi aprirono il fuoco ma vennero immediatamente uccisi. Dopo l’affondamento della piccola imbarcazione con le cariche da demolizione, almeno sette soldati della Wehrmacht furono portati a bordo del Torbay. Nonostante gli uomini fossero ormai a tutti gli effetti prigionieri di guerra e come tali protetti dalle convenzioni internazionali, un arrabbiatissimo Miers urlò ai suoi uomini che lui “non faceva prigionieri”: quello che è successo dopo non è stato mai ricostruito con esattezza ma è facile immaginarlo visto che i sette scomparvero nel nulla. Quando l’ammiraglio Sir Max Horton, allora comandante in capo dei sommergibili della Royal Navy, venne a conoscenza dell’episodio, inviò all’ufficiale una lettera di rimprovero nella quale gli ricordava le gloriose tradizioni della Marina britannica intimandogli di non ripetere in futuro simili gesta. A differenza di Morton, Miers riuscì a ottenere la sua Victoria Cross - la più alta onorificenza dell’Impero britannico - per i successi conseguiti nel Mediterraneo, e sopravvivere al conflitto

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Per quanto riguarda i giapponesi il il peggiore di tutti fu certamente il capitano di vascello Tetsunoke Ariizumi, primo perchè quello che fece fu sicuramente aberrante e poi per la circostanza che la sua fine rimase e rimane ancora oggi avvolta nel mistero. Tanto per capire l'indole del personaggio, Tetsunoke Ariizumi era conosciuto tra gli equipaggi alleati come il “macellaio”. Gli episodi sono relativi agli affondamenti dei mercantili olandese Tjisalak e statunitense Jean Nicolet,

 

Poi ci furono i comandante Hajime Nakagawa dell'I-37 (cisterna British Chivalry, motonave Sutlej, cargo  Ascot). .A differenza di quanto accadde ad Ariizumi, nel dopoguerra il comandante Nakagawa fu chiamato a rispondere del proprio operato. Nel gennaio 1947 infatti fu giudicato da un tribunale alleato e condannato a dieci anni di lavori forzati, otto dei quali effettivamente scontati prima della liberazione e del suo ritorno alla vita civile.

 

Nella classifica degli orrori Ariizuma e Nagakawa non furono gli unici. Il primo massacro in mare si verificò infatti il 14 dicembre 1943 nella baia del Bengala ad opera del RO-110 al comando del Lt. Kazuro Ebato. La vittima prescelta fu il mercantile britannico Daisy Moller in navigazione tra Colombo e Vizagapatam

 

Il 25 marzo 1944 fu la volta del cargo britannico Nancy Moller, in navigazione tra Durban e Colombo con un carico di carbone. Protagonista dell'affondamento fu il LtCdr Tsuruzo Shimizu al comande dell'I-165. Per circostanze inspiegabili, l'ufficiale non venne processato e nel dopoguerra entrò in servizio nella nuova Marina giapponese [JMSDF] raggiungendo persino il grado di contrammiraglio.

 

Nel marzo 1944 toccò al sommergibile I-26 del LtCdr Toshio Kusaka con  la “Liberty” Richard Hovey in navigazione tra Bombay e gli Stati Uniti. Come accaduto nelle occasioni precedenti il comandante del mercantile, capitano Thorsen, insieme ad altri due uomini, fu preso prigioniero mentre prima di abbandonare la zona le scialuppe dei naufraghi furono colpite da raffiche di mitragliatrici anche se l'azione non fu particolarmente insistita come dimostra il basso numero di vittime, appena quattro.

 

L'ultimo episodio criminale si verificò nell'estate successiva ad opera del Cdr Kaneo Kudo al comando del nuovissimo I-12. Per la sua prima missione il battello venne inviato verso le coste occidentali degli Stati Uniti. Nel corso della navigazione il 29 ottobre 1944 il sommergibile individuò e colpì con due siluri la “Liberty” John A. Johnson in navigazione lungo la rotta tra San Francisco e Honolulu. Raggiunta la superficie l'I-12 iniziò il bombardamento il relitto del mercantile al termine del quale, secondo prassi, si aggirò tra le scialuppe colpendo i naufraghi con mitragliatrici e pistole prima di lasciare la zona. In questo caso i morti furono sei mentre i superstiti vennero raccolti poche ore più tardi dalla nave ausiliaria Argus. L'I-12 invece scomparve nel nulla insieme all'equipaggio di 114 uomini. E' possibile che il battello sia stato affondato il 13 novembre 1944 al largo di Los Angeles dal cutter Rockford della Cost Guard e dal posamine Ardent di scorta a un convoglio. Si concludeva così la scia di sangue che aveva caratterizzato la carriera di alcuni comandanti giapponesi.

Edited by jacopoenzo2007
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Adesso ho capito, l'inglese e l'americano si erano comportato nello stesso modo, ma non erano stati fucilati.

Nel libro "Unrestricted Warfare" di James F, De Rose, scritto nel 1999, è descritto un episodio simile come fosse la cosa più naturale del mondo.

Non so si riferisse a Morton.

Sarò più preciso quando troverò il libro nella mia biblioteca.

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  • 2 weeks later...

Ho trovato il libro che riporta appunto l'episodio di Morton.

Abbastanza sorprendente che anche a distanza di tanti anni non avanzi nessun dubbio sulla correttezza del comportamento di Morton.

Conclude scrivendo:

"Little time whas spent by top U.S. commanders reflecting on the moral values associated on destroing lifeboats." ...

"This was to be a long and cruel war".

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