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L'Operazione britannica Pedestal - La battaglia aeronavale di mezzo-agosto 1942


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L’OPERAZIONE BRITANNICA “PEDESTAL”

 

LA BATTAGLIA AERONAVALE DI MEZZO AGOSTO 1942

 

Francesco Mattesini

 

        

La pianificazione delle operazioni “Pedestal”, “Bellows” e “Ascendant”

 

         Dopo il fallimento nel giugno 1942 delle operazioni Harpoon e Vigorous, che comportarono la perdita di sei navi mercantili, sulle diciassette avviate a Malta dalla Gran Bretagna e dai porti del Mediterraneo orientale (Alessandria, Haifa, Porto Said), e l’arrivo alla Valletta di due sole navi mercantili, il piroscafo Troilus e la motonave Orari, nei Comando militari di Londra e del Medio oriente vi fu molto scetticismo sulle possibilità di resistenza di Malta, e sulla convenienza di effettuare un altro tentativo di rifornimento.[1] Ciò comportava un grande spiegamento di mezzi aero-navali, ed erano previste perdite rilevanti. Com’aveva dimostrato l’ultima esperienza delle operazioni Harpoon e Vigorous, che messe in movimento dalle due estremità del Mediterraneo aveva portato alla disastrosa battaglia di mezzo giugno, come é chiamata in Italia. Inoltre, a differenza di quanto era stato allora pianificato, questa volta doveva essere seguita la sola rotta del Mediterraneo occidentale, poiché a oriente tutti gli aeroporti della Cirenaica e dell’Egitto, fino ad El Alamein, erano caduti in mano alle forze dell’Asse, dopo la conquista della piazzaforte di Tobruk da parte delle truppe motocorazzate italo-tedesche del generale Erwin Rommel, spintesi fino ad El Alamein, a 50 miglia a est della grande base navale di Alessandria.

         Il Primo Ministro britannico, che per temperamento e determinazione non era secondo a nessuno, si mostrò deciso di non abbandonare al suo destino l’isola fortezza assediata, e scrivendo all’ammiraglio ammiraglio Dudley Pound, Primo Lord del Mare, sostenne: “Il destino di Malta è in gioco e devo poter assicurare il Governo che la Marina non l’abbandonerà mai”.[2] L’ammiraglio Pound e  il signor Hon A.V. Alexander, Primo Lord dell’Ammiragliato, condivisero il punto di vista di Winston Churchill  nei riguardi di un eventuale abbandono di Malta e una sua eventuale resa, perché considerata  una perdita disastrosa per l’Impero britannico e fatale alla difesa della Valle del Nilo. Pertanto, nel corso del mese di luglio, riunendo forze navali sottratte ai più svariati scacchieri di guerra, come l’Artico, per la scorta ai convogli diretti nella Russia Settentrionale, e l’Oceano Indiano, minacciato dai giapponesi, l’Ammiragliato britannico pianificò l’ operazione Pedestal, riunendo a Greenock (Clyde) le navi di un convoglio, denominato W.S.21/SA, costituito da quattordici grosse navi da trasporto, scelte fra le più grosse e veloci delle flotte mercantili britannica e statunitensi.

          Ma vediamo ora nel dettaglio qual’era il piano della Pedestal, ad iniziare dal momento in cui il 7 luglio, in seguito ad ordine dell’Ammiragliato, il vice ammiraglio Edward Neville Syfret, accompagnato dal suo capo di stato maggiore alle operazioni, capitano di fregata Antony Henry Thorold, partì dal suo Comando di Takoradi per trasferirsi a Londra, arrivandovi a destinazione il giorno 13. Subito si trasferì all’Ammiragliato partecipando alle discussioni del piano dell’operazione Pedestal, con lo Stato Maggiore della Royal Navy e con gli ufficiali più elevati in grado che sarebbero stati sotto il suo comando: il contrammiraglio Arthur Lumley St. George Lyster, ideatore e realizzatore dell’attacco alla flotta italiana a Taranto l’11 novembre 1940, che doveva comandare una squadra di navi portaerei, e il contrammiraglio Harold Martin Burrough, comandante della 10a Divisione Incrociatori della Home Fleet che doveva accompagnare a Malta il convoglio W.S. 21/S, dopo essere stato lasciato delle forze pesanti di scorta (corazzate e portaerei) a nord di Biserta. 

          Considerando la pericolosità delle corazzate italiane, e volendo contare su una scorta più potente, Burrough suggerì che anche le navi da battaglia britanniche che dovevano partecipare all’operazione, lo accompagnassero nell’ultima parte della navigazione, attraverso il Canale di Sicilia. Considerando che quel tratto di mare, tra l’estremità sud occidentale della Sicilia e la costa tunisina di Capo Bon era fortemente insidiato per circa 100 chilometri da bassi fondali minati, e il convoglio per raggiungere Malta, muovendo per maggiore sicurezza in periodo di notte senza luna, avrebbe dovuto proseguire per circa 250 miglia con una scorta leggera, la proposta fu discussa e poi lasciata cadere perché ai più apparve improbabile che gli italiani, si sarebbero spinti con le loro corazzate in una zona che era sotto la minaccia dell’aviazione di Malta, mentre il loro eventuale intervento poteva verificarsi a sud della Sardegna.

             Prima di iniziare i movimenti della Pedestal, si svolsero due riunioni, una a Scapa Flow sulla corazzata Nelson, la nave di bandiera di Syfret, e l’altra a Clyde, a bordo della nave ammiraglia di Burrough, l’incrociatore Nigeria, dove rispettivamente furono discussi i particolari dell’operazione con i comandanti delle unità della Home Fleet, e con i capitani dei quattordici piroscafi del convoglio W.S.21/S, che per ingannare eventuali informatori del nemico era una sigla fittizia, impiegata per i convogli “Winston Specials”, diretti da Clyde in Medio Oriente ed Estremo Oriente.

Si trattava degli undici piroscafi britannici Port Chalmers (che imbarcava quale commodoro, il capitano di vascello della Riserva Albert George Venables), Clan Ferguson, Brisbane Star, Rochester Castle; Empire Hope, Glenorchy, Dorset, Deucalion, Wairangi e Waimarama, e di tre navi statunitensi, i piroscafi Almerya Likes e Santa Elisa e la modernissima petroliera Ohio, il tutto per 139.000 tonnellate di naviglio. Ad eccezione dell’Empire Hope, tutti gli altri piroscafi britannici erano veterani della rotta di Malta, e i loro comandanti ed i loro equipaggi conoscevano bene i rischi della missione a cui andavano incontro. Le navi da trasporto, capaci di una velocità di quindici nodi, imbarcarono il carico dei rifornimenti e del carburante nei porti del Canale di Bristol, a Belfast, Liverpool e Glasgow, per poi riunirsi a Gorouck, lungo le sponde dell’Estuario del fiume Clyde nella Scozia sud-occidenrtale, raggruppandosi nell’ancoraggio del Banco Tail.

Secondo un sistema adottato fino a allora, le 85.000 tonnellate di carico complessivamente destinato a raggiungere Malta fu distribuito in modo da stivare su ogni nave mercantile un minimo indispensabile di merci ai bisogni dell’isola. E questo perché, se si fossero verificate delle perdite, occorreva far giungere a destinazione almeno un minimo indispensabile ai bisogni della popolazione e della guarnigione di Malta, e quindi una parte di ogni prezioso rifornimento, che consisteva soprattutto in farina, munizioni, olio per le macchine e per il riscaldamento, e benzina avio in fusti per gli aerei. Inoltre un carico di 11.500 tonnellate di nafta e di benzina avio, necessari sull’isola per fare operare i sommergibili e gli aerei, fu interamente imbarcato a Douglas sulla petroliera Ohio (9.514 tsl), che fino alla primavera del 1942 aveva battuto la bandiera statunitense, e che messa a disposizione dal Presidente Franklin Delano Roosevelt, su richiesta di Churchill, e inscritta nel naviglio britannico divenne la nave più importante da portare a destinazione; lo stesso era avvenuto per la altrettanto modernissima petroliera Kentucky, poi affondata il 15 giugno presso Pantelleria, durante l’operazione “Harpoon”, dalle navi italiane della 7a Divisione dell’ammiraglio Alberto Da Zara.

Per evitare alla Ohio la sorte della Kentucky, che prima di essere affondata era stata immobilizzata da una bomba sganciata da un velivolo tedesco Ju. 88 del 2° Corpo Aereo (II Fluiegerkorps), caduta presso la fiancata dello scafo che aveva spezzato un tubo di vapore, su disposizioni del Ministro dei Trasporti britannico le macchine della petroliera, dalla potenza di 9.000 cavalli, vennero montate su cuscinetti di gomma, per ridurre l’effetto delle esplosioni vicine, e tutti i tubi del vapore furono rinforzati con molle di acciaio e travi da costruzione in legno.[3]

Su tutte le navi mercantili del convoglio fu poi imbarcato personale specializzato della Royal Navy, allo scopo di migliorare i collegamenti, le segnalazioni e la codificazione delle trasmissioni, e per asservire le armi contraeree, incrementate con cannoni e mitragliere di vario calibro impiegate da uomini dell’Esercito britannico.

Per la protezione del convoglio W.S.21/S, nel corso della pianificazione furono organizzati due gruppi di scorta, il tutto riunito nella Forza F, un complesso di sessanta navi comandato dal vice ammiraglio Syfret. Il primo dei due gruppi, denominato Forza Z, era destinato ad accompagnare il convoglio fino al sabbioso Banco Skerki, a nord di Biserta, l’ultima zona di mare, all’entrata occidentale del Canale di Sicilia, dove le corazzate e le portaerei potevano manovrare senza eccessivi pericoli, e che era previsto sarebbe stata raggiunta per le ore 19.15 del 12 agosto. Per assolvere questo compito, la Forza Z fu costituita con le navi da battaglia Nelson (nave di bandiera del vice ammiraglio Syfret) e Rodney, le portaerei Victorious (contrammiraglio Lyster), Indomitable  (contrammiraglio Denis William Boyd) ed Eagle, gli incrociatori Sirius, Phoebe e Charybdis e dodici cacciatorpediniere inquadrati nella 19a Flottiglia: Laforey (capitano di vascello R.M.J. Hutton), Lightning, Lookout, Quentin, Tartar, Somali, Eskimo, Wishart, Zetland, Ithuriel, Antelope e Vansittart.

Sulle tre navi portaerei della Forza Z, che al pari delle corazzate Nelson e Rodney, disponevano ciascuna di cinque apparati radar,[4] erano imbarcati esattamente cento aerei. Di essi settantadue velivoli da caccia, (47 Sea Hurricane, 16 Fulmar e 9 Martlet), erano disponibili per la protezione aerea, mentre ventotto Albacore dovevano assicurare la scorta antisommergibile e tenersi pronti ad intervenire con compito offensivo con i siluri.

Il secondo gruppo della Forza F era la Forza X, una formazione navale destinata ad accompagnare il convoglio fino agli approcci di Malta, – il cui arrivo a destinazione era previsto per il pomeriggio del 13 agosto. Al comando del contrammiraglio Burrough sull’incrociatore Nigeria, essa comprendeva i grandi incrociatori della 10a Divisione della Home Fleet Nigeria, Kenya e Mancester, del piccolo e vecchio incrociatore contraereo Cairo, dislocato a Gibilterra, e di altri dodici cacciatorpediniere inquadrati nella 6a Flottiglia della Home Fleet: Ashanti (capitano di vascello R.G. Onslow), Intrepid, Icarus, Foresight, Fury, Derwent, Bramham, Bicester, Ledbury, Pathfinder, Penn e Wilton.

           Essendo stata notevolmente rinforzata nei confronti dell’operazione di giugno, vi era il convincimento che la Forza X avrebbe potuto agevolmente contrastare un attacco della flotta italiana eventualmente avventuratasi con incrociatori e cacciatorpediniere nelle acque del Canale di Sicilia. Una volta aver accompagnato il convoglio nei pressi di Malta, la Forza X sarebbe tornata indietro lasciando il compito di scortare le navi mercantili, nelle ultime miglia di navigazione, a un gruppo navale della base. Esso comprendente, agli ordini del capitano di fregata H.J.A.S. Jerome, i quattro dragamine della 17a Flottiglia Speedy, Hebe, Hyte, Rye, e le sette motolance della 3a Flottiglia  ML 121, 126, 134, 135, 168, 459, 462, tutte navi arrivate alla Valletta a metà del precedente mese di giugno con il convoglio dell’operazione “Harpoon”.

          Il motivo per cui la Forza X non doveva entrare alla Valletta, risiedeva nel fatto che le sue navi, anche in caso di necessità, dovevano evitare di rifornirsi a scapito dei già magri depositi di Malta. Pertanto, dovendo attraversare combattendo, come dimostrava l’esperienza delle altre operazioni, il Mediterraneo occidentale e parte di quello centrale nei due sensi di navigazione, i comandanti delle unità del contrammiraglio Burrough ricevettero la raccomandazione di fare la massima economia di nafta e possibilmente anche di munizioni.

          Allo scopo di nascondere l’ingresso del convoglio in Mediterraneo, previsto per la notte fra il 9 e il 10 agosto, fu deciso che quante più navi di scorta possibile della Forza F (in modo speciale i cacciatorpediniere che navigando ad alta velocità consumavano ingente quantità di nafta) avrebbero attraversato lo Stretto di Gibilterra senza entrare in porto per rifornirsi. Questa misura comportò di organizzare un complesso servizio di rifornimento in alto mare, mediante l’impiego di petroliere, sia in Atlantico sia nel Mediterraneo.

          Il gruppo di rifornimento in Atlantico, denominato Forza W, fu costituito con la petroliera di squadra Abbeydale, scortata dalle corvette Burdock  e Armeria. Il gruppo di rifornimento del Mediterraneo, denominato Forza R, comprendeva le grandi petroliere di squadra Brown Ranger e Dingledare, e il rimorchiatore di squadra Salvonia. Alla sua scorta furono destinate le quattro corvette Jonquil, Geranium, Spirea e Coltsfoot. Petroliere e corvette si trovavano a Gibilterra alle dipendenze del Comando del Nord Atlantico.

Il gruppo di rifornimento del Mediterraneo avrebbe accompagnato la Forza F nella sua rotta verso levante fino ad un punto situato a sud delle Isole Baleari, per poi effettuare, nella giornata dell’11 agosto, il rifornimento dei cacciatorpediniere. Quindi, mantenendosi a stazionare a sud dell’arcipelago le due petroliere della Forza R avrebbero atteso il rientro da Malta delle unità della Forza X, per assicurare a quelle che, eventualmente fossero arrivate con i depositi prosciugati, la nafta necessaria per raggiungere Gibilterra.

 La presenza del rimorchiatore Salvonia nella Forza R era invece dovuto alla necessità di disporre di navi di salvataggio; innovazione introdotta dopo l’esperienza fatta nell’operazione “Harpoon”, in cui mancarono le unità necessarie per cercare di soccorrere le numerose navi danneggiate. Un secondo rimorchiatore d’alto mare, il Jaunty, era stato invece aggregato alla Forza X, ma successivamente per la sua bassa velocità, apparve necessario dirottarlo alla Forza R. 

Mentre l’elaborazione dei complessi piani della Pedestal era ormai a buon punto, all’ultimo momento sorse un’altra esigenza, che costrinse l’Ammiragliato britannico ad apportare all’ordine di operazione una non prevista variante. Poiché il Comando aereo di Malta aveva chiesto di reintegrare le perdite di velivoli da caccia, quantificate in diciassette velivoli alla settimana, su richiesta del Capo di Stato Maggiore della R.A.F., maresciallo dell’aria C.F.A. Portal, il Primo Lord del Mare mise a disposizione una quarta grande nave portaerei, la anziana Furious, destinandola a trasportare ed inviare sulle tre basi dell’isola, in due spedizioni successive, altri sessantuno Spitfire.[5]

                Per queste due operazioni, denominate Bellows e Baritone, la Furious, che inizialmente fu aggregata al movimento del convoglio W.S. 21/S verso levante fino all’altezza di Algeri, avrebbe disposto per compiti di protezione su otto cacciatorpediniere di base a Gibilterra, e inquadrati nel gruppo scorta di riserva: Keppel (capitano di fregata J. E. Broome), Malcolm, Amazon, Venomous, Volverine, Wrestler, Vidette, e Westcott. Dopo aver fatto decollare il primo gruppo di trentanove Spitfire, all’incirca alle ore 13.00 dell’11 agosto (operazione Bellow), la Furious avrebbe invertito la rotta per imbarcare a Gibilterra i trentadue velivoli della seconda spedizione (operazione “Baritone”), che erano già stati inviati in quella base dall’Inghilterra a bordo del piroscafo Empire Clive.

Vennero anche approntati nove sommergibili delle flottiglie 8a e 10a di Gibilterra e di Malta, che dovevano durante i giorni critici dell’operazione Pedestal raggiungere posizioni d’agguato nel Mediterraneo centrale. Due di questi sommergibili furono incaricati di effettuare un normale servizio di agguato a nord della Sicilia, il Safari al largo di Palermo e l’Unbroken  più a levante di fronte a Milazzo: erano entrambi  punti d’agguato importanti per intercettare gli incrociatori pesanti della 3a Divisione Navale italiana se fossero usciti da Messina, per spostarsi lungo la costa settentrionale della Sicilia, e andare ad attaccare il convoglio W.S. 21/S nella zona di Pantelleria, come era accaduto il precedente 15 giugno al convoglio dell’operazione “Harpoon”. Altri sei sommergibili, Uproar, P 222, Ultimatum, Unruffled, Utmost e United, dovevano concentrarsi nel Canale di Sicilia, a levante di Pantelleria, per costituirvi  successive linee di sorveglianza. Uno di questi sbarramenti sarebbe entrato in vigore all’alba del 13 agosto, in previsione dei movimenti di navi di superficie italiane che avrebbero potuto minacciare il convoglio da ponente, quando si sarebbe trovato ad attraversare quel tratto di mare.

Poiché il convoglio sarebbe probabilmente passato attraverso la linea di difesa nella stessa mattinata del 13, ai sommergibili fu ordinato di procedere in superficie per fare da schermo avanzato fino a mezzogiorno, e quindi si sarebbero dovuti immergere. Vi era nei britannici la speranza che le unità subacquee potessero essere individuate dagli aerei dell’Asse in modo da attirare su di loro, anziché sul convoglio, l’attenzione delle navi di superficie del nemico. Se la flotta italiana fosse stata avvistata con rotta sud, per attaccare il convoglio W.S.21/S e colpirlo nel punto più critico della sua navigazione, ai sommergibili era concessa libertà di azione con l’ordine di attaccare con determinazione, quale obiettivo primario, le più grosse navi nemiche.

Il nono sommergibile, l’Una, doveva mettere a terra una squadra di quattro Commandos presso la foce del fiume Simeto, per cercare di sabotare e distruggere, nella fase critica dell’operazione Pedestal, i velivoli da bombardamento tedeschi di base sull’aeroporto di Catania, dove aveva sede il Comando e lo schieramento degli Ju. 88 del 54° Stormo Bombardamento (KG. 54).[6]

         Con l’operazione Ascendant fu poi programmato di riportare a Gibilterra i piroscafi Orari e Troilus arrivati a Malta a metà giugno – nel corso dell’operazione Harpoon – accompagnati dal cacciatorpediniere di squadra Matchless (capitano di corvetta John Mowlam), che fungeva da nave comando del convoglio, e dal cacciatorpediniere di scorta Badsworth. Il piroscafo Orari e le due unità di scorta, entrati il 15 giugno in uno sbarramento minato posato all’entrata del Gran Harbour dalle motosilurante tedesche della 3a Flottiglia, erano stati messi in condizioni di riprendere il mare, dopo che i loro danni erano stati sufficientemente riparati nell’arsenale della Valletta. Le quattro navi, che costituivano la Forza Y, procedendo in un’unica formazione, dovevano salpare da Malta la notte sull’11 agosto, quasi contemporaneamente all’entrata in Mediterraneo della Forza F. La speranza, su cui i britannici contavano, era di farle raggiungere Gibilterra senza danni, approfittando dell’attenzione che le forze di vigilanza dell’Asse avrebbero rivolto all’importante e appetitoso convoglio dell’operazione Pedestal che arrivava da ponente.

In effetti dobbiamo dire che il loro spostamento si verificò come pianificato. Le quattro navi transitarono nella notte tra l’11 e il 12 agosto per Capo Bon, avvistarono il cacciatorpediniere italiano Malocello, che protetto da due torpediniere due Mas era impegnato in una posa di mine temporanee in acque territoriali francesi, dove gli italiani supponevano sarebbe transitato il convoglio britannico, ma non lo disturbarono avendolo preso per un dragamine francese classe “Elam”. Proseguirono poi verso ponente, sebbene fossero stati avvistati dai ricognitori italiani e tedeschi, poterono tranquillamente raggiungere Gibilterra, anche perché i Comandi dell’Asse, impegnati negli attacchi al convoglio Pedestal,  si accorse trattarsi di navi scariche salpate dalla Valletta.[7]

                Infine, per creare una diversione nel Mediterraneo orientale, fu pianificata l’operazione M.G. 3, il cui scopo, come scrisse il Comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Henry Harwood, era quello di impedire “che il nemico potesse impiegare tutto il peso delle sue forze navali ed aeree contro il convoglio proveniente da Gibilterra”.[8] L’operazione “M.G. 3”, pertanto, consistette nel far partire dai porti del Mar del Levante di Porto Said e Haifa, un convoglio fittizio dei quattro piroscafi City of Pretoria (commodoro capitano Frank Deighton), City of Lincoln, City of Edimburgh, Ajax  scortato dai quattro incrociatori della 15a Divisione Cleopatra (contrammiraglio Philip Louis Vian), Dido, Arethusa, Euryalus, dall’incrociatore contraereo Coventry, dai quindici cacciatorpediniere Sikh, Zulu, Javelin, Crome, Tetcott, Aldenham, Pakenham, Paladin. Hurworth, Dulverton, Beaufort, Jervis, Hursley, Kelvin, Eridge, e dalle due corvette Antwerp e Hyacinty. Una volta che fosse stato avvistato dai ricognitori dell’Asse, il convoglio, denominato M.W.12, doveva disperdersi e rientrare alle basi, dopo aver raggiunto la sera dell’11 agosto, quale zona di spostamento verso ponente, un punto situato a nord di Alessandria.

          Prendendo in considerazione l’eventualità che la flotta italiana fosse uscita dalle basi dello Jonio per dirigere verso il convoglio, fu disposto che tre sommergibili della 1a Flottiglia di Alessandria, il Turbolent, Thorn e Taku, si portassero, il primo davanti a Navarrino, base della 8a Divisione Navale (tre incrociatori e quattro cacciatorpediniere al comando dell’ammiraglio Raffaele de Courten), e gli altri due in zone di agguato a sudovest di Creta. Tuttavia, il Thorn (capitano di corvetta Robert Galliano Norfolk), che era partito da Haifa il 21 luglio per operare inizialmente davanti a Tobruch,  spostandosi nel pomeriggio del 7 agosto verso Capo Matapan, fu affondato con le bombe di profondità della torpediniera italiana Pegaso (tenente di vascello Mario De Petris), di scorta al piroscafo Istria partito da Bengasi e diretto al Pireo. Questa perdita del Thorn con l’intero equipaggio, si era verificata tre giorni prima dall’entrata in Mediterraneo del convoglio della Pedestal, ma è da considerare come conseguenza di quell’operazione.

         Occorre subito dire che l’operazione M.W. 3 si svolse come programmato, ma non ebbe alcuna influenza sulle decisioni italiane e tedesche, poiché l’attenzione di Supremarina e dell’O.B.S (Oberbefehlshaber Süd - Comando Superiore del Sud)  del feldmaresciallo Albert Kesselring, Comandante della 2a Flotta Aerea (2a Luftflotte) non si fece sviare da quello che era l’obiettivo primario della Pedestal. I due alti comandi considerarono il movimento navale nel Mediterraneo orientale niente più che una diversione, non mancando però di prendere precauzioni di ricognizione, e mettendo in allarme la 8a Divisione Navale a Navarrino, soprattutto dopo che o due incrociatori Arethusa e Cleopatra e quattro cacciatorpediniere avevano bombardato la notte del 13 agosto il porto di Rodi.

Commentando nel suo rapporto lo svolgimento della M.W. 3, l’ammiraglio Harwood scrisse: “Il solo aspetto interessante di questa piccola operazione fu dato dal considerevole dispetto che fu manifestato dagli equipaggi delle navi mercantili del finto convoglio quando si accorsero che non stavano dirigendo su Malta”.[9]

 

 

Le misure per il contrasto alla Forza F discusse a Roma da italiani e tedeschi

 

         Nella notte tra il 9 e il 10 agosto, dopo che le tre portaerei della Forza F, a cui si aggiunse temporaneamente anche la vecchia Argus, avevano svolto, nel corso della navigazione in Atlantico, un ciclo di esercitazioni ritenuto necessario per permettere agli aerei imbarcati di affinare le tattiche di combattimento (operazione Berserk), e si era realizzato il rifornimento in mare di gran parte delle navi di scorta, il convoglio ed il suo poderoso nucleo di scorta – il maggiore complesso navale che fosse stato impiegato nella seconda guerra mondiale per proteggere un solo convoglio di rifornimento – superò lo stretto di Gibilterra entrando nel Mediterraneo, per poi proseguire con rotta est. Il movimento, che comportò l’entrata a Gibilterra delle navi che non si erano potute rifornire in mare e che lo fecero alle petroliere San Claudio e Brown Ranger dislocate in quella importante base navale, fu subito percepito dagli agenti dell’Asse ubicati sulle coste meridionali della Spagna e in quelle del Marocco spagnolo.[10]

Conseguentemente, nella giornata del 10 agosto, durante una riunione tenutasi a Roma, presso il Comando Supremo delle Forze Armate italiane a Palazzo Vidoni, presenti alti ufficiali della Regia Marina, della Regia Aeronautica e tedeschi dell’OBS (Oberbefehlshaber Süd), fu pianificata l’azione di contrasto delle forze aeronavali dell’Asse. Tuttavia, forse non rendendosi conto di quale importanza rivestiva un intervento di tutte le forze navali per far fallire l’operazione britannica, fu escluso l’impiego delle quattro corazzate efficienti presenti a Taranto (Vittorio Veneto, Andrea Doria, Duilio e Giulio Cesare) motivandolo per deficienza di nafta e sostenendo che l’intervento di quelle navi da battaglia avrebbe comportato di consumare l’intera quantità di combustibile della scorta intangibile destinato all’applicazione della Direttiva Navale n. 7 (Di.Na.7); ossia all’”Azione a massa aeronavale” pianificata per intervenire contro la flotta britannica, che era proprio l’occasione che si stava presentando in quel momento, perché nella Di.Na.7 era previsto il contrasto ad ogni iniziativa nemica verso il Mediterraneo centrale.[11]

Sebbene l’ipotesi di un rifornimento di Malta fosse quella più comunemente accettata, tuttavia il grandi schieramenti di forze transitate per lo Stretto di Gibilterra fece pensare a un’operazione più complessa, quale il passaggio di un importante convoglio ad Alessandria, o addirittura uno sbarco in Libia, alle spalle del fronte africano. Quest’ultima minaccia fu considerata la più pericolosa tanti che anche i Comandi in Africa vennero messi in allarme e il feldmaresciallo Rommel informò  Roma di aver costituito un gruppo corazzato da inviare eventualmente verso occidente.

         Comunque fosse, Supermarina dispose di attuare un ampio schieramento di ventidue sommergibili (2 tedeschi) tra le Baleari e Malta, l’impiego di dodici motosiluranti (6 tedesche) e di una dozzina di Mas nel Canale di Sicilia, e di realizzare, con il cacciatorpediniere Malocello uno sbarramento temporaneo di mine presso Capo Bon, in acque territoriali francesi, da realizzare la notte precedente a quella dell’arrivo del convoglio in quella zona di mare.

             Gran parte delle discussioni, che continuarono anche nella giornata dell’11 agosto, si svolse sull’eventuale intervento di due divisioni navali: la 3a costituita dagli incrociatori pesanti Gorizia (ammiraglio Angelo Parona), Bolzano e Trieste, e dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Camicia Nera, Legionario, Ascari, Corsaro e Grecale; e la 7a costituita dagli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia (ammiraglio Alberto Da Zara), Montecuccoli e Attendolo, e dai cacciatorpediniere Gioberti, Maestrale, Oriani e Fuciliere. L’intervento di questa forza di sei incrociatori e undici cacciatorpediniere, dal potenziale qualitativo e numerico di quello su cui poteva contare la Forza X del contrammiraglio Burrough, doveva verificarsi a sud di Pantelleria, quando il convoglio britannico sarebbe stato abbandonato dalle corazzate e dalle portaerei dalla Forza Z, la sua potente scorta di copertura, motivo per il quale a Roma fu scartata l’iniziale idea di un intervento navale a sud della Sardegna.

             Tuttavia il Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio di armata Arturo Riccardi mise bene in chiaro: “Naturalmente il movimento degli incrociatori è legato alla disponibilità di aerei da caccia”.[12] Questi aerei, avrebbero dovuto assicurare sul cielo delle navi una scorta continua con turni di otto velivoli alla volta, per fronteggiare, rispetto all’azione di giugno, un maggior numero di aerei presenti a Malta, dei quali gli aerosiluranti Beaufort, per i colpi messi a segno sull’incrociatore Trento e sulla corazzata Littorio, avevano particolarmente impressionato il Comando Squadra e Supermarina.[13]

         Dal momento le aviazioni dell’Asse stavano preparandosi ad intervenire in forze contro il convoglio britannico, rinforzando i reparti da bombardamento e di aerosiluranti dislocati in Sicilia e in Sardegna, avendo a disposizione soltanto cinque gruppi da caccia di aerei moderni (tre italiani e due tedeschi) per scortare una massa di circa quattrocento velivoli offensivi, o loro responsabili dovettero prendere un’estrema decisione. Non volendo essere assente sul cielo della battaglia, assegnando gran parte dei suoi cinquanta caccia alla scorta alle navi, il Comando del II Fliegerkorps (generale Bruno Loerzer) sostenne di non  essere in grado di farlo, e il feldmaresciallo Kesselring, comandante della 2a Flotta Aerea e dell’O.B.S., gli dette ragione.[14] Anche Superaereo, pur riconoscendo le necessità della Marina si mostro molto restio ad accontentarla, almeno in parte, cedendo alla scorta delle navi tutti quei velivoli meno competitivi (Cr. 42, Mc. 200, Re. 2000, Cr. 25) di cui si poteva fare a meno per scortare le forti aliquote offensive della Regia Aeronautica, in particolare bombardieri e aerosiluranti.

Dopo molte discussioni, proseguite nelle giornate dell’11 e del 12 agosto a Palazzo Vidoni e a Palazzo Venezia presso il Capo del Governo Benito Mussolini (Duce), il maresciallo Ugo Cavallero, Capo del Comando Supremo, riuscì a convincere il generale Rino Corso Fougier, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare per il giorno 13, in cui era previsto l’intervento navale, un appoggio aereo sostanzioso che prevedeva l’impiego di turni di scorta di sei velivoli. In tal modo, prevedendo che ogni caccia svolgesse almeno due missioni, si riduceva da sessanta a quarantacinque il numero dei velivoli necessari per scortare le navi.   

          Con l’arrivo dei rinforzi, fatti affluire dalla Grecia, dalla Romania e dalla Libia, il II Fliegerkorps del generale Bruno Loerzer venne a disporre sugli aeroporti di Catania, Gerbini, Comiso, Trapani, Gela, Pantelleria e Elmas, di una massa di 239 aerei, che includevano: quattordici ricognitori del 122° Gruppo, di cui otto Ju. 88 e sei Bf. 109; centotrenta bombardieri Ju. 88 degli Stormi KG.54, KG.77 e LG.1; ventisei bombardieri a tuffo Ju. 87 del Gruppo I./St.G.3; dieci aerosiluranti He. 111 della Squadriglia 6./KG.26; dodici caccia notturni Ju. 88 del Gruppo I./NJG.2; otto caccia pesanti Bf. 110 della Squadriglia 8./ZG.26; trentuno caccia monomotori Bf. 109 dello Stormo JG.53; 4 idrosoccorso Do. 24 della 6a Squadriglia del 3° Gruppo Soccorso.

          Circa il piano d’impiego del II Fliegerkorps, portato dal Comando del feldmaresciallo Kesselring (O.B.S.) a conoscenza di Superaereo nel pomeriggio dell’11 agosto, era previsto: di iniziare l’attacco contro il convoglio all’imbrunire dello stesso giorno con 30-40 bombardieri Ju. 88 e dieci aerosiluranti He. 111, e con obiettivo principale le navi da guerra, in particolare le portaerei; di proseguire gli attacchi l’indomani, dopo l’arrivo a Gerbini del 1° Stormo Sperimentale in trasferimento da Creta, con altri 50-60 bombardieri Ju. 88 e Ju. 87, con obiettivo principale i piroscafi; di effettuare un attacco serale con un gruppo da bombardamento e dieci aerosiluranti; e quindi, con il mantenimento del contatto da parte dei ricognitori anche durante le ore notturne, rinnovare gli attacchi il giorno 13 secondo la disponibilità di aerei offensivi e in base allo sviluppo della situazione, e considerando ancora i piroscafi come l’obiettivo principale.

           In conformità con questa previsione, dieci bombardieri Ju. 88 del 606° Gruppo da Combattimento (KGr.606), facente parte del KG.54, e tredici caccia Bf .109 del 1° Gruppo del 77° Stormo (JG.77), alle dipendenze del 53° JG.53, furono inviati ad Elmas, i primi destinati a svolgere ricognizione armata, i secondi a scortare le formazioni offensive della Sicilia che l’indomani, come pianificato dal Comando del II Fliegerkorps (Apollo 1°), dovevano entrare in azione contro il convoglio britannico a sud-ovest della Sardegna. Per lo stesso motivo, dovendo scortare nei loro attacchi gli Ju. 87 ad ovest della Sicilia, diciotto Bf. 109 del 2° Gruppo del 53° Stormo Caccia (II./JG.53) furono trasferiti a Pantelleria. Fu disposto che i ricognitori, una volta avvistate le forze navali nemiche, mantenessero il contatto anche durante la notte mediante l’impiego di uno Ju. 88D del 122° Gruppo  con radiolocalizzatore.

             Per proteggere le formazioni più importanti, nel modo più adeguato concesso dalla scarsa disponibilità e autonomia degli aerei da caccia disponibili, appena trentuno Bf.109 dell’JG.53 e otto Bf. 110 della 8/ZG.26, avrebbero dovuto realizzare la scorta ai bombardieri con logoranti voli a spola, tra le due grandi isole, forniti di serbatoi supplementari. L’attuazione di questo vasto programma comportava per l’O.B.S. la necessità di coordinare le proprie azioni con quelle dell’Aeronautica italiana, e ciò lo indusse a chiedere a Superaereo di conoscere gli orari dei suoi attacchi e di essere informato sui movimenti delle navi italiane.

          La Regia Aeronautica dimostrò anch’essa una valida efficienza nello spostare rapidamente le proprie unità da combattimento nelle sedi d’impiego, raggruppando in Sicilia gli aerei offensivi e di scorta nelle basi occidentali dell’isola, e facendo affluire in Sardegna notevoli rinforzi dagli aeroporti della penisola italiana, e dalla Sicilia. Infatti, fin dalla sera del 10 agosto Superaereo, aveva diramato al generale Silvio Scaroni gli ordini per una più idonea dislocazione delle forze aeree della Sicilia, e al generale Aldo Urbani gli ordini per il potenziamento dell’Aeronautica della Sardegna, sui cui aeroporti furono fatti affluire ben centoundici velivoli: ventiquattro bombardieri S. 84, ventitré aerosiluranti S. 79, due velivoli speciali, cinquantuno caccia Mc. 202 e Re. 2001, sette trasporti S. 82 e quattro idrosoccorso Cant. Z. 506.

             La sera dell’11 agosto, Superaereo informò dei preparativi in atto il Comando Supremo e l’O.B.S., precisando che si rendevano disponibili per operare contro le forze navali inglesi provenienti da Gibilterra i seguenti aerei: in Sardegna, cinquantuno aerosiluranti (con una dotazione di sessantasette siluri), dodici bombardieri, quindici cacciabombardieri e sessantasette caccia; in Sicilia, venti aerosiluranti (con una dotazione di trentasei siluri), dodici o quattordici bombardieri a tuffo, quaranta bombardieri in quota e cinquanta caccia. A quel momento le aviazioni dell’Asse potevano disporre in Sicilia e in Sardegna di 588 aerei, dei quali 353 italiani (189 in Sardegna e 164 in Sicilia) e 235 tedeschi.        

           Presi direttamente ordini dal Comando Supremo – trasmessi agli Stati Maggiori con messaggio 40588/OP delle ore 13.35 che fissava quale obiettivo principale per l’Aeronautica gli attacchi aerei contro i piroscafi e per la Marina di intensificare l’intervento dei Mas e delle divisioni navali – Superaereo inviò all’Aeronautica della Sardegna le direttive per la condotta delle azioni contro la formazione navale nemica, prescrivendo di attaccare ad ondate successive con tutti i velivoli da bombardamento, tuffatori, aerosiluranti e velivoli speciali, scortati dal massimo numero di caccia. Fu altresì ordinato di realizzare, nella giornata dell’11 agosto, l’esplorazione dell’intero Mediterraneo.

            Ma poi, in seguito ad accordi con l’O.B.S., fu stabilito  che l’impiego della ricognizione aerea da svolgere in profondità nel Mediterraneo occidentale, fosse realizzata nella giornata dell’11 agosto soltanto con i velivoli Ju. 88D tedeschi della 1a e 2a Squadriglia del 122° Gruppo Ricognizione Strategica (1. e 2.(F)/122) dislocati a Trapani e a Elmas. Avendo una minore autonomia e velocità rispetto agli Ju. 88D, l’intervento dei Cant. Z. 1007 bis italiani del 51° Gruppo Ricognizione Strategica di base a Villacidro fu riservato alla giornata dell’indomani 12 giorno nel quale fu programmato il massimo sforzo offensivo della Regia Aeronautica da realizzare entro l’autonomia della caccia di scorta.

Di fronte alla quantità di forze navali ed aeree schierate dalla Marina e dall’Aviazione italiana e germanica per contrastare l’operazione Pedestal, l’accoglienza da riservare al nemico era da considerare alquanto rovente. E in effetti, come vedremo, il convoglio W.S. 21/S e la sua forza di scorta diretta, la Forza X, in quattro giorni di battaglia accanita, corsero il rischio di essere addirittura annientati. Un’eventualità che, se si fosse realizzata, com’era nelle possibilità, avrebbe influito negativamente sui britannici per la sopravvivenza di Malta e, forse, anche nella battaglia che si combatteva sul fronte di El Alamein.

 

        

L’inizio della navigazione nel Mediterraneo e le prime perdite della Forza F

 

         Nell’entrare nel Mediterraneo, proseguendo la navigazione vero levante, La Forza F aveva assunto, con l’arrivo di unità navali salpate da Gibilterra, la sua formazione organica definitiva, con i quattordici mercantili del convoglio disposti su quattro colonne, ciascuna guidata da un incrociatore della Forza X, seguite dalle due corazzate e dalle quattro portaerei, con i loro tre incrociatori di scorta, mentre la maggior parte dei cacciatorpediniere andarono a costituire lo schermo avanzato, con compito antisom e antiaereo (vedi cartina).

             Gli attacchi contro la Forza F, iniziarono nelle prime ore dell’11 agosto da parte del sommergibile italiano Uarsciek (tenente di vascello Gaetano Arezzo della Targia), che alle 04.32 lancio i siluri contro la portaerei Furious senza riuscire a colpirla. Venuto in emersione alle 09.36 con mare libero, l’Uarsciek lanciò immediatamente il segnale di scoperta. Questa notizia pervenuta a Roma alle 10.25, due ore dopo l’arrivo della segnalazione della Forza F da parte di un aereo tedesco Ju. 88 della 1a Squadriglia del 122° Gruppo Ricognizione Strategica (1.(F)/122), ebbe importanza basilare per i comandi dell’Asse, perché contribuì a stabilire quali fossero l’esatta posizione e la velocità di spostamento delle forze navali britanniche dopo la loro entrata nel Mediterraneo avvenuta ventiquattro ore prima.

             Poco dopo le 08.15, i radar delle grandi navi della Forza F percepirono per la prima volta la presenza di aerei nemici, e da quell’ora in poi le segnalazioni si fecero più frequenti, indice di un continuo pedinamento del convoglio da parte dei ricognitori dell’Asse. Nelle ore successive, con l’ordine di mantenere il silenzio radio, le portaerei tennero in volo due sezioni di caccia, di quattro velivoli ciascuna che, a causa del vento mutevole in direzione e intensità, dovettero decollare per mezzo delle catapulte.[15] Le pattuglie dei caccia, sebbene fossero rinforzate nei casi di necessità, poiché che altri dodici intercettori erano tenuti pronti sui ponti di volo, non ebbero compito facile per raggiungere velivoli molto elusivi che volavano ad altissima quota, sui 7.000 metri, tanto ché il vice ammiraglio Syfret scrisse: “i nostri caccia si batterono virilmente a grande altezza contro i pedinatori, ma la velocità e l’altezza degli Junker 88 rese il compito dei caccia disperato”.[16]

Nel corso di cinque intercettazioni i caccia dell’Aviazione Navale britannica (FAA) colpirono tre Ju. 88, abbattendone della 2.(F)/122, attaccato dagli Hurricane dell’808° Squadron della Indomitable. Persero però due Hurricane dell’Indomitable e un Fulmar della Victorious, uno dei quali dell’808° Squadron abbattuto dal mitragliere di uno Ju. 88. Gli altri due caccia furono costretti ad ammarare per guasti meccanici. Era già accaduto che quattro Fulmar della Victorious fossero andati perduti in Atlantico durante le esercitazioni di guida caccia dell’operazione Bellows, poiché il loro reparto di nuova assegnazione alla portaerei, l’809° Squadron, non possedeva un sufficiente addestramento all’attività sul mare. Assommando tutte queste perdite, la sera dell’11 agosto, prima che iniziassero gli attacchi aerei, rimanevano disponibili sulle portaerei cinquanta degli originali settantadue caccia.

Alle 13.00 gli attacchi subacquei contro la formazione navale britannica furono continuati dall’U 73, proprio mentre la Furious, trovandosi a nord di Algeri, dando inizio all’operazione Bellows stava lanciando i suoi trentotto Spitfire diretti a Malta, uno dei quali fu costretto a rientrare per guasto meccanico. Il sommergibile tedesco, comandato dal tenente di vascello Helmut Rosembaum, approfittando del fatto che undici dei ventiquattro cacciatorpediniere della Forza F avevano abbandonato le assegnate posizioni di scorta del convoglio per rifornirsi alle petroliere, superò abilmente il ridotto schermo difensivo ed attaccò, nei quartieri poppieri di sinistra la portaerei Eagle, colpendola con quattro siluri lanciati da una distanza di soli 400 metri. La portaerei, sbandando sul fianco sinistro, affondò nello spazio di otto minuti, e la perdita di sedici dei suoi venti velivoli da caccia Hurricane dell’801° Squadron (quattro si trovavano in volo e atterrarono sulla Victorious e sull’Indomitable) privò la Forza F del 20% della sua forza aerea di protezione.

             Nel frattempo, gli avvistamenti della Forza F da parte dei ricognitori tedeschi, che nel corso della mattinata aveva visto l’impiego di dodici Ju 88, permettevano al Comando del II. Fliegerkorps per fornire precisi dettagli fotografici panoramici ai reparti offensivi, sia per conoscere il numero delle navi partecipanti all’operazione nemica che appariva elevato e la loro efficienza difensiva, e dette modo alla grande unità della Luftwaffe di organizzare un primo programmato attacco aereo serale nel modo migliore. Tuttavia i britannici ne erano a conoscenza, forse per la fonte crittografica Ultra, e ne informarono il vice ammiraglio Syfret alle 16.34 con un segnale di avvertimento trasmesso dal Comandante del Nord Atlantico, indicante che velivoli tedeschi del tipo Ju. 88 potevano effettuare un attacco al crepuscolo contro la Forza F.

L’azione, a cui parteciparono ventotto bombardieri Ju. 88 del KG. 54 e KG. 77 e tre aerosiluranti He. 111 della 6./KG.26, e che ebbe per obiettivo le portaerei da attaccare anche con bombe da 1.400 chili, si sviluppò poco dopo il tramonto del sole, quando le navi di scorta si erano rifornire dalle petroliere, e la Forza F si trovava al completo. La semioscurità permise alla maggior parte dei velivoli tedeschi di eludere l’intervento dei caccia delle portaerei, che riuscirono ad abbattere soltanto uno Ju. 88 del Gruppo Combattimento KGr. 806. Un altro velivolo del KGr.806 nell’attaccare in picchiata la Victorious fu abbattuto dall’intenso fuoco contraereo della portaerei, mentre le navi non riportarono alcun danno. Vi furono però incidenti nell’atterraggio notturno sulle portaerei, avvenuto con le navi che sparavano in ogni direzione, coinvolgendo sette velivoli, tre andarono distrutti e quattro danneggiati, diminuendo ancor di più l’efficienza della linea caccia.

         Quasi contemporaneamente all’attacco contro la Forza F, allo scopo di menomare il potenziale aereo offensivo dell’Asse concentrato sugli aeroporti della Sardegna, al tramonto dell’11 agosto una formazione di nove caccia a lungo raggio Beaufighter del 248° Squadron della R.A.F., al comando del tenente colonnello Thomas Geoffrey Pike, decollati dall’aeroporto maltese di Luqa, effettuò a volo radente una micidiale azione di mitragliamento contro gli aerei parcheggiati ad Elmas e a Decimomannu. Furono colpiti e incendiati parecchi velivoli arrivati dal continente per partecipare all’attacco del convoglio britannico, e che non erano stati ancora decentrati perché si trovavano in fase di rifornimento. Cinque aerosiluranti S. 79 andarono completamente distrutti, ed altri quattordici rimasero più o meno danneggiati, e furono colpiti anche tre caccia Mc. 202 e tre caccia tedeschi Bf. 109; e ciò ridusse sensibilmente l’efficienza della massa aerea italiana, che doveva entrare in azione l’indomani, costringendo il personale a lavori di riparazione prolungatasi, tutta la notte, sotto l’azione di disturbo di due velivoli “Liberator” del 159° Squadron, che decollati da Malta sganciarono su Elmas e Decimomannu bombe ad esplosione ritardata. Fu una “lunga veglia”.

Nel rientrare alla base i Beaufighter sorvolarono il Golfo di Cagliari, avvistando le unità della 7a Divisione Navale dell’ammiraglio Da Zara, appena salpata dal porto e comprendente gli incrociatori Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli e i tre cacciatorpediniere  Maestrale, Gioberti e Oriani,  che dirigeva a sud-est alla velocità di venti nodi. Queste cinque unità erano dirette all’appuntamento con la 3a Divisione dell’ammiraglio Parona, e con altre navi sopraggiungenti da La Spezia e Napoli, fissato da Supermarina per il pomeriggio del 12 agosto a nord dell’Isola Ustica. A tenere d’occhio nella notte la 7a Divisione fu inviato da Malta un velivolo Wellington da ricognizione del 69° Squadron, dotato di radar.

Nel frattempo si realizzava il concentramento dei sommergibili nel Mediterraneo occidentale, completato il mattino del 12 agosto, quando vennero a trovarsi in agguato diciassette unità subacquee italiane e due U-boote germanici distribuite nei seguenti settori: Giada, Uarsciek, Volframio, Brin, Dagabur, U 73, U 205 nel tratto di mare fra le Isole Baleari e la costa dell’Algeria; Ascianghi, Axum, Alagi, Bronzo, Dessie, Avorio, Cobalto, Emo, Dandolo, Otaria a settentrione della congiungente Isola Galite – Banco Skerki , e quindi all’entrata occidentale del Canale di Sicilia; Granito a nord di Capo Bon presso Biserta; Asteria a levante dell’Isola Linosa e quindi nelle vicinanze di Malta.

 

 

Gli attacchi aerei del II Fliegerkorps e dell’Aeronautica della Sardegna

 

         Mentre la Forza F proseguiva la sua navigazione, affrontando una navigazione notturna alquanto tranquilla, una certa agitazione si ebbe nel gruppo navale della portaerei Furious che stava rientrando a Gibilterra per imbarcare altri Spitfire destinati a Malta (operazione Baritone realizzata il 17 agosto), Transitando nelle prime ore di oscurità del 12 agosto a sud delle isole Baleari, il Wolverine (capitano di corvetta P.W. Gretton), una dei cinque cacciatorpediniere di scorta della Furious, localizzò in superficie con il radar 271 il sommergibile italiano Dagabur (tenente di vascello Renato Pecori), e lo speronò affondandolo con l’intero equipaggio. Un altro sommergibile italiano, il Giada (tenente di vascello Gaspare Cavallina), trovandosi spostato più a levante, fu attaccato e danneggiato al mattino di quel giorno 12 da due idrovolanti Sunderland del 202° Squadron della R.A.F. decollati da Gibilterra, uno dei quali, il TK7C, fu abbattuto dalle mitragliere dell’unità subacquea. Avendo riportato molti feriti gravi, prima di rientrare alla Maddalena, il Giada fu costretto a raggiungere il porto spagnolo di Valencia per sbarcarvi gli uomini più menomati.

         Sempre al mattino del 12 agosto, dopo le prime segnalazioni giunte dai ricognitori del 122° Gruppo, la Forza F fu attaccata alle 09.15 da una formazione di diciassette bombardieri Ju. 88 del I. e II./LG.1 decollati da Gerbini, scortati da alcuni caccia Bf. 109 G2 del I./JG.77, partiti da Elmas. Comandavano i due gruppi i capitani Jochim Helbig, e von Karl-Heinz Schomann, quest’ultimo in sostituzione del comandante titolare del II./LG.1, maggiore Gerhard Kollewe, che a sua volta era stato destinato a comandare a Gerbini il 1° Stormo Sperimentale (LG.1) del colonnello Franz von Benda, rimasto in Grecia.

Percepiti dai radar delle navi britanniche, gli Ju. 88 dell’LG.1 furono  intercettati  a 16 miglia dal convoglio da sedici caccia, su venticinque decollati  dalle portaerei Victorious e Indomitable. Sebbene fossero riusciti a passare con l’appoggio dei formidabili Bf. 109 G2 del capitano Heinz Bär, che abbatterono due Hurricane degli Squadron 801° e 880°, gli Ju. 88 sganciarono le bombe in picchiata sotto un formidabile tiro di sbarramento contraereo delle navi, ma non ottennero alcun risultato e persero ben cinque dei diciassette velivoli che avevano realizzato l’attacco: tre del I./LG.1 e due del II./LG.1.

         Altri due Ju. 88 del II./LG.1, che erano stati costretti per guasti meccanici a dirigere verso la Sardegna, giunti nella zona del Golfo di Cagliari ed attaccati, per mancato riconoscimento, da due caccia italiani G. 50  del 24° Gruppo  (sottotenenti Suppo e Rodolfi), furono entrambi abbattuti dopo essere stati anche inquadrati dal tiro dalle batterie contraeree. Alle proteste tedesche, da parte di Superaereo fu risposto, con una certa stizza, che i velivoli tedeschi, avvicinandosi a Cagliari, non avevano fatto i prescritti segnali di riconoscimento. Comunque, all’Ufficio di Collegamento tedesco presso l’organo operativo della Regia Aeronautica fu espresso rincrescimento per la perdita degli otto membri degli equipaggi dei due Ju. 88, ai quali furono tributate a Cagliari solenni onoranze funebri.

         Mentre la Forza F si avvicinava alla Sardegna, i caccia delle portaerei che erano stati particolarmente impegnati contro i veloci ricognitori Ju. 88 tedeschi e contro i più facili bersagli costituiti dai Cant Z. 1007 bis italiani del 51° Gruppo Ricognizione Strategica della Sardegna, due dei quali furono abbattuti e un altro seriamente danneggiato dai caccia Fulmar e Hurricane degli squadrin 884° e 880° delle portaerei Victorious e Indimitable. Fu in questo contesto che, tra le 12.00 e le 13.30, si sviluppò il più grande attacco in massa di tutta la guerra, realizzato da parte delle forze aeree dell’Asse nel Mediterraneo, a cui parteciparono, con decollo dalle basi di Elmas, Decimomannu, Villacidro e Monserrato ben centosedici velivoli italiani, a cui si aggiunsero provenienti dalla Sicilia trentasette bombardieri Ju. 88 del KG.54 e del KG.77, scortati, con partenza da Elmas, da ventuno caccia Bf. 109 del I./JG.77.  

I primi ad arrivare furono i trentanove velivoli di una formazione mista che comprendeva dieci bombardieri S. 84 del 38° Gruppo (maggiore Vincenzo Orlando) del 32° Stormo  e quattordici caccia di scorta Mc. 202 del 153° Gruppo (maggiore Andrea Savini), seguiti da quindici caccia Cr. 42 del 24° Gruppo (maggiore Mario Frulla), otto dei quali armati con due bombe da 100 chili fissate sotto le ali, e sette col compito di effettuare mitragliamenti, per stornarne l’attenzione delle navi nemiche durante gli attacchi.

I dieci S. 84, erano armati ognuno con due motobombe FFF (dal nome degli inventori Freri, Fiore, Filpa), un’arma simile a un piccolo siluro munita di paracadute da sganciare di prora alle navi, e in grado, dopo essere scese in acqua, di eseguire un percorso a spirale. L’intendimento era di scompaginare la formazione navale nemica e agevolare il successivo attacco degli aerosiluranti con questa nuova arma, costruita in Italia anche per i tedeschi che l’avevano acquistata, e da essi impiegata in mare per la prima volta dai bombardieri Ju.88 del I./KG.54 a metà giugno nel corso dell’operazione Vigorous. Ma anche quest’attacco con le FFF, realizzato sotto forte reazione contraerea e dei caccia britannici che abbatterono due S. 84, non ebbe alcun risultato, per la pronta manovra delle navi della Forza F che, all’ordine della corazzata Nelson, e al suono delle sirene, schivarono le motobombe accostando a un tempo di 90° sulla dritta.

Anche gli Mc. 202 della scorta, nonostante le ottimistiche valutazioni dei piloti di quell’aereo dalle caratteristiche di velocità e manovrabilità superiori a quelle dei caccia delle portaerei, non conseguirono alcun successo nei duelli aerei con Hurricane, Fulmar e Martlet. Purtroppo era una lacuna dovuta certamente allo scarso armamento del velivolo (due mitragliere da 12.7), all’insufficiente addestramento e a inadeguate tattiche di combattimento imposte ai piloti, che portava a risultati scadenti come fu dimostrato, a riprova, nel corso dell’intera operazione Pedestal.

Subito dopo l’accostata della Forza F sopraggiunsero i Cr. 42 del 24° Gruppo Caccia, ridotti a quattordici, poiché il maggiore Frulla era dovuto rientrare per un guasto, lasciando il comando della formazione al tenente Pietro Andreotti. I Cr. 42  attaccarono in picchiata le unità di scorta dello schermo del convoglio, prendendo di mira il grosso cacciatorpediniere Lightning, che fu mancato di poco da una bomba.

Purtroppo l’attacco degli aerosiluranti, che avrebbe dovuto seguire a cinque minuti di distanza da quello dei bombardieri, poté realizzarsi con un ritardo di un quarto d’ora, per difficoltà sorte nella messa in moto dei caccia di scorta del 2° Gruppo Re. 2001, trasferiti dalla Sicilia e operanti per la prima volta in Sardegna, che vennero a mancare di parte dei loro specialisti. Ciò dette modo alla Forza F, che con altra accostata di 90° sulla sinistra era tornata sulla rotta primitiva, di accogliere gli aerosiluranti nella migliore disposizione difensiva.

L’ondata d’attacco si componeva alla partenza di quarantatre velivoli, ma due di essi durante la rotta ebbero dei problemi e dovettero rientrare. I restanti quarantuno arrivarono sull’obiettivo alle 13.00, a una quota di navigazione di 400 metri, e sopraggiungendo di prora alla Forza F si divisero in due formazioni, per poi dirigere in pattuglie a cuneo contro entrambi i lati della Forza F, facendo in modo di arrivarvi contemporaneamente. La prima formazione era costituito da nove S. 79 e dieci S. 84  dei gruppi 105° e 89° Gruppo (36° Stormo), scortati da quattordici caccia Re. 2001 del 2° e 22° Gruppo. La seconda formazione da ventidue S. 79 dei gruppi 109° (36° Stormo) e 130°, e del 2° e 3° Nucleo Addestramento Aerosiluranti, affidati a istruttori e migliori allievi pilota, scortati da altri dodici caccia Re. 2001 del 2° Gruppo.

 I velivoli della prima formazione, possedendo nell’Alfa 128 motori più potenti, compiendo un’ampia manovra attaccarono le navi della Forza F sul fianco destro, quelli della seconda formazione, con motori Alfa 126 meno veloci, svolsero un percorso più diretto, attaccando il fianco sinistro della formazione britannica, in modo da realizzare la prevista azione contemporanea sui due lati del convoglio. (vedi cartina). Purtroppo, gli aerosiluranti, accolti da uno spaventoso fuoco di sbarramento, il maggiore che i loro piloti veterani avessero mai dovuto affrontare, lanciarono i siluri da troppo lontano, al di fuori dei cacciatorpediniere dello schermo del convoglio, che si trovava alla distanza di 7.000 metri. Ne consegui che gli aerosiluranti non conseguirono alcun risultato, perdendo l’S. 79 del maggiore Zanardi, comandante del 109° Gruppo, costretto ad ammarare da due caccia mentre dirigeva all’attacco della corazzata Nelson, e un caccia Re. 2001 del 2° Gruppo, anch’esso abbattuto dai caccia britannici.

Altrettanto sfortunato risultò l’attacco di due caccia bombardieri Re. 2001 della Sezione Speciale di Guidonia, che erano armati con bombe perforanti da 630 chili, da impiegare contro le navi portaerei per menomare il loro ponte di volo. Avvistato l’obiettivo alle 13.25 da una quota di 4.000 metri, i tenenti piloti Riccardo Vaccari e Guido Robone cominciarono ad abbassarsi compiendo un lungo giro per poi avvicinarsi di poppa alla Victorious (capitano di vascello Henry Cecil Bovel) come se volessero atterrarvi, e sorvolandola indisturbati ad una quota di circa 20 metri, sganciarono le bombe, per poi  allontanarsi quasi indisturbati, essendo stata tardiva la reazione della portaerei e dei loro caccia in volo. (vedi cartina).

             L’abile e coraggioso attacco dei piloti dei Re. 2001 avrebbe potuto conseguire un grosso successo materiale e di prestigio se fosse stato aiutato dalla fortuna. Infatti, le due grosse bombe colpirono entrambe la Victorious, la nave di bandiera del contrammiraglio Lyster, ma la quota di sgancio risultò troppo bassa per perforarne il ponte di volo corazzato. Inoltre il congegno di attivazione delle spolette non ebbe il tempo di funzionare completamente. Ne conseguì che una delle bombe, deflorando al centro della nave, si frantumò in pezzi uno dei quali colpì un carrello che trasportava le batterie per avviare i motori dei caccia Hurricane. La seconda bomba ebbe anch’essa scarso effetto, rimbalzò sul ponte di volo, scivolò presso prora, e finì in mare senza esplodere. A bordo della portaerei, che riportò soltanto lievi danni strutturali, rimasero uccisi quattro ufficiali e due marinai e vi furono due feriti, ma la Victorious poté continuare senza intralci la sua attività di volo.[17] Essa fu veramente aiutata dalla fortuna poiché se le due grosse bombe fossero esplose, sfondando il ponte, avrebbero causato alla portaerei danni dagli effetti di natura disastrosa.

Per ultimo avrebbe dovuto attaccare un S. 79 radiocomandato, che imbarcando una grossa bomba da mille chili, era stato progettato per attaccare grosse navi. L’intenzione era quella di mandarlo a schiantare su una portaerei come un velivolo Kamikaze ma senza pilota, usufruendo della radioguida montata su un  Cant. Z. 1007 bis. I due velivoli, scortati da cinque caccia G. 50 del 24° Gruppo, decollarono da Villacidro, ma quando già si trovavano in vista della Forza F, l’S. 79 deviò dalla sua rotta a causa di un guasto ad un condensatore all’apparato di guida del Cant Z. 1007 bis. Il personale tecnico, che includeva il responsabile del progetto generale Ferdinando Raffaelli, non riuscì a correggere l’anomalia, ragion per cui l’S.79 fu visto sparire all’orizzonte per poi andare a sfasciarsi su una collina dell’Algeria, nei pressi di Costantina.

Il costo dell’intera azione fallimentare dell’Aeronautica della Sardegna fu rappresentato della perdita dell’S. 79 radiocomandato e di cinque aerei abbattuti dai caccia delle portaerei, compreso un ricognizione Cant. Z. 1007 bis del 51° Gruppo, che durante le azioni aeree era stato inviato a mantenere il contatto con la Forza F.

         Anche l’azione dei velivoli da bombardamento tedeschi, che attaccarono in picchiata dopo che si era conclusa l’azione degli aerosiluranti italiani, fu nel complesso deludente. I piloti dei trentasette Ju. 88 riuscirono a colpire con una bomba, probabilmente sganciata dal velivolo del comandante del II./KG.77 capitano Heinrich Paepcke, il solo piroscafo Deucalion, che dopo essersi fermato per controllare i danni poté proseguire la navigazione, seguendo il convoglio, scortato dal piccolo cacciatorpediniere di scorta Bramham che lo aveva soccorso.

         Dopo questa serie di attacchi, superati senza troppi danni, la Forza F passò a circa 20 miglia a nord dell’isola Galite e trascorse il resto del pomeriggio a contrastare con successo attacchi di sommergibili italiani, evitando alle 16.30 i siluri dell’Emo (tenente di vascello Giuseppe Franco), e affondando verso le 18.00 il Cobalto (tenente di vascello Raffaele Amicarelli) con il cacciatorpediniere Ithuriel (capitano di corvetta D.H. Maitland-Makgill-Crichton), che dopo aver speronato il sommergibile, riportando danni piuttosto gravi alla prua, fermando le macchine ne recuperò i superstiti.

Occorre dire che, allo scopo di realizzare il maggior apporto offensivo, fin dalle 09.00 del 12 agosto Maricosom, il Comando in Capo della Squadra Sommergibili (ammiraglio Antonio Legnani), aveva inviato alle unità subacquee due messaggi: 1°) “Ricordo per l’ultima volta il mio preciso tassativo inequivocabile ordine lanciare sempre massimo numero siluri contro bersagli tonnellaggio superiore a quello delle torpediniere”;  2°) “Il nemico non ripeto non deve passare alt Est un imperativo che io affido alla vostra perizia al vostro ardimento alla vostra decisiva volontà di vittoria”.[18]

           Intanto, una seconda azione aerea era stata pianificata per il pomeriggio dal Comando dell’Aeronautica della Sardegna, ma dovette essere “subordinata alle contingenti condizioni di efficienza qualitativa e quantitativa dei reparti”, che in quelle ore del pomeriggio del 12 agosto non esistevano, a causa dei danni riportati dai velivoli dei vari reparti nell’attacco del mattino.[19]

          Essendo stato pianificato l’intervento aereo in forma ridotta, alle 16.30 decollarono due formazioni offensive: la prima costituita da otto caccia Cr. 42 bombe alari del 24° Gruppo, scortata da nove caccia  Re. 2001 del  22° Gruppo; la seconda comprendente otto aerosiluranti S. 79 del 36° Stormo e del 130° Gruppo, scortata da quattordici caccia Mc. 202 del 153° Gruppo. Mentre gli aerosiluranti furono costretti a rientrare senza essere riusciti ad avvistare le navi nemiche, per il sopraggiunto limite di autonomia dei caccia di scorta, gli otto tuffatori, al comando del tenente Pietro Andreotti, e i nove caccia di scorta guidati dal capitano Germano La Ferla, nel dirigere verso la zona in cui doveva trovarsi la Forza F furono segnalati dai radar delle navi britanniche in avvicinamento, e poco dopo, alle 17.36, vennero intercettati ed attaccati da quattro caccia Martlet dell’806°Squadron della portaerei Indomitable.

             Arrivando da quota superiore i velivoli britannici colpirono gravemente due Re. 2001, uno dei quali andò perduto, mentre l’altro riuscì a rientrare alla base. Ancora uno scontro finito male per i cacciatori italiani, nonostante la loro superiorità numerica, mentre i Cr. 42 non ebbero maggior fortuna. Avendo avvistato il danneggiato cacciatorpediniere Ithuriel, lo attaccarono in picchiata, riuscendo soltanto a sfiorarlo con diverse bombe da cento chili.

La Forza F, che durante tutta la giornata aveva mantenuto una navigazione lineare verso levante, alle ore 18.00 cambiò rotta per 121° per passare attraverso il Canale di Skerki; e ciò avvenne mentre grosse formazioni di aerei decollati dagli aeroporti della Sicilia erano in arrivo, percepite dai radar. Stava per cominciare una nuova e più movimentata fase della battaglia.

 

 

La pianificazione e l’attacco delle forze aeree dell’Asse dislocate in Sicilia   

            

             Basandosi sulle disposizioni impartite da Superaereo e tenendo conto della velocità di spostamento del convoglio britannico e della forte protezione a esso assicurata dai caccia delle portaerei, il Comando dell’Aeronautica della Sicilia e il Comando del II Fligerkorps avevano stabilito fin dal mattino del 12 di svolgere le azioni offensive dei loro reparti nel tardo pomeriggio, contando sul rientro a Caltagirone dei caccia Re. 2001 del 2° Gruppo che nella mattinata avevano operato in Sardegna. Da parte italiana, secondo le istruzioni diramate ai reparti dal Comando Tattico di Catania, era stato previsto di impegnare la Forza F a nord di Biserta con una massa di ben centocinque aerei, ripartiti in tre ondate successive, la prima costituita da trenta bombardieri in quota (Cant. Z. 1007 bi, S. 84 e Br. 20) scortati da otto caccia Re. 2001, la seconda da venti aerosiluranti S.79 e S. 84 scortati da ventidue caccia Mc. 202, la terza da quindici bombardieri in picchiata Ju. 87, scortati da altri dieci caccia Re. 2001. Il loro obiettivo principale, nel corso di un attacco da realizzare in modo sincronizzato, dovevano essere i piroscafi, quello secondario dalle navi portaerei e dalle altre navi da guerra maggiori.

             Il piano di attacco, accuratamente preparato dal Comandante dell’Aeronautica Sicilia, generale Silvio Scaroni, che con accordi stabiliti con il Comando del II Fliegerkorps doveva essere coordinato con gli Ju. 87 del I./St.G.1, scortati dai caccia Bf. 109 dei gruppi II./JG.53 e I./JG.77, quest’ultimo rientrato in Sicilia da Elmas, non poté essere attuato nella forma originale. E ciò avvenne per il mancato rientro a Caltagirone dei Re. 2001 del 2° Gruppo Caccia, che essendo stati impegnati a proteggere le formazioni offensive della Sardegna anche nelle azioni del pomeriggio, non avevano il tempo di  partecipare all’azione serale, fissata per le ore 18.30. Allora facendo l’errata considerazione che il convoglio nemico fosse ancora scortato da tre a quattro portaerei con un numero di caccia elevato, il generale Scaroni ritenne troppo pericoloso inviare all’attacco del convoglio nemico un massiccio numero di aerei offensivi senza adeguata protezione di caccia di scorta, e decise pertanto, con l’autorizzazione di Superaereo, di rinunciare al concorso dei trenta bombardieri in quota per dare maggiore protezione agli aerosiluranti e ai tuffatori, che furono riuniti a Pantelleria.

          Tuttavia, seppur dolorosa, la rinuncia all’impiego dei trenta bombardieri in quota permise all’Aeronautica della Sicilia di disporre per quella stessa sera dei velivoli necessari per venire incontro ai desideri di Supermarina di battere nella notte gli aeroporti di Malta con la maggiore forza e intensità possibile, allo scopo di cercare di tenere a terra gli aerei offensivi dell’isola, nel momento in cui le due divisioni navali sarebbero entrate nel Canale di Sicilia, dirette verso Pantelleria. Gli ordini operativi, diramati dal Comandante del Bombardamento Sicilia, colonnello Giuseppe Gaeta, prevedevano di attaccare in tre ondate l’aeroporto di Luqa, il principale di Malta, con l’impiego di diciassette bombardieri, ad iniziare dalle ore 23.00 del 12 agosto, per poi proseguirle, con la massima puntualità, fino alle 02.00 del 13.

          Risolto questo problema, purtroppo ne sorse un altro. Come se tutto volesse congiurare nella preparazione delle azioni offensive dell’Aeronautica della Sicilia, all’ultimo momento a Gerbini sorsero degli inconvenienti sugli S. 84 del 4° Gruppo  nell’armarsi con i siluri, e non furono in grado di partecipare all’azione programmata, cosi come avvenne per cinque tuffatori Ju. 87 del 102° Gruppo che, arrivati a Pantelleria, non ebbero il tempo di completare il rifornimento. Per tutti questi contrattempi, cui si aggiunsero vari incidenti ai velivoli nell’atterraggio, il gruppo d’attacco preparato dal Comando Operazioni del generale Scaroni si ridusse ancora di numero, e infine venne ad essere costituito, addirittura dimezzato, soltanto da cinquantuno velivoli, il cui intervento ebbe inizio dopo che i ricognitori, italiani e tedeschi, avevano confermarono che la Forza F stava entrando entro il raggio d’azione degli aerei concentrati a Pantelleria.

             Nel corso delle missioni di ricognizione non rientrò alla base un S. 79 del 32° Gruppo del 10° Stormo Bombardieri, che fu abbattuto da due caccia Fulmar dell’884° Squadron della Victorious. Nel corso dell’attacco intervenne anche un Fulmar dell’809° Squadrone dell’Indomitable, che però venne a sua volta abbattuto da un mitragliere dell’S. 79.

          Immediatamente dopo l’arrivo dei primi rapporti trasmessi dai ricognitori, che segnalarono con sufficiente approssimazione rotta e consistenza della Forza F e la disposizione dei caccia di scorta scaglionati a varie quote, il Comando Tattico dell’Aeronautica della Sicilia impartì l’ordine di operazione conclusivo per tutti i reparti interessati destinati ad attaccare la Forza F, dopodiché le formazioni italiane presero il volo dall’aeroporto di Pantelleria, dirette verso il nemico, scortate dai caccia del 51° Stormo (tenente colonnello Aldo Remondino). I primi a partire, alle 17.25 del 12 agosto, furono nove Ju. 87 del 102° Gruppo (capitano Antonio Cumbat), che furono subito dopo raggiunti dalla loro scorta, costituita da undici caccia Mc. 202 del 20° Gruppo (maggiore Gino Callieri). Seguirono quattordici aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo (capitano Ugo Rivoli), poi raggiunti dalla scorta costituita da diciassette caccia Mc. 202 del 155° Gruppo (maggiore Duilio Fanali).

             Nel frattempo si concludevano anche i preparativi dei reparti germanici del II Fliegerkorps, il cui Comando Tattico, che inizialmente aveva pianificato di realizzare l’attacco dalla Sardegna, trasferendo i velivoli Ju 87 del I./St.G.3 ad Elmas, dopo gli accordi intervenuti tra l’O.B.S. e Superaereo, vi aveva rinunciato, per coordinare le sue azioni, con partenza da Trapani,

             Alle 18.35, con la Forza F che si trovava a passare a 20 miglia a nord dell’Isola dei Cani, i radar delle navi britanniche segnalarono una grossa formazione di aerei in avvicinamento ad una distanza di 40 miglia, ed immediatamente, mentre a bordo delle navi scattava nuovamente l’allarme e aumentava lo stato di tensione, le portaerei fecero decollare tutti i loro caccia disponibili, fino a costituire sopra il convoglio un ombrello di venticinque velivoli, che all’apparire degli aerei dell’Asse iniziarono i loro attacchi, impegnandosi a respingere il nemico, senza grande successo poiché i bombardieri e gli aerosiluranti erano protetti da velivoli da caccia di caratteristiche numeriche e belliche più elevate, ciò che permise agli intercettori italiani e tedeschi di mantenere una indubbia supremazia nel cielo della battaglia e consenti agli aerei offensivi da essi scortati di operare con una certa tranquillità.

             Gli attacchi contro le unità della Forza F furono iniziati dai tuffatori Ju. 87 del 102° Gruppo alle 18.40, ora alla quale, con perfetto sincronismo, anche gli aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo, che volavano ad una quota di navigazione di 500 metri, cominciarono ad avvicinarsi alla formazione navale britannica, dando inizio ad un attacco che si prolungo per una ventina di minuti, e che fu accolto dal rombo spaventoso di tutte le artiglierie delle navi britanniche, e dal crepitio delle mitragliere di ogni calibro. Gli Ju. 87 del 102° Gruppo scesero in picchiata dalla direzione del sole, dirigendo in massima parte contro i piroscafi, senza però conseguire alcun risultato, dal momento che le loro bombe caddero in mare.

          Un maggior successo avrebbe invece potuto conseguire lo Ju. 87 che scelse a bersaglio la corazzata Rodney (capitano di vascello J.W Rivett-Carnac), ma purtroppo la sua bomba da cinquecento chili (com’è scritto nel diario della nave) invece di penetrare ed esplodere sulla torre X di grosso calibro da 406 mm, slittò sulla robustissima corazza per poi finire in mare a una quindicina di metri dallo scafo della Rodney, limitando il danno della proiezione di schegge al ferimento di quattro uomini dell’equipaggio.[20] Il colpo a segno fu chiaramente osservato dai piloti degli Mc. 202 del 20° Gruppo Caccia, ma il coraggioso pilota dello Ju. 87 e il suo armiere non sopravvissero per raccontarlo essendo stato il loro aereo colpito dalle artiglierie della Rodney, cadendo in mare a poppa della corazzata, mentre un altro tuffatore fu abbattuto da un caccia Hurricane dell’800° Squadron dell’Indomitable. Non sopravvissero i piloti dei due Ju. 87, sergenti Giulio Cremonesi e Ugo Casavola, e i loro mitraglieri, gli allievi motoristi Giovanni Parietti e Giuseppe Colarenna.

Mentre l’attacco dei Picchiatelli italiani si stava esaurendo, alle 18.44 sopraggiunse sulla Forza F la formazione di venti Ju. 87 tedeschi del I./St.G.3. Da una quota di 3.000 metri  gli Stuka diressero sulla Indomitable che, trovandosi a poppa della Rodney ed essendo seguita dall’incrociatore Phoebe, aveva appena ultimato il decollo di una pattuglia di quattro Hurricane. Manovrando sotto un uragano di fuoco contraereo, i piloti degli Ju. 87 scesero rapidamente in picchiata dalla direzione del sole, “nel famoso cielo azzurro” come si espresse il comandante dell’Indomitable capitano di vascello Thomas Troubridge, per concentrare la loro azione sulla portaerei, arrivandovi da poppa, per poi sganciare le bombe da una quota di circa 300 – 350 metri.[21]

             L’Indomitable, inquadrata con precisione, fu nascosta per qualche tempo alla vista dagli spruzzi delle bombe da 500 chili cadute in mare e dal fumo delle tre che la colpirono –  a prora davanti all’elevatore che si sollevo di 70 cm, a poppa sfondando l’elevatore posteriore, e presso il fianco sinistro – mettendo fuori servizio il ponte di volo e impianti contraerei, e dando agli uomini delle unità vicine l’impressione che la portaerei, preda di forti incendi, sarebbe apparsa come un rottame fumante. Lo sguardo era rivolto al fumo e al vapore che si levavano dietro la cortina d’acqua sollevata dalle esplosioni delle bombe. Poi con sollievo di tutti gli uomini delle navi vicine, da quella cortina in attenuazione la Indomitable apparve avvolta dalle fiamme da prora a poppa, ma ancora a galla. Fra i membri dell’equipaggio vi furono sessantasei morti e cinquantanove feriti.

         Arrivarono per ultimi gli aerosiluranti del 132° Gruppo i quali realizzarono il loro attacco dividendosi in tre formazioni, protette dai caccia di scorta del maggiore Fanali, che s’impegnarono a contrastare e tenere agevolmente lontani dagli S. 79 i caccia britannici. Secondo il rapporto del vice ammiraglio Syfret, gli equipaggi degli S. 79 lanciarono i siluri da una distanza di circa 2.700 metri dai cacciatorpediniere più avanzati dello schermo. Una distanza eccessiva rispetto ai piroscafi del convoglio, l’obiettivo loro assegnato, che poterono agevolmente evitare la minaccia con una manovra a un tempo prontamente ordinata dalla Nelson colla sirena e con il segnale a bandiera rossa. Il giudizio di Syfret fu condiviso dal maggiore Fanali, il quale sostenne che i dodici aerosiluranti sganciarono i siluri da troppo lontano e “in fretta” contro le unità della scorta sul fianco destro del convoglio, e nessuno di essi si inoltrò verso i piroscafi che si trovavano al centro della formazione. Più difficile apparve il compito dei cacciatorpediniere dello schermo per schivare i siluri, uno dei quali colpì a poppa a sinistra il cacciatorpediniere Foresight (capitano di corvetta Robert August  Fell), che imbarcando acqua, e con la sala macchine inutilizzata, dovette essere abbandonato l’indomani, e finito con un siluro dal cacciatorpediniere Tartar (capitano di fregata St.J.R.J. Tyrwhitt) che lo aveva preso a rimorchio con l’intenzione di portarlo a Gibilterra.

Questa serie di successi dell’Asse non doveva restare isolata, perché circa un’ora più tardi, quando il vice ammiraglio Syfret aveva anticipato di venti minuti l’inversione di rotta della Forza Z agli approcci occidentali del Canale di Sicilia, per portare al più presto la danneggiata Indomitable lontana dagli aeroporti dell’Asse, si verificò un vero disastro.

 

 

I successi dei sommergibili italiani e degli aerei tedeschi nella zona del Banco Skerki.

 

          Nell’invertire la rotta, la Forza Z del vice ammiraglio Syfret diresse verso occidente alla velocità di diciotto nidi in una formazione che comprendeva le corazzate Nelson e Rodney, le portaerei Victorious e Indomitable, gli incrociatori Sirius, Phoebe, e Charybdis e undici cacciatorpediniere della 19a Flottiglia: Laforey, Lookout, Lightning, Quentin, Eskimo, Somali, Ithuriel, Antelope, Wishart, Vansittarth e Zetland. Rimanevano indietro il danneggiato cacciatorpediniere Foresight, della Forza X, con il Tartar.

             Proseguirono verso Malta le navi del convoglio e del suo gruppo di scorta, la Forza X del contrammiraglio Burrough, che poteva disporre di una formazione quasi all’organico completo, con il convoglio W.S. 21/S che ancora comprendeva quattordici navi mercantili, di cui tredici in formazione: i piroscafi Port Chalmers, Empire Hope, Waimarama, Wairangi, Melbourne Star, Dorset, Glenorchy, Rochester Castle, Clan Ferguson, Brisbane Star, Santa Elisa, Almeria Lykes e la petroliera Ohio, seguiti alquanto distante dal danneggiato piroscafo Deucalion, scortato dal cacciatorpediniere Bramham. Quanto alla scorta della Forza X, essa disponeva dei tre incrociatori della 10a Divisione Nigeria, Kenya, Manchester, dell’incrociatore contraereo Cairo e dei dieci cacciatorpediniere della 6a  Flottiglia Ashanti, Intrepid, Icarus, Fury, Derwent, Bicester, Ledbury, Pathfinder, Penn e Wilton, seguiti dal Bramham.  

             In quel momento Syfret aveva assolto perfettamente il suo compito e il convoglio, che non aveva subito perdite, stava entrando nelle ristrette acque del canale del Banco Skerki, a nord di Biserta, in cui erano concentrati ben cinque sommergibili italiani: Granito, Bronzo, Axum, Dessie, Alagi. Scrissero i britannici, che gli attacchi portati da quei sommergibili in quella ristretta e sabbiosa area di mare, situata a nord di Biserta e a 250 miglia a ponente di Malta, produssero, improvvisamente, un inaspettato e grave rovescio, “i cui effetti furono superiori ad ogni ragionevole previsione”. E con tali conseguenze disastrose la fortuna, che fino a quel momento aveva accompagnato il convoglio W.S. 21/S, venne a cessare di colpo.[22] Ciò avvenne mentre, per ridurre il rischio di imbattersi in campi minati e di manovrare più agevolmente nelle acque ristrette del Canale  di Sicilia tra il Banco Skerki e l’Isola di Pantelleria, le navi mercantili e gli incrociatori stavano manovrando per cambiare formazione al convoglio, passando da quattro a due colonne, con i cacciatorpediniere sui fianchi.

          Il primo sommergibile ad attaccare in immersione, fu il Dessie (tenente di vascello Renato Scandola), che alle 19.27 lancio la salva dei quattro siluri di prora contro due piroscafi fallendo il bersaglio. Poi, mentre il convoglio britannico aveva cominciato a manovrare per cambiare formazione e disporsi su due colonne, arrivò al lancio l’Axum (tenente di vascello Renato Ferrini), che alle 19.55 fece partire angolati i quattro siluri di prora, prendendo di mira le navi di testa della formazione britannica. L’azione ebbe effetti micidiali. Furono colpiti da un siluro ciascuno l’incrociatore Nigeria, la nave ammiraglia di Burrough, che alla velocità di quattordici nodi guidava la colonna di sinistra del convoglio, l’incrociatore contraereo Cairo, in testa alla colonna di destra, e la petroliera Ohio.

Sul Nigeria (capitano di vascello Stuart Henry Paton), che era stato colpito  sul fianco destro sotto il ponte di comando, per le copiose entrate d’acqua nello scafo, attraverso una falla larga ben tredici metri, vi fu subito uno sbandamento a sinistra di tredici gradi, per poi raggiungere in tre minuti i diciassette gradi. L’incrociatore, che sembrava volesse capovolgersi, rimasto privo di controllo e con le pompe che non funzionavano, fece una gran volta tonda per poi continuare lentamente a muoversi fortemente inclinato sul fianco. L’equipaggio, tra il quale vi furono cinquantadue morti, lottò disperatamente per effettuare le riparazioni di emergenza, puntellando le paratie, isolando alcuni compartimenti e allagandone altri dal lato opposto alla falla per ridurre lo sbandamento. Alle 21.10 il Nigeria era già sotto controllo e cinque minuti più tardi si fermò per trasbordare il contrammiraglio Burrough e il suo stato maggiore sull’Ashanti, per continuare sul cacciatorpediniere ad esercitare il comando della formazione. Dopo di che il Nigeria, invertendo la rotta a ponente, diresse lentamente verso Gibilterra, scortato dai quattro cacciatorpediniere Bicester; Wilton, Derwent e Malcolm, che per ordine del vice ammiraglio Syfret erano stati lasciati indietro per proteggere l’incrociatore.

L’incrociatore contraereo Cairo (capitano di vascello Cecil Campbell Hardy, raggiunto da un siluro sul fianco sinistro, rimase immobilizzato con la poppa asportata e le macchine fuori servizio a 75 miglia a nord di Capo Bon. La situazione della nave, priva di corrente elettrica, e che aveva riportato venti morti tra l’equipaggio, apparve disperata per gli allagamenti che si stavano estendendo ai locali prossimi alla sala macchine, e fu ordinata l’evacuazione. I cacciatorpediniere Pathfinder e Derwent recuperarono l’equipaggio, e infine ricevettero l’ingrato compito di finire il Cairo, lanciando i siluri e sparando con il cannone.

          Sulla petroliera Ohio il siluro dell’Axum esplose al centro dello scafo e dette origine ad un incendio, in corrispondenza della sala pompe. La nave rimase inizialmente immobilizzata, per le caldaie che si erano spente per danni alle tubulature del vapore e il timone in avaria. In queste condizioni il comandante, capitano Dudley William Mason, dette ordine di abbandonare temporaneamente la sala macchine. L’incendio fu poi domato dall’equipaggio, che puntellando le paratie e rimettendo in moto le macchine, permise alla Ohio di proseguire la navigazione a buona andatura, tre quarti d’ora che era stata colpita, scortata dal cacciatorpediniere Ledbury.

           Lo splendido e micidiale attacco dell’Axum che, con uno dei migliori lanci multipli in assoluto di tutta la guerra, aveva colpito tre fra le più importanti navi del convoglio britannico, e che all’epoca fu sottovalutato anche nei confronti delle decorazioni al comandante e all’equipaggio, ebbe un effetto portata assai vasta. Infatti, si verificarono nell’ambito della Forza X e del convoglio i seguenti inconvenienti:

          1°) la temporanea assenza del comandante dell’Ashanti, che guidava la 6a Flottiglia Cacciatorpediniere, fermatosi per imbarcare il contrammiraglio Burrough, il quale per un certo tempo non fu in grado di esercitare il comando della Forza X, assunto dal comandante dell’incrociatore Kenya, capitano di vascello Alfred Spalding Russell;

          2°) la mancanza di un incrociatore a capofila di due delle quattro colonne dei piroscafi, e di quasi metà dei cacciatorpediniere di scorta per aiutare le navi danneggiate;

          3°) la messa fuori combattimento di due dei quattro incrociatori della Forza X, che erano anche le unità addette alla direzione dei caccia di Malta destinati l’indomani ad assumere la scorta al convoglio, poiché soltanto il Nigeria e il Cairo possedevano adatti apparati radio fonici a bassa frequenza;

          4°) l’immediato sparpagliamento dei piroscafi, ognuno dei quali per diverso tempo manovrò indipendentemente, e che rese difficile la loro protezione da parte delle unità di scorta al convoglio divenuto “una massa confusa e eterogenea”, addirittura “caotica” come riferì il comandante del Kenya.[23]

          Il vice ammiraglio Syfret, che si trovava molto ad ovest del convoglio, non appena venne a conoscenza di quanto era successo ordinò all’incrociatore Charybdis e ai due grossi cacciatorpediniere Eskimo e Somali di staccarsi dalla Forza Z per raggiungere la Forza X, per due motivi: per rafforzare la scorta menomata del convoglio, divenuta ormai insufficiente nel passaggio del Canale di Sicilia; e perché lo Charybdis disponeva di un radiotelefono a piccola frequenza, utilissimo per guidare i velivoli da caccia di Malta quando l’indomani avessero assunto la scorta al convoglio.

          Fu in questa situazione che si verificò, in quelle ore crepuscolari, un fatto inaspettato. Alle 20.35 i radar delle unità britanniche, che si trovavano a 20 miglia dal Canale Skerki, segnalarono l’arrivo di grosse formazioni di aerei, e poco dopo, mentre le navi mercantili del convoglio tentavano di costituire nella crescente oscurità la formazione su due colonne, ebbe inizio un micidiale attacco che ebbe termine alle 21.30, con risultati disastrosi. All’attacco, pianificato da Apollo Ia, fissando quale obiettivo principale da attaccare le navi mercantili, partecipavano ripartiti in cinque gruppi trenta bombardieri Ju. 88 del KG.54, KG.77 e II./LG.1, e sette aerosiluranti He. 111 della 6./KG.26, scortati da sei caccia distruttori Bf.110 della 8./ZG.26.

Per proteggere il convoglio il contrammiraglio Burrough ordinò all’Ashanti di stendere una cortina di fumo e di nebbia artificiale sul lato della luminosità dell’orizzonte, e al Penn di fare altrettanto. Poco dopo che i due cacciatorpediniere avevano cominciato a stendere la cortina, la prima formazione degli aerei tedeschi, provenienti da nord-est, cominciò ad aggredire le navi mercantili, che apparivano in formazione molto allungata, mentre le loro sagome scure si stagliavano verso occidente contro le ultime luci dell’orizzonte. Questa condizione ideale fu sfruttata dai bombardieri, e soprattutto dagli aerosiluranti che li seguirono sull’obiettivo, nel migliore dei modi. L’attacco aereo fu anche agevolato dal fatto che sei caccia a lungo raggio Beufighter del 248° Squadron, arrivati da Malta per assumere la scorta del convoglio in sostituzione dei velivoli delle portaerei, stavano rientrando alla base e nell’invertire la rotta non poterono rintracciare al buio i velivoli attaccanti.

Per circa mezzora gli aerei tedeschi attaccarono, a coppie o isolati, e molti piroscafi riportarono danni per colpi vicini.

             Alle 20.35 due grosse bombe caddero presso lo scafo del Rochester Castle (capitano R. Wren) che imbarcò acqua nella sala macchine. Poco dopo l’Empire Hope (capitano G. Williams) fu particolarmente inquadrato dagli Ju. 88. Una bomba, caduta vicino, aprì un forte squarcio sul fianco del piroscafo, che fu costretto a fermarsi con le macchine fuori uso. Rimasto immobile bersaglio, alle 20.50, il medesimo Empire Hope fu colpito in pieno da due bombe, una delle quali esplose nella stiva numero quattro dove si trovava un carico di munizioni e benzina avio, generando un forte incendio. Apparendo condannato, il piroscafo dovette essere colpito con il siluro dal cacciatorpediniere Penn (capitano di corvetta J.H. Swain, dopo che ne aveva recuperò l’equipaggio. Anche il cacciatorpediniere Ashanti fu preso di mira dagli Ju. 88, e una bomba cadutagli vicino causò, per un ritorno di fiamma, un incendio nella sala caldaie, che fu rapidamente domato.

          Verso le 21.00 i sette aerosiluranti della 6./KG.26, comandati dal capitano Karl Barth, che erano armati ciascuno con due siluri F.5b, attaccarono con decisione e colpirono dapprima il piroscafo Brisbane Star, con un siluro esploso all’estremità della prora, e due minuti più tardi il Clan Ferguson, che si trovava a circa 7 miglia a nord dell’Isola Zembra. Pur con la stiva 1 allagata, dopo essersi arrestato per controllare i danni, il Brisbane Star (capitano F.N. Riley) fu in grado di continuare isolato la navigazione alla velocità di cinque nodi, poi in seguito aumentata a otto nodi.  Il Clan Ferguson fu colpito da un siluro sul fianco destro, e il carico nella stiva 4, costituito da benzina in fusti, prese fuoco. L’incendio raggiunse la stiva 5, ove si trovava un carico di centocinquanta tonnellate di munizioni che esplosero. In preda alle fiamme che si estesero da un capo all’altro, il Clan Ferguson fu abbandonato dall’equipaggio, il quale riuscì ad allontanarsi su imbarcazioni di salvataggio, prontamente calate in mare. Ciononostante, sugli ottantacinque uomini che si trovavano a bordo del piroscafo, vi furono trentadue morti. I superstiti furono salvati indomani dai MAS 548 e 560, e da un idrovolante tedesco Do. 24.

          Alle 21.15 due aerosiluranti della 6./KG.26 rintracciarono, a 6 miglia dall’isola dei Cani, il danneggiato Deucalion (capitano R. Brown), che scortato dal cacciatorpediniere Bramham seguiva il convoglio costeggiando la costa della Tunisia, Il piroscafo, colpito da un siluro sul fianco destro, nella stiva 6 in cui si trovava un carico di benzina per aerei, rimase immobilizzato e in preda ad un fortissimo incendio. Il Bramham recuperò l’equipaggio e dette al Deucalion il colpo di grazia con bombe di profondità fatte esplodere nei pressi dello scafo.

          Nel corso dell’attacco le perdite tedesche furono limitate all’abbattimento di un solo velivolo Ju. 88 della 3a Squadriglia del KGr.806.

             Con le incursioni aeree non ancora cessate, alle 21.05 entrò nella mischia il sommergibile Alagi, comandato dal tenente di vascello Sergio Puccini, uno dei sommergibilisti più abili della flotta subacquea italiana. Manovrando a quota periscopica, e sorvegliando le manovre delle navi britanniche sotto l’attacco dei velivoli tedeschi, Puccini si trovò in buona posizione per attaccare un incrociatore ritenuto del tipo “Southampton”, che aveva vicino un piroscafo di medio tonnellaggio. Approfittando dell’occasione di un bersaglio multiplo, il comandante dell’Alagi fece partire a ventaglio i quattro siluri di prora. Il piroscafo Port Chalmers e contemporaneamente l’incrociatore Kenya, videro le scie dei siluri avvicinarsi sul fianco destro e immediatamente manovrarono per evitarle. Con l’accostata tempestiva il Kenya schivò tre siluri: uno fu visto passare sotto la poppa; altri due a breve distanza dalla scia della nave; il quarto siluro raggiunse il Kenya all’estrema prora sul fianco destro, costringendo l’incrociatore a diminuire la velocità.  Malgrado  un grosso squarcio apertosi sotto la chiglia, a cui si aggiunse l’allagamento del locale prodiero colpito dal siluro e la messa fuori uso dello scandaglio asdic, l’ottima compartizione del Kenya resse bene all’esplosione del siluro, e dopo aver diminuito la velocità, controllato le avarie e gli allagamenti e controbilanciato un leggero sbandamento, fu in grado di risalire il convoglio alla buona velocità di venticinque nodi, e raggiungeva il Manchester, il solo incrociatore della Forza X ancora indenne.

          Dopo questo nuovo infortunio, vedendo il Kenya colpito, a bordo di molte navi mercantili scoppiò il panico. Il Port Chalmer, il piroscafo del commodoro Venables che si trovava a poppa del Kenya, invertì la rotta per Gibilterra, imitato dal Dorset e dal Melbourne Star i cui comandanti ritennero di essere stati abbandonati dalle unità di scorta. Fu necessario inviare i cacciatorpediniere a convincerli a invertire la rotta.

             Alle 22.05 il sommergibile Bronzo (tenente di vascello Cesare Buldrini) avvisto l’incrociatore Charybdis  e i cacciatorpediniere Eskimo e il Somali che a forte velocità dirigevano per raggiungere il convoglio, ma non riuscì a raggiungere una posizione di lancio favorevole per attaccarle. Il Bronzo diresse allora verso gli incendi delle navi che ardevano in lontananza, avvistò il cacciatorpediniere Ledbury, che passava nella zona assieme allo petroliera Ohio. Diresse poi verso il relitto del piroscafo Clan Fergusson, che era ancora a galla, e alle 23.46 lo attaccò con lanci successivi di tre siluri, l’ultimo dei quali arrivò a segnò facendo incendiare la nave, che affondò capovolgendosi un’ora dopo, quando si verificò il completo distacco della prora.        


[1] Per le operazioni Harpoon e Vigorous vedi l’articolo di Francesco Mattesini, 1942: Battaglia Aeronavale di Mezzo Giugno, in Storia Militare dei mesi di novembre - dicembre 2012 e gennaio 2013.

[2] S.W. Roskill, The war at sea, Vol. II, The period of Balance, Her Majesty’s Stationery Office (H.MS.O), Londra, 1956, p. 301-302.

[3] M. Pearson, The Ohio & Malta. The Legendary Tanker that Refused to Die, Leo Cooper, Barnsley, 2004; R. Woodmann, Malta Convoy 1940 – 1943, John Murray, Londra, 2000, p. 374 sg.

[4] Ricordiamo che per l’incapacità dell’industria a realizzare radiolocalizzatori, la Regia Marina possedeva allora di tre soli apparati di quel tipo: due Gufo costruiti da Marinelettro Livorno, praticamente sperimentali e di nessuna utilità operativa, sulla torpediniera Carini e sulla corazzata Littorio, e un Dete ceduto dalla Marina germanica nell’autunno del 1941, e sistemato sul nuovo cacciatorpediniere Legionario, allora in costruzione a Livorno. Per saperne di più, vedi Francesco Mattesini, “I radiolocalizzatori della Regia Marina”, nel Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Parte prima, settembre 1995, p. 95-198, Parte seconda, dicembre 1995, p. 25-141.

  [5] Nei mesi di maggio e di giugno arrivarono a Malta 136 Spitfire, per mezzo delle portaerei Wasp (statunitense) ed Eagle. Altri 33 giunsero a metà luglio, per rimpiazzarne i 36 che erano andati perduti o gravemente danneggiati, e ancora 28 atterrarono sugli aeroporti dell’isola il 22 luglio, che era la data dell’ultimo rinforzo di Spitfire.

 [6] Il Safari e il P 222 appartenevano all’8a Flottiglia di Gibilterra. Gli altri sette sommergibili alla 10a Flottiglia di Malta.

[7] In effetti, dobbiamo dire che l’operazione Ascendant si verificò come pianificato. Le quattro navi transitarono nella notte tra l’11 e il 12 agosto per Capo Bon, avvistarono il cacciatorpediniere italiano Malocello, che protetto da due torpediniere due Mas era impegnato in una posa di mine temporanee in acque territoriali francesi, dove gli italiani supponevano sarebbe transitato il convoglio britannico, ma non lo disturbarono avendolo preso per un dragamine francese classe “Elam”. Proseguirono poi verso ponente, e sebbene fossero stati avvistati dai ricognitori italiani e tedeschi, poterono tranquillamente raggiungere Gibilterra, anche perché i Comandi dell’Asse, impegnati negli attacchi al convoglio Pedestal, si accorse trattarsi di navi scariche salpate dalla Valletta.

[8] Archivio Ufficio Storico della Marina Militare (da ora in poiAUSMM), Scambio notizie con Ammiragliato britannico, “Operazione Pedestal – Agosto 1942”.

[9] Naval Staff Histories, The Royal Navy and the Mediterranean Convoy, prefazione di Malcolm Llewellyn-Jones, Routledge Londra, 2007, p. 83; AUSMM, “Relazione sull’operazione Pedestal”, Scambio notizie con Ammiragliato britannico. 

[10] Il rifornimento delle navi della Forza F rappresentò un compito particolarmente complesso per il Comandante del Nord atlantico, vice ammiraglio George Frederick Bassett Edward-Collins e dei collaboratori del suo stato maggiore, a causa dalla difficoltà di dover smistare rapidamente le unità in arrivo ai punti di attracco, oltre a dover mantenere lo stato di sicurezza. In effetti, la base di Gibilterra era sotto il controllo degli agenti dell’Asse stanziati nella vicina località spagnola di Algesiras e nei punti di osservazione lungo le coste neutrali ai due lati dello stretto,  e pertanto l’arrivo in porto di tante navi contribuiva a diminuire le possibilità di far passare inosservato il convoglio nel Mediterraneo.

[11] Per la Di.Na.7 vedi  Francesco Mattesini, La battaglia Aeronavale di mezzo agosto, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1986, Annesso 3, p. 453-468.  Riportata anche in Francesco Mattesini e Mario Cermelli, Le direttive tecnico-operative di Superaereo, Volume Secondo I Tomo, Gennaio 1942- Settembre 1943, Stato Maggiore Aeronautica Ufficio Storico, Roma 1992, Documento n. 9, p. 31-43.

[12] AUSMM, cartella delle Riunioni per i convogli al Comando Supermo.

[13]  Secondo la relazione del Comandante della R.A.F. di Malta, vice maresciallo dell’aria Keith Park, il 10 agosto si trovavano nei tre aeroporti dell’isola 211 aerei, dei quali 110 caccia Spitfire, 43 Beaufighter, 35 aerosiluranti, 6 bombardieri e 17 ricognitori. Ad essi dovevano poi aggiungersi, la sera dell’11 agosto 37 Spitfire lanciati dalla portaerei Furious.

[14] Occorre anche dire che Kesselring, dopo le delusioni delle seconda battaglie della Sirte e di Pantelleria, non riponeva molta fiducia sulle capacità combattive della flotta italiana, alla quale aveva dato nel passato, in operazioni analoghe, il suo appoggio aereo, ricavandone parecchie delusioni. Colpa certamente della prudenza dei Capi, a Roma, e non degli ufficiali e degli equipaggi delle unità della Squadra Navale che, quando era ordinata un’azione offensiva, non si tiravano indietro e cercavano di fare tutti il loro dovere.

[15] L’attività di volo britannica fu percepita dalle stazioni di ascolto italiane a iniziare dalle ore 09.30 dell’11 agosto, al momento in cui cominciarono ad essere intercettate le trasmissioni radio tra le portaerei e i velivoli in pattugliamento nella zona delle Isole Baleari.

[16] “Operazione Pedestal” Supplemente to The London Gazette, 10 maggio 1948.

[17] I. Cameron, Red Duster White Ensign. The Story of the Malta Convoys, cit., p. 181; R. Woodman, Malta convoy 1940 – 1943, cit., p. 403.

[18] AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, b. 62.

[19] Archivio Ufficio Storico Aeronautica (da ora in poi AUSA), Relazione del Comando Aeronautica della Sardegna.

[20] National Archives, AIR 23/5755, Operation Pedestal: H.Q. Malta Report 1942.

[21] AUSMM, Scambio notizie con Ammiragliato britannico, “Operazione Pedestal – Agosto 1942”, traduzione dal testo inglese. Riportato anche in The Royal Navy and the Mediterranean Convoy, A Naval Staff History, Routledge, Londra, 2007, p. 89.

[22] Per le azioni dei sommergibili italiani è stata consultata, presso l’AUSMM, la vastissima documentazione di Maricosom e, in particolare, i rapporti di missione.

[23] AUSMM, Scambio notizie con Ammiragliato britannico, “Operazione Pedestal – Agosto 1942”.

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I successi delle motosiluranti e dei mas italiani nel Canale di Sicilia

 

             Prevedendo che i britannici, doppiato Capo Bon, avrebbero potuto procedere verso Malta seguendo la rotta passante a sud di Pantelleria, oppure quella che da Capo Bon si allungava lungo la costa della Tunisia fino all’altezza di Ras Mahmur, il Comando di Marina Trapani, per ordine di Supermarina, aveva distribuito quattordici unità insidiose dipendenti per una vasta zona di mare del Canale di Sicilia, raccomandando ai comandanti di agire con “il massimo spirito offensivo”.[1] Si trattava di sei motosiluranti della 2a Squadriglia (Ms 16, 22, 23, 25, 26, 31), salpate da Trapani al comando del capitano di corvetta Giorgio Manuti, e di otto mas delle Squadriglie 18a (556, 560, 562, 557) e 20a (552, 553, 554, 564), rispettivamente usciti da Trapani e Pantelleria al comando dei tenenti di vascello Luigi Sala e Carlo Polizza.

          Da parte tedesca, salpando da Porto Empedocle, furono inviate in agguato ai due vertici dello schieramento delle motosiluranti italiane – mandate nella zona di Kelibia – quattro motosiluranti della 3a Flottiglia (S 58, S 59, S 30, S 36), comandata dal famoso tenente di vascello Friedrich Kemnade.

          Dopo gli attacchi dei sommergibili italiani e degli aerei tedeschi nella zona del Banco Skerki, il convoglio W.S. 21/S e la Forza X avevano proseguito nella loro navigazione lasciandosi di poppa, il livido chiarore delle navi in fiamme. Dietro alle unità di testa della formazione, che per evitare la zona a levante di Capo Bon, a più riprese minata dagli italiani, seguivano in acque territoriali francesi una rotta costeggiante la scoscesa e brulla costa della Tunisia, a sud dell’isola Zembra. Quindi la navigazione continuò verso Capo Bon in un’improvvisa ed irreale quiete, con i cacciatorpediniere rimasti arretrati che cercavano di riordinare i mercantili dispersi in una formazione più o meno compatta.

          In quel momento si aveva la situazione seguente. I cacciatorpediniere, Intrepid, Icarus e Fury, con i divergenti in mare, dragavano di prora. Seguivano nell’ordine, in unica linea di fila, gli incrociatori Kenya e Manchester che precedevano l’Almeria Likes e il Glenorchy, gli unici piroscafi del convoglio ad essere riusciti a mantenere la testa del convoglio. Degli altri cacciatorpediniere l’Ashanti, con il contrammiraglio Burrough, cercava di riordinare celermente il grosso della formazione, mentre il Pathfinder si trovava con i piroscafi che si erano sbandati: Melbourne Star, Santa Elisa, Dorset, Rochester Castle, Waimarama e Wairangi; quest’ultimo alle 22.20 riuscì a raggiungere la testa della formazione e s’inserì fra l’Almeria Lykes e il Glenorchy. Seguivano ancora più indietro il Port Chalmers e la petroliera Ohio, rispettivamente scortate dai cacciatorpediniere Penn e Ledbury. Vi erano infine il cacciatorpediniere Bramham che dopo aver inflitto il colpo di grazia al Deucalion, si stava avvicinando velocemente, e infine il piroscafo Brisbane Star, che con falla di siluro e senza nessuna scorta stava seguendo faticosamente una rotta indipendente costeggiante il litorale della Tunisia.

             Alle 23.54 del 12 agosto, le prime navi mercantili del convoglio e le loro ridotte unità di scorta raggiunsero Capo Bon. Quindi virando, diressero a sud navigando lungo la costa per passare al largo di Kelibia, chiaramente individuabile per il suo faro che, illuminando il mare, permetteva, come riferì il comandante del piroscafo statunitense Santa Elisa, capitano T. Thompsom, di individuare la sagoma di una nave a 10 miglia di distanza. In queste condizioni, poco dopo la mezzanotte, si realizzò il primo attacco delle unità insidiose, portato dalle motosiluranti tedesche della 3a Flottiglia S 58   e S 59.

             I due piccoli scafi, inizialmente in agguato a sudovest di Capo Bon, andarono incontro alle navi nemiche che la S 58 (sottotenente  di vascello Siegfried Wuppermann) individuò avanzare con incrociatori e cacciatorpediniere che procedevano a forte velocità, zigzagando. Il comandante Wupperman, che durante l’operazione Vigorous aveva silurato l’incrociatore Newcastle, guidò le due motosiluranti della sua sezione all’attacco, ma furono percepite dal radar di scoperta navale tipo 286 del cacciatorpediniere Ashanti, che le impegnò con le artiglierie dopo averle illuminate con il proiettore, costringendole ad invertire la rotta prima di arrivare al lancio siluri. La S 59 (sottotenente di vascello Albert Müller), stendendo una cortina di nebbia artificiale, riuscì ad occultarsi e si allontanò senza riportare danni, mentre invece la S 58, fu colpita da un proietto da 120 mm e da uno da 40 e spento un incendio che era propagato a bordo, diresse per rientrare a Porto Empedocle. Ricevuto dalla S 58 l’ordine di continuare a seguire il convoglio, la S 59 continuò a tallonare la formazione navale britannica e alle 01.00 lanciò di due siluri contro il piroscafo Dorset (capitano J.C. Tuckett), senza riuscire a colpirlo, per poi sottrarsi al contrattacco di un cacciatorpediniere.

          Alla stessa ora in cui si verifico l’episodio descritto, transitando presso il faro di Punta Kelibia, nella zona ove la notte del giorno 11- 12 agosto il cacciatorpediniere italiano Malocello aveva posato uno sbarramento minato temporaneo (S 6) in acque territoriali francesi, dall’Ashanti furono viste due mine ad antenna scivolare presso il fianco del cacciatorpediniere, ad appena 3 metri di distanza. Il comandante Onslow, comprensibilmente soddisfatto per lo scampato pericolo, ritenne che i cavi delle mine fossero stati tagliati dai divergenti dei cacciatorpediniere, che dragavano in testa al convoglio.  

          Vi furono pochi minuti di tregua, perché poco dopo, alle 01.07 del 13 agosto, quando le navi britanniche si trovava a passare presso la località di Kelibia, arrivarono al lancio, le motosiluranti italiane MS 16 (capitano di corvetta Giorgio Manuti) e MS 22 (tenente di vascello Franco Mezzadra), che presero di mira il Manchester, l’unico incrociatore della formazione britannica ancora indenne.

             Il Manchester (capitano di. vascello H. Drew) si accorse della presenza delle motosiluranti e immediatamente aprì il fuoco con le torri trinate prodiere da 152 mm. e accostò bruscamente per evitare i due siluri avvistati in avvicinamento. Riuscì a schivarne uno, ma il secondo raggiunse l’incrociatore sul fianco destro, facendo esplodere un deposito di proiettili da 102 millimetri, e determinando un allagamento nella sala macchina e negli adiacenti compartimenti dell’estrema poppa, ove rimasero uccisi 13 uomini. Il timone si arrestò e tre dei quattro assi porta-eliche rimasero immobilizzati. Privo di governo e di energia elettrica, a causa di due dinamo entrate in avaria, il Manchester descrisse lentamente un arco di cerchio per poi fermarsi sbandato sul fianco di dodici gradi.

          Alle 01.40 il cacciatorpediniere Pathfinder (capitano di fregata E.A. Gibbs) si avvicinò alla nave danneggiata imbarcando centocinquanta uomini; ma poi dovette allontanarsi, per raggiungere il convoglio che era al momento fortemente minacciato da altre unità insidiose in agguato nella zona. In tal modo, il Manchester rimase del tutto isolato e privo di qualsiasi protezione proprio quando avrebbe avuto bisogno di assistenza. Non appena entrarono in azione i gruppi elettrogeni d’emergenza lo sbandamento del Manchester fu ridotto a cinque gradi mediante il contro-allagamento di alcuni compartimenti; ma le macchine non erano in grado di funzionare e l’incrociatore non riuscì a muoversi. Alle ore 02.00 fu ordinata l’evacuazione e poco dopo vennero fatte esplodere cariche di autodistruzione. Alle 05.50 il Manchester si inabissò a 6 miglia dalla costa della Tunisia. Parte dell’equipaggio, non raccolto dalle unità della scorta, raggiungeva a nuoto la spiaggia di Kelibia, e venne internato dalle autorità francesi.

          Cerchiamo di capire, secondo la nostra ricostruzione. a chi delle due motosiluranti potrebbe essere assegnato il colpo a segno.

          Com’è riportato nella relazione di Supermarina, la Ms 16 lanciò un primo siluro, dalla distanza di 800 metri, diretto contro un incrociatore ritenuto della classe “Arethusa”, ma che in realtà, per la forma dei fumaioli, doveva essere il Kenya, che precedeva il Manchester. Quindi cambiando bersaglio, la MS 16 lanciò il secondo siluro, da distanza apprezzata di 600 metri, contro un altro incrociatore del tipo “Southampton”, che seguiva il primo incrociatore, e che era certamente il Manchester, la cui parte posteriore, dopo ventisette secondi dal lancio del siluro, fu vista sollevarsi e illuminarsi di un colore arancione, poi seguito da bagliore rosso.

          Nel frattempo la Ms 22, visto il proiettore che aveva illuminato un incrociatore, aveva rinunciato ad attaccare, al centro della linea delle navi nemiche, un cacciatorpediniere della classe “Tribal”, certamente l’Ashanti che precedeva il Kenya. Quindi, il comandante Mezzadra manovrò per attaccare la stessa grossa nave su cui dirigeva anche la MS 16 del capitano di corvetta Manuti, che si trovava a circa 200 metri di poppa alla MS 22. Durante questa manovra tutti gli uomini dell’equipaggio della MS 22 che si trovavano in coperta, affermarono concordemente di aver visto un siluro proveniente da poppa passare sul fianco sinistro davanti alla prora della motosilurante e perdersi sulla scia dell’incrociatore. Subito dopo Mezzadra lanciò dalla distanza di 600 metri i suoi due siluri, entrambi contro il Manchester, ma di essi il primo, per errore di angolazione, passò a prora del bersaglio, mentre il secondo fu visto scoppiare dopo trenta secondi dal “fuori” all’altezza del fumaiolo di poppa.

          Avendo gli uomini del Manchester visto arrivare due siluri a breve intervallo di tempo, uno dei quali falli l’incrociatore in manovra mentre l’altro lo colpì a poppa, è da ritenere che fu il terzo ed ultimo siluro, tra quelli lanciato dalle due motosiluranti sul medesimo bersaglio, a colpire il Manchester; successo che pertanto dovrebbe essere assegnato alla MS.22, e quindi al tenente di vascello Mario Mezzadra che a differenza del suo superiore effettuò il lancio binato. Tuttavia, occorre anche considerare che Supermarina fu propensa ad assegnare il successo alla S 16, e quindi a Manuti, in considerazione del fatto che, per la maggiore esperienza, aveva cronometrato la corsa dei siluri.

          Per il convoglio britannico il dramma di quella notte, determinato dalla perdita del Manchester era appena all’inizio, perché fu seguito da una nuova serie di disastri. Alle 01.15 la S 59 del sottotenente di vascello Müller avvistò nuovamente il convoglio, ma non riuscì a mantenere il contatto.  Poi, alle 01.47, le navi britanniche furono avvistate dalla motosilurante italiana MS 31 (tenente di vascello Antonio Calvani), che trovandosi a circa 7 miglia a sud di Ras Mustafà, diresse contro il cacciatorpediniere Fury, per poi cambiare bersaglio contro il più allettante piroscafo Glenorchy (capitano G. Lesile) lanciando due siluri che arrivarono entrambi a segno, per poi disimpegnarsi sotto il fuoco delle artiglierie del Fury. In preda agli allagamenti il Glenorchy rimase immobilizzato fortemente inclinato sul fianco destro, e al mattino affondò capovolgendosi, mentre violente esplosioni incendiarono in mare la nafta fuoriuscita dai depositi.

          Alle 02.20, un’altra motosilurante italiana, la MS 26 (sottotenente di vascello Alberto Bencini), essendosi spostata dalla sua zona verso Capo Mustafà avvistò il convoglio. Pur essendo stata illuminata e presa sotto il fuoco di cannoni e mitragliere, riuscì a lanciare i siluri dalla distanza di 1.000 metri su un incrociatore della presunta classe “Arethusa”, mentre in realtà doveva essere il Kenya, l’unico incrociatore rimasto alla Forza X, che il comandante Bencini ritenne, erroneamente, di aver colpito all’altezza della plancia. Dopo l’attacco la MS 26 si disimpegnò verso la costa della Tunisia inseguita dal fuoco dei cannoni del cacciatorpediniere Pathfinder.

             Nel frattempo le navi di testa della formazione britannica avevano proseguito la loro rotta costeggiando il litorale della Tunisia fino all’altezza del Banco Kurba, che si trova ad una distanza di circa 180 miglia a ponente di Malta. Quindi alle ore 02.20, sul punto chiamato “R”, e come fissato dall’ordine di operazione, l’incrociatore Kenya cambiò rotta e diresse verso sudest per passare a sud della montagnosa Isola di Pantelleria, e mezzora dopo sopraggiunsero l’incrociatore Charybdis e i cacciatorpediniere Eskimo e Somali, portando al contrammiraglio Burrough, come egli stesso scrisse nella sua relazione, “un  aiuto alla difesa” del convoglio, proprio quando dalle segnalazioni radio intercettate appariva che un altro gruppo di unità insidiose si apprestava ad attaccare.[2] In quel momento, infatti, la formazione navale si stava inoltrava nella zona di agguato di due motosiluranti tedesche della 3a Flottiglia, e di quattro Mas italiani della 20a Squadriglia.

             La prima unità insidiosa ad andare all’attacco fu il Mas 552 (sottotenente di vascello Rolando Perasso), che aveva diretto verso il convoglio, richiamato da bagliori individuati verso Capo Bon. Manovrando sull’ascolto all’idrofono, il comandante Perasso, avvistò il gruppo dei piroscafi di testa, costituito dal Santa Elisa e dal Wairangi, e si portò all’attacco senza che l’incrociatore Kenya, che di prora precedeva quelle navi, potesse fare molto per difenderle. Il Kenya avvistò il Mas 552 e lo impegnò violentemente con le armi leggere, ma il piccolo scafo diresse con decisione contro il Wairangi (capitano Richard Gordon) e alle 03.11 lo colpì sul fianco destro a poppa con un siluro lanciato dalla distanza di circa 400 metri. Il piroscafo, con la sala macchine e la stiva 3 allagata, sbandò leggermente a sinistra, e poco tempo dopo, essendo venuta a mancare l’energia elettrica, si fermò per l’arresto delle macchine. Il Wairangi venne allora abbandonata dall’equipaggio che prese posto su imbarcazioni di salvataggio, mentre alcuni volenterosi ne affrettarono l’affondamento con cariche esplosive.

          Subito dopo la fruttifera azione del Mas 552, si fecero sotto le motosiluranti tedesche S 30  e  S 36  avendo avvistato il convoglio nemico che si stava avvicinando  si erano divise movendo verso il nemico separatamente. La S 30 (sottotenente di vascello Horst Weber) che imbarcava il comandante della 3a Squadriglia Motosiluranti tenente di vascello Friedrick Kemnade e quale ufficiale di collegamento italiano il guardiamarina Oliver A. Scuto, dirigendo all’attacco dei piroscafi, superando i cacciatorpediniere di scorta, penetrò silenziosamente tra le navi della formazione. Quindi, alle 03.21 da una distanza di circa 800 metri, il comandante Weber lanciò contro la grossa petroliera due siluri, uno dei quali fu visto raggiungere il bersaglio a proravia della plancia, quindi si disimpegno alla massima forza facendo fumo, sottraendosi al fuoco di armi di ogni genere e  all’inseguimento di un cacciatorpediniere prolungatosi per oltre venti minuti.

          Fu poi la volta a farsi sotto della S 36 (sottotenente di vascello Gunther Brauns), che manovrando a lento moto, diresse contro l’Ashanti, lanciando da buona posizione due siluri evitati dal cacciatorpediniere con la manovra.[3] Ricaricati i tubi di lancio, alle 03.28 la S 36  lancio le armi contro un piroscafo e ritenne di averlo colpito sotto la parte centrale del castello dove “vennero osservate delle fiammate”. 

          Malgrado le ottimistiche affermazioni dei comandanti, le due motosiluranti tedesche, che nell’attaccare avevano stretto le distanze con i bersagli, non conseguirono alcun successo. Tuttavia, da parte tedesca ed anche britannica, si tende ad assegnare alla motosiluranti S 30 l’affondamento del piroscafo statunitense Almeria Likes che invece e da considerare un successo italiano, del Mas 554 (sottotenente di vascello Marco Calcagno). Avvistato l’Almeria Lykes (capitano T. Thompson),  che si trovava a poppa del cacciatorpediniere Somali, alle 03.40 il comandante Calcagno l’attaccò da una distanza di 500 metri, colpendolo a prora, sul lato sinistro, e aprendo un ampio squarcio nella stiva 1. Rimasto privo di corrente il piroscafo fu abbandonato dall’equipaggio, ma il suo affondamento si verificò solo al mattino.

             Subito dopo l’attacco dei mas della 20a Flottiglia dovevano intervenire le quattro unità della 18a Flottiglia, ma tre di essi, i Mas 560, 562 e 556, pur avendo avvistato bagliori dei combattimenti in direzione di Capo Bon, per scarsa iniziativa del comandante della flottiglia, tenente di vascello Luigi Sala, rimasero passivamente nella zona occupata, a sud degli sbarramenti minati italiani 6 AN e 6 AN bis, come scrisse nella sua relazione Marina Trapani. 

             Invece andò all’attacco il Mas 557 del guardiamarina Battista Cafiero, che con lodevole iniziativa si era spostato a sud-sud ovest di Pantelleria, andando a imbattersi sul piroscafo statunitense Santa Elisa, per poi manovrare con i motori principali alla massima forza per raggiungere una posizione di lancio favorevole. Nella notte senza luna, il rumore dei motori mise in allarme il Santa Elisa, che reagì con il suo potente armamento (un cannone e sei mitragliere), per poi manovrare schivando un siluro. Fra la nave statunitense ed il Mas 557, che la oltrepassava a grande velocità, si svolse, con tiro rapido, un violento scambio di colpi di mitragliera, durante il quale sul Santa Elisa restarono uccisi tre marinai, tutti serventi del cannone situato sul cassero. Raggiunto il lato opposto del piroscafo, e portatosi a distanza ravvicinata, Cafiero dette il “fuori” al suo secondo siluro, che alle 05.05 arrivò a segno a prora della nave mercantile. Il carico del Santa Elisa, costituito in gran parte da benzina, assieme all’esplosione delle munizioni, trasformò il piroscafo in una torcia, da un estremità all’altra del ponte, costringendo l’equipaggio ad abbandonare quell’inferno sulle imbarcazioni di salvataggio, Più tardi ventisette uomini furono raccolti dai ritardatari cacciatorpediniere Penn e Bramham.

             Nel frattempo gli attacchi delle unità insidiose contro il convoglio in transito a sud di Pantelleria, continuarono con intensità fino all’alba, e le zone degli scontri, iniziati a Capo Bon e proseguiti lungo la costa orientale della Tunisia, erano ormai quasi esclusivamente delimitati a sud di Pantelleria, da dove ad intervalli si alzavano bengala, e si intravedevano vampe di artiglieria e fasci di proiettori. In questo clima, i mas e le motosiluranti avevano la netta percezione di dove si trovava il nemico, anche senza l’ausilio degli idrofoni, e i comandanti più esperti e quelli più giovani, ma con forte spirito di iniziativa, manovravano per intercettarlo.

          Quasi alla stessa ora in cui fu colpito il Santa Elisa, attaccò il Mas 564 (nocchiere di seconda classe Giuseppe Iofrate), il quale diresse contro il fianco sinistro del piroscafo Rochester Castle (capitano Richard Wren) e da una distanza di 500 metri lanciò un siluro che, deviando nella corsa, fallì il bersaglio, passandogli a prora. All’attacco e alla pronta reazione del piroscafo che aprì il fuoco con le mitragliere, assistette la motosilurante S 30 del sottotenente di vascello Weber, che aveva seguito il convoglio nemico, attendendo un’altra occasione per attaccare, eludendo i cacciatorpediniere della scorta. Avendo rilevato che l’unita sottile italiana aveva fallito il bersaglio, il sottotenente di vascello Weber raggiunse una posizione di prora al piroscafo e alle 05.08, fermate le macchine, lancio due siluri. Con questa manovra, passata inosservata da parte dell’equipaggio del Mas 564, Weber precedette il secondo attacco della piccola unità italiana; ma l’ufficiale tedesco non ebbe fortuna perché, secondo gli “Elementi di controllo di Supermarina”, espressi dopo aver consultato attentamente il rapporto di missione della S 30, appare che al momento in cui si verificò l’esplosione di uno dei siluri lanciato dalla motosilurante tedesca, erano già trascorsi due minuti; e in questo lasso di tempo le armi avevano percorso una distanza di circa 2.000 metri, ossia molto maggiore di quella di 500 metri calcolata dal Weber al momento del lancio.

             Con ben altro esito si era svolto il secondo attacco del Mas 564, che dopo aver messo in moto i motori principali e aver aggirato il Rochester Castle con il favore dell’oscurità, alle 05.10 si era portato nuovamente al lancio, effettuato dalla distanza di circa 700 metri, con il siluro che fu visto raggiunse il bersaglio sul fianco destro a centro nave. Il piroscafo britannico riuscì ad individuare la piccola unità italiana quasi nello stesso tempo in cui fu colpito dal siluro, e la sua reazione con una mitragliera apparve debole. L’esplosione aprì un largo squarcio in corrispondenza della stiva 3, ma le paratie ressero bene impedendo all’acqua di allagare l’attigua sala macchine che continuò a funzionare, e il Rochester Castle, pur avendo la prua alquanto abbassata dagli allagamenti dei locali danneggiati, fu in grado di mantenere l’elevata velocità di tredici nodi, che le permise di continuare nella sua rotta e raggiungere poco dopo la testa del convoglio.

          Nel frattempo, un altro attacco era stato portato a compimento dal Mas 553 (tenente di vascello Carlo Paulizza) che si trovava in a qualche miglio più a levante da dove il Mas 564 aveva colpito il Rochester Castle. Avvistata una petroliera, alle 05.08 il comandante Paulizza, attaccando senza alcuna reazione, le lanciò contro i due siluri, da una distanza di soli 300 metri, e sostenne di averla colpita sul fianco destro, verso il centro, notando lo scoppio di un incendio e poi la nave esplodere e inabissarsi.  Nella nostra ricostruzione (vedi la cartina) non è stato possibile accertare quale nave il comandante Paulizza avesse attaccare, e se effettivamente egli l’avesse colpita. Forse si trattava di un piroscafo danneggiato con incendio a bordo, l’Almeria Lykes, come fu propenso a credere Supermarina, oppure il Santa Elisa, a uno dei quali il Mas 553 potrebbe avere inferto il colpo di grazia.         

          A conclusione delle azioni dei mezzi insidiosi, quando ormai stavano apparendo ad oriente le prime luci dell’alba, andarono all’attacco tre motosiluranti italiane. Tra di esse vi era la MS 31, che dopo aver silurato il piroscafo Glenorchy ed essere rimasta senza siluri, nonostante si fossero verificate avarie al timone, aveva seguito tenacemente il convoglio. Alle prime luci del giorno il tenente di vascello Calvani andò addirittura all’attacco di un piroscafo con le bombe di profondità, senza riuscirvi per la pronta reazione di un cacciatorpediniere, al quale sfuggì entrando in una zona minata. Minore combattività fu espressa dai comandanti delle motosiluranti MS 25 (tenente di vascello Franco Le Pera) e MS 23 (sottotenente di vascello Giacomo Patrone), perché nell’attaccare un piroscafo lanciarono con troppa prudenza i loro siluri, che furono facilmente evitati, ed avvistati poi altri due piroscafi sulla rotta del ritorno, sebbene avessero ancora un siluro disponibile, si limitarono a proseguire la navigazione raggiungendo Pantelleria. L’ammiraglio Riccardi, con un severo appunto, ne pretese lo sbarco.

 

 

 

La rinuncia all’impiego di due Divisioni Navali italiane nella zona di Pantelleria

 

          Come la luce del giorno cominciò ad apparire, vedendo che le navi del convoglio e della scorta ancora in vista dalla plancia del cacciatorpediniere Ashanti si trovavano divise in più gruppi, la prima misura che il contrammiraglio Burrough dovette prendere fu quella di riunire il grosso delle unità da guerra della Forza X intorno al nucleo principale dei piroscafi del convoglio W.S. 21/S, per prepararsi ad affrontare l’atteso attacco delle navi di superficie italiane. Gli rimanevano disponibili gli incrociatori Kenya, con velocità limitata per falla di siluro, e Charybdis, il primo armato con nove cannoni da 152 mm, il secondo con otto cannoni da 133 mm. Vi erano poi i cacciatorpediniere di squadra Ashanti, Icarus, Intrepid, Fury, Somali e Eskimo, armati con cannoni da 120 mm e otto lanciasiluri, e i  tre cacciatorpediniere di scorta Ledbury, Penn e Bramham, armati con modesti cannoni da 102 mm e privi di lanciasiluri. Rimanevano nel convoglio i piroscafi Rochester Castle, Waimarama, Melbourne Star, Port Chalmers, Dorset e la petroliera Ohio. Restavano indietro, immobilizzati e abbandonati dagli equipaggi, ma ancora a galla, i piroscafi Santa Elisa, Wairangi e Almeria Lykes, mentre il  danneggiato Brisbane Star, aveva proseguito la navigazione con rotta indipendente e dirigeva verso il Golfo di Ammamet, per attendervi con il sopraggiungere dell’oscurità l’occasione di proseguire per Malta. Quanto agli equipaggi erano stanchissimi, avendo sopportato senza dormire due giorni di combattimenti, impegnati anche a riparare i danni alle navi.

          In queste penose condizioni vi era in Burrough, e nei suoi ufficiali e comandanti, la consapevolezza che affrontare un combattimento navale con forse nettamente inferiori a quelle del nemico, che gli erano state segnalate in mare, avrebbe significato per la Pedestal di subire un disastro molto più punitivo di quello a cui era andato incontro il precedente mese di giugno il convoglio dell’operazione Harpoon. .                 

         A questo punto avrebbe dovuto verificarsi l’intervento dei sei incrociatori e degli undici cacciatorpediniere italiani, che la sera del 12 agosto, alle 19.00, si erano riuniti nel basso Tirreno, presso Ustica, provenienti da Cagliari, Messina, Napoli e Spezia. Ma il temuto attacco navale, che avrebbe certamente avuto effetti disastrosi per le navi britanniche, non si verificò in quanto le unità italiane della 3a e 7a Divisione Navale, che erano al comando dell’ammiraglio Angelo Parona, alla mezzanotte avevano avuto l’ordine di rientrare alle basi quando già si trovavano a ovest di Trapani.

         Era accaduto che per due avvistamenti pervenuti dai sommergibili Alagi e Bronzo, che segnalarono a nord delle coste della Tunisia unità navali dirette verso levante, a cui si aggiunse la notizia da parte di un ricognitore notturno Cant. Z. 506 della 146a Squadriglia della Ricognizione Marittima (maresciallo pilota Angelo Franco e sottotenente di vascello osservatore Oscar Ferrara), che alle 22.50 del 12 agosto aveva segnalò presso l’isola dei Cani tre grandi navi che stavano seguendo il convoglio (erano lo Charybdis, l’Eskimo e il Somali), a Supermarina vi fu il sospetto che vi fosse almeno di una corazzata, destinata a sostenere il transito delle altre navi nel Canale di Sicilia. All’idea di trovare l’indomani una nave da battaglia nelle acque di Pantelleria, si aggiunse il bluff realizzato dal vice maresciallo dell’aria Park, Comandante della R.A.F. di Malta, con due velivoli da ricognizione Wellington del 69° Squadron dotati di radar di scoperta navale ASV (Air To Surface Vessel), inviati a tenere sotto osservazione le divisioni navali italiane, Contraddistinti con lettere O (Orange) e Z (Zebra), essi simularono falsi attacchi con bombe, per poi scambiare con il loro Comando messaggi fittizi, intercettati dagli italiani, da cui si deduceva si sarebbe svolto un massiccio attacco notturno con aerosiluranti.

         Ve ne era abbastanza per il sempre timoroso ammiraglio Riccardi  per premere al Comando Supremo per la sospensione della missione; e poiché Cavallero era altrettanto preoccupato, al maresciallo non fu difficile, verso la mezzanotte, convincere per telefono un mortificato Mussolini ad autorizzare la ritirata delle navi. La decisione di aver deciso di sospendere l’azione fu motivata da Cavallero, presso il Duce, con il fatto che l’ammiraglio Riccardi la riteneva “troppo pericolosa per la Marina”, e che occorreva  non far correre alle navi “un rischio non pagato da un rendimento corrispondente”.[4] A Mussolini la ritirata delle navi dovette costare parecchio, e indubbiamente la autorizzò con molto rimpianto perché, come annotò nel suo diario il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, ciò significò far mancare nella battaglia “il cannone della Marina”.[5] In tal modo fu impedito di trasformare un brillante successo tattico dei sommergibili, delle unità insidiose e degli aerei dell’Asse in una vittoria strategica, forse decisiva per le sorti di Malta.

         Purtroppo, come se il fato avesse voluto punire la scarsa energia dimostrata in quell’occasione dai capi militari italiani, in particolare di quelli della Marina, la 3a Divisione Navale dell’ammiraglio Parona, trovandosi sulla rotta del rientro a Messina con gli incrociatori Gorizia, Trieste, Bolzano e Attendolo e otto cacciatorpediniere, passando per le isole Eolie, fu attaccata dal sommergibile britannico Unbroken (tenente di vascello A.C.G. Mars), che su ordine del Comando della 10^ Flottiglia di Malta si era spostato verso nord dalla zona di agguato al largo di Milazzo. L’Unbroken, ripetendo quanto l’Axum aveva fatto contro il convoglio dodici ore prima, alle 08.08 del 13 agosto silurò simultaneamente al largo di Lipari gli incrociatori Muzio Attendolo (capitano di vascello Mario Schiavuta), che ebbe asportata l’intera prora per ben 25 metri fino all’altezza della prima torre d’artiglieria, e Bolzano (capitano di vascello Mario Mezzadra) che, con un forte incendio estesosi dalle casse nafta al torrione, rimasto immobilizzato fu portato in secca sulla spiaggia di Lisca Bianca (Isola Panarea), rimorchiato dal cacciatorpediniere Geniere (capitano di fregata Marco Notarbartolo). L’Attendolo, scortato da quattro cacciatorpediniere, raggiunse Messina con i suoi mezzi; il Bolzano messo in condizioni di navigare dopo un mese di duro lavoro, che comportò di stendere intorno alla nave incagliata e devastata uno sbarramento di reti, il 16 settembre fu rimorchiato a Napoli.[6]

 

 

Gli attacchi dell’aviazione dell’Asse del 13 agosto a ponente di Malta

 

         Venuto a mancare l’intervento delle navi di superficie italiane, fu soprattutto l’attività della Luftwaffe che procurò al convoglio britannico nuovi danni. In base agli ordini diramati ai reparti da Apollo Ia, con le prime luci del giorno 13 agosto, ad iniziare dalle ore 04.00, decollarono dagli aeroporti della Sicilia diversi velivoli da ricognizione, e per svolgere  ricognizioni offensive partirono un isolato bombardiere Ju. 88 del KGr.806, seguito da sei aerosiluranti He. 111 della Squadriglia 6/KG.26 e della Squadriglia Scuola KSC.3, ripartiti in tre sezioni. Furono questi velivoli tedeschi ad eseguire i primi attacchi della giornata contro gli immobilizzati piroscafi Santa Elisa e Wairangi, il primo dei quali, raggiunto da una bomba sganciata dallo Ju. 88, con pilota il tenente Wolfgang Schulte, esplose letteralmente, danneggiando lo stesso velivolo attaccante. Successivamente due aerosiluranti He. 111 attaccarono il relitto del piroscafo britannico Wairangi, senza riuscire a colpire quell’immobile bersaglio, sebbene avessero lanciato quattro siluri. Le altre due sezioni di He. 111 non fecero avvistamenti, ma uno dei velivoli della KSC.3 non rientrò alla base, essendo stato attaccato e abbattuto da una sezione di quattro Spitfire del 185° Squadron, partita da Malta. Da quel momento i caccia della R.A.F., gli Spitfire e i Beaufighter a lungo raggio, iniziarono a scortare le navi del convoglio.

         Intanto, sorvolando il tratto di mare fra le isole di Pantelleria e Lampedusa gli Ju. 88 da ricognizione tedeschi del 122° Gruppo aveva scoperto e fotografato il convoglio W.S.21/S con il suo nucleo di scorta, e sulla base delle informazioni ricevute Apollo Ia fece decollare da Gerbini una formazione di dieci Ju. 88 del II./LG.1, ma di essi tre velivoli rientrarono alla base per guasti meccanici. Gli altri sette, raggiunti da una pattuglia di Bf. 109 del I./JG.77 decollati da Pantelleria, che abbatterono un Beaufighter del 148° Squadron, raggiunsero l’obiettivo alle 08.00, e lo attaccarono in picchiata colpendo con il comandante del Gruppo, maggiore Gerhard Kollewe, il piroscafo Waimarama.

Essendo carico di benzina sistemata in lattine sul ponte, il Waimarama prese fuoco comunicandolo da un capo all’altro della nave, ed il carico di munizioni che si trovava nelle stive esplose facendolo sbandare a sinistra il piroscafo, che poi letteralmente sparì dalla superficie del mare, sollevando al suo posto un’enorme colonna di fumo alta alcune centinaia di metri. I rottami incandescenti e l’enorme calore sprigionatosi nell’esplosione e dalla disintegrazione del Waimarama, investirono le navi mercantili che lo seguivano in colonna, il piroscafo Melbourne Star e la petroliera Ohio, sui quali scoppiarono degli incendi, peraltro subito domati. Su ordine dell’ammiraglio Burrough, il cacciatorpediniere di scorta Ledbury (capitano di corvetta Roger Hill) entrò nella zona delle acque in fiamme per recuperare i superstiti del Waimarama, salvandone ventisette, mentre morti del  piroscafo furono novantatre, compreso il comandante, capitano R.S. Pearce.

          L’affondamento del Waimarama, si era verificata dopo trentasei ore di allarmi e d’intensi attacchi dall’aria e dal mare e, in questo contesto, la speranza di sopravvivenza delle navi del convoglio W.S. 21/S era ormai in gran parte riposta sull’intervento protettivo dei  caccia di Malta, il cui arrivo non si fece attendere, con i Beaufigter e gli Spitfire a grande autonomia che assunsero la scorta, subito dopo che era terminato l’attacco aereo. Ma quest’utilissimo sistema di protezione, fu reso però difficoltoso dalla mancanza di una nave adibita alla direzione dei caccia, che permettesse di intercettare le formazioni nemiche a distanza dal convoglio, in quanto a questo compito avrebbero dovuto provvedere i due incrociatori silurati dal sommergibile Axum, il Nigeria e il Cairo. Pertanto, il cacciatorpediniere Ashanti dopo aver tentato di trasmettere ai caccia in volo con onde ultracorte dovette rinunciarvi.

          Ciò nonostante si susseguirono in cielo continui combattimenti con gli aerei dell’Asse, che essendo rimasti, dopo la ritirata delle navi italiane, i soli mezzi di offesa nel tratto di mare tra Pantelleria e Malta, tentarono di impedire alle superstiti navi mercantili britanniche di raggiungere il porto della Valletta. Un compito particolarmente difficile, nel corso del quale né fecero le spese soprattutto i velivoli da ricognizione che volavano senza scorta, ed anche quelli delle formazioni offensive che andavano all’attacco protette dai caccia. Questi però si confermarono di numero insufficiente, dovendo affrontare le ben più numerose aliquote di Spitfire, che erano ben fronteggiati dai caccia tedeschi, mentre invece notevoli difficoltà incontravano i caccia italiani essendo di caratteristiche più modeste.

          Da parte dell’Aeronautica della Sicilia i decollo delle formazioni offensive ebbero inizio, alle 07.50, con la partenza da Castelvetrano di nove bombardieri in picchiata Ju. 87 del 102° Gruppo Tuffatori (capitano Cumbat) che sulla verticale di Pantelleria furono raggiunti da undici Mc. 202 del 20° Gruppo del 51° Stormo Caccia (maggiore Callieri). Alle 09.25, a 80 miglia a sud di Pantelleria, gli Ju. 87 iniziarono l’attacco contro le navi del convoglio britannico, mentre gli Mc. 202 della scorta,  guidati dal tenente colonnello Remondino, si impegnarono subito per proteggerli dagli Spitfire, che scortavano il convoglio, dai piloti italiani ritenuti fossero una dozzina. L’azione in picchiata degli Ju. 87, che nell’attaccare scesero nel senso della marcia delle navi da una quota di 3.500 metri, per poi sganciare tre bombe da mille chili e cinque da cinquecento chili, da un’altezza di circa 500 metri, fu diretta contro l’incrociatore Kenya, che conduceva la colonna del convoglio, e contro la cisterna Ohio che era la penultima nave della fila. Ma l’azione, assai contrastata anche dal fuoco contraereo delle navi britanniche, che abbatterono per errore anche uno Spitfire del 126° Squadron, si risolse per gli italiani senza aver messo a segno colpi diretti, ne aver abbattuto alcun aereo nemico, e con la perdita di due bombardieri della 239a Squadriglia.

          Uno di essi raggiunto e colpito dallo Spitfire del maggiore Tony Lovell, comandante della 1435a Flight (Squadriglia), dovette ammarare; l’altro entrato nel fuoco incrociato della Ohio e dell’Ashanti, subito dopo aver sganciato la sua bomba fu colpito da proiettili di mitragliera da 20 mm Oerlikon sparate dalle due navi, e precipitando cadde sul fianco destro della petroliera, finendo d’avanti al ponte di comando facendovi scoppiare un incendio, che fu prontamente domato, e rendendo inutilizzabile l’unico cannone della nave. Inoltre, la Ohio fu mancata di poco da un’altra bomba, probabilmente da 1.000 chili, che esplodendo vicinissima alla prora deformò alcune lamiere a poppa dello scafo della petroliera, generando nelle cisterne infiltrazioni d’acqua.

          Al termine dell’attacco i piroscafi Dorset e Port Chalmers, riuscirono ricongiungersi al gruppo di testa del convoglio, permettendo al contrammiraglio Burrough di riorganizzarlo con le navi mercantili disposte su due colonne parallele, e serrando la distanza tra i cinque mercantili e le unità di scorta per assicurare una protezione contraerea più raccolta. Fu in questa formazione che a iniziare dalle 10.50 quindici bombardieri Ju. 88 e sedici Ju. 87 scortati da otto Bf. 109 e da altrettanti Bf. 110, attaccarono di nuovo il convoglio da varie quote e direzioni.

          La Ohio, che con la sua mole costituiva il bersaglio più rappresentativo, fu inquadrata dagli Ju. 88 con quattro o cinque bombe che, pur mancando la nave,  arrestarono completamente le macchine della petroliera che dovette di nuovo fermarsi. Il Rochester Castle fu violentemente scosso da tre bombe cadute vicino alla prua, si ebbe uno spostamento delle macchine, e per evitare il propagarsi di un’incendiò, che danneggiò il locale del timone, il comandante Richard Wren fu costretto ad appesantire il piroscafo allagando un deposito. Il Dorset (capitano J.C. Tuckett), che seguiva il Rochester Castle, attaccato dai quiattordici Ju. 87 del I./St.3, sempre guidati dal capitano capitano Mossdorf, venne colpito a poppa da una bomba, e il piroscafo con un grosso incendio scoppiato nella stiva 4, che conteneva munizioni, e con la sala macchine e altri compartimenti allagati, si arrestò e venne abbandonato dall’equipaggio.

         Ancora una volta violenti e rapidi combattimenti si svolsero in cielo fra le opposte unità da caccia, con gli Spitfire, spalleggiati dai cannoni delle navi, che riuscirono a distruggere due Ju. 87, perdendo un velivolo del 126° Squadron, abbattuto da un Bf. 109 del II./JG.53.

Da parte italiana, dieci aerosiluranti italiani del 105° e 108° Gruppo, che erano arrivati all’alba a Chinisia dalla Sardegna, furono contemporaneamente tenuti pronti ad attaccare la nave che i velivoli tedeschi Ju. 88 erroneamente ritenero una portaerei danneggiata nelle acque meridionali di Pantelleria, con rotta verso Malta, fino a quando un ricognitore italiano ne escluse la presenza, trattandosi della petroliera Ohio. L’inesattezza delle informazioni contribuì pertanto ad intralciare le operazioni offensive dell’Aeronautica della Sicilia, che tenne fermi i due terzi degli aerosiluranti, e disponibili per operare contro le numerose unità nemiche in avaria, segnalati nelle acque fra Pantelleria e Linosa, e che spesso si riferivano allo stesso nucleo navale.

         Alle 14.30 sei aerosiluranti S. 79 del 105° Gruppo decollarono in tre sezioni, due delle quali essendosi spinte nel Golfo di Ammamet,  attaccarono senza successo il piroscafo Brisbane Star e il cacciatorpediniere Ledbury, ma quest’ultimo facendo fuoco con tutte le armi di bordo riuscì ad abbattere i due velivoli che gli erano andati contro. Si salvarono soltanto gli uomini dell’equipaggio del capo sezione, capitano Giulio Ricciarini.

         Inoltre, nel corso della giornata, soprattutto nel pomeriggio, si verificarono alcuni contrattempi causati da erronei avvistamenti nella zona a nord di Biserta per la segnalazione di un ricognitore Cant Z. 1007 bis del 51° Gruppo (tenente pilota Gianmaria Mezzalira), che pure aveva a bordo un qualificato ufficiale osservatore di marina, di una portaerei tipo “Illustrious” in fiamme colpita al centro da due siluri, per poi ritrasmettere più tardi trattarsi dell’Isola Piana. Nel frattempo però era scattato l’allarme e numerose formazioni decollate dalla Sardegna e dalla Sicilia avevano preso il volo, per poi essere richiamate.

         Da parte del II Fliegerkorps, per altro errore di un ricognitore tedesco che segnalò sempre a nord di Biserta un’altra inesistente portaerei, furono inviati nella zona, in due formazioni, sedici Ju 88 del I./LG.1, che nel volo di trasferimento da Gerbini persero un velivolo per attacco degli Spitfire del 126° Squadron. Raggiunta la zona a nord della Tunisia, uno Ju. 88 attaccò il cacciatorpediniere Somali (che assieme al Eskimo aveva avuto ordine di rientrare a Gibilterra carico di naufraghi dell’incrociatore Manchester), il quale per una bomba caduta vicino allo scafo ebbe una perdita di vapore da costringerlo a fermare le macchine per cinque minuti. Per un nuovo errore, alcuni Ju 88 del I./LG.1 attaccarono in picchiata due sommergibili italiani, l’Alagi, che fu subito riconosciuto dopo il primo sgancio di bombe cadute distanti dal sommergibile, e il Dessie, il quale con alcuni danni per colpi vicini che ferirono il comandante Scandola e gli altri uomini in torretta, fu costretto a rientrare alla base. Dobbiamo dire che le segnalazioni delle inesistenti portaerei danneggiate avevano costretto Maricosom a spostare in superficie i suoi sommergibili che naturalmente non trovarono gli obiettivi da attaccare.

Soltanto l’U 73 del comandante Rosembaum, che si trovava piò ad ovest, effettuo un nuovo attacco, dopo quelle che aveva portato all’affondamento della portaerei Eagle, prendendo di mira alle 16.44 uno dei quattro cacciatorpediniere di scorta al danneggiato incrociatore Nigeria, ma stavolta senza successo. Lo stesso gruppo Nigeria era stato attaccato alle 15.20 oltre Bougie da quattro aerosiluranti S. 79 della Sardegna, al comando del maggiore Cannaviello, ma l’incrociatore schivò i siluri mettendosi parallelo alle loro scie.

         Nel frattempo, verso le ore 11.00 il convoglio WS.21/S, ridotto per le perdite subite ai piroscafi Port Chalmers, Melbourne Star e Rochester Castle, entrò nel raggio d’azione degli Spitfire a corta autonomia di Malta, distante ormai solo 80 miglia, uno dei quali, del 249° Squadron fu abbattuto per errore dalle navi. Da quel momento la navigazione del convoglio proseguì con maggiore sicurezza, sotto l’ombrello dei caccia della R.A.F.. Di questa realtà si rese conto il Comando del II Fliegerkorps che richiamata alla base una formazione di diciotto Ju. 88, decise di continuare gli attacchi esclusivamente contro le navi del convoglio danneggiate, e rimaste arretrate, tra Linosa e Malta. Ne conseguì che i tre piroscafi del convoglio, dopo essere stati consegnati dalla Forza X, che stava invertendo la rotta, ai dragamine e alle motosiluranti di Malta, alle 18.18 poterono raggiungere la Valletta senza altri contrattempi, accolti trionfalmente dagli uomini della guarnigione e dalla popolazione, mentre una banda militare suonava l’inno Rule Britannia. Subito dopo, con l’operazione Ceres, fu dato inizio, con l’impiego anche di tremila soldati, allo sbarco del carico, che poi con automezzi, lavorando per diversi giorni, fu portato al sicuro dalle banchine in depositi protetti e decentrati.

             Nel frattempo i velivoli tedeschi disponibili furono diretti contro le navi britanniche rimaste attardate a ponente di Malta, impegnandovi nelle tarde ore pomeridiane del 13 agosto sette aerosiluranti, quattordici tuffatori, guidati da uno Ju. 88, sedici bombardieri Ju. 88, e ventitre caccia.  Ma a causa della sopraggiunta oscurità, e delle condizioni atmosferiche sfavorevoli, soltanto la formazione degli Ju. 87 e una parte degli Ju. 88 riuscirono ad individuare le navi ricercate, la petroliera Ohio e il piroscafo Dorset, trovandole però protette dagli Spitfire. Questi ultimi nel tentativo di aggredire i bombardieri tedeschi furono prontamente impegnati dai Bf. 109 della scorta, i quali permisero agli Ju. 88 di attaccare le due navi mercantili, dirigendo sulla Ohio, rimorchiata dal cacciatorpediniere Penn, che era aiutato dal dragamine Rye e dalle motolancie ML 121 e ML 168, sopraggiunti da Malta. La petroliera fu nuovamente colpita da una bomba all’estremità del ponte, presso il fumaiolo, ed esplosa nella sottostante sala macchine, generando un incendio che costrinse l’equipaggio ad abbandonarla per la seconda volta, mentre si trovava con il timone inutilizzato e ai limiti della galleggiabilità. Altre bombe sganciate dagli Ju. 88 caddero vicino alle navi di scorta, e la ML 168, avendo riportato danni a un motore che funzionava irregolarmente, fu rimandata a Malta.

             Poi, alle ore 20.00 sopraggiunse la formazione dei quattordici Ju. 87 del I./St.G.3, guidata da uno Ju. 88D del 122° Gruppo Ricognizione Strategica e scortata da venti Bf. 109 dell’JG.53. Gli Stuka si tuffarono sul Dorset, e lo colpirono in rapida successione con tre grosse bombe, incendiandolo. Il piroscafo affondò rapidamente, mentre il cacciatorpediniere Bramham, che aveva preso a bordo l’equipaggio del Dorset, si diresse verso la Ohio, per rafforzarne la scorta. In tal modo, avendo vicino due cacciatorpediniere, un dragamine e una motolancia, e contando sulla tranquillità derivante dalla sopraggiunta oscurità, la petroliera, che per le molte falle apertesi nello scafo aveva imbarcato tanta acqua di mare da pesare circa 30.000 tonnellate, poté continuare la sua lenta navigazione a rimorchio, fino a raggiungere una velocità di quattro nodi.

 

 

 

Il rientro della Forza X a Gibilterra

 

         Nel corso della mattinata del 14 agosto il massimo sforzo della Luftwaffe e della Regia aeronautica venne rivolto contro le unità della Forza X, ridotta ai due incrociatori  Kenya e Charybdis e i cinque cacciatorpediniere Ashanti, Pathfinder, Icarus, Intrepid e Fury. Queste sette navi dopo aver accompagnato i resti del convoglio W.S 21/S presso Malta, lasciati i cacciatorpediniere Penn, Ledbury e Bramham in soccorso delle navi danneggiate, avevano invertito la rotta alle 16.00 del 13 agosto per rientrare a Gibilterra, sfuggendo agli attacchi portatigli nella notte da due dei Mas italiani che il comandante di Marina Messina, ammiraglio Pietro Barone, aveva inviato in agguato nella zona di Capo Bon. Il primo ad attaccare la Forza X, che nell’attraversare le acque ristrette del Canale di Sicilia procedeva con le navi in linea di fila, era stato il Mas 556 (tenente di vascello Luigi Sala), che accolto calorosamente lanciò i suoi due siluri contro il Kenya, mentre il Mas 553 (tenente di vascello Carlo Polizza) attaccò un cacciatorpediniere, anch’esso manovrando sotto forte reazione d’artiglieria e di armi leggere. In entrambe le occasioni i siluri furono evitati, a dimostrazione della difficoltà per le unità insidiose di colpire navi fortemente manovriere, non vincolate a scortare un convoglio frazionato, come’era avvenuto la notte precedente, dopo gli attacchi dei sommergibili italiani e degli aerei tedeschi.

         Dirigendo verso la zona a nord di Algeri, dove erano attesi da una parte della Forza Z comprendente la corazzata Nelson e la portaerei Victorious non impegnate nella scorta alle unità gravemente danneggiate che stavano dirigendo verso Gibilterra, la portaerei Indomitable (scortata dalla corazzata Rodney la cui velocità era limitata per un guasto ai tubi delle caldaie) e l’incrociatore Nigeria, la Forza X fu attaccata, alle 04.51, nei pressi dello Scoglio Fratelli (nord di Biserta), dal sommergibile italiano Granito. Il comandante del sommergibile, tenente di vascello Leo Sposito, stando in superficie sottocosta lanciò sei siluri, dapprima con i quattro tubi di prora per poi passare ai due di poppa. Un siluro sfiorò la prora del cacciatorpediniere Ashanti, mentre il Kenya, mancato da altri due siluri, tentò uno speronamento del Granito, che lo evitò con la rapida immersione.

         Con le prime luci del giorno i cinque cacciatorpediniere britannici presero posizione a prua dei due incrociatori, e la velocità della Forza X fu aumentata fino a raggiungere i ventisei nodi, che era la massima che poteva sviluppare il danneggiato Kenya. Poi, alle 07.17, un velivolo da ricognizione Ju. 88 della 2.(F)/122 arrivò sulla formazione navale, che si trovava a sud-sudest dell’Isola Galite, e la segnalò costituita da una corazzata, due incrociatori e quattro cacciatorpediniere.

          Fin dalla sera del 13 agosto, supponendo che le superstiti navi del convoglio W.S. 21/S si trovassero già al sicuro entro il porto della Valletta, il feldmaresciallo Kesselring aveva dato istruzioni al Comando del II Fliegerkorps per pianificare le operazioni da svolgersi nella giornata dell’indomani. Il Comandante della 2a Flotta Aerea non ignorava che alcune navi, gravemente danneggiate, si trovavano ancora in mare ad occidente di Malta; ma, non disponendo di mezzi sufficienti, sotto forma di caccia di scorta, per affrontare con successo le forze aeree difensive del nemico provenienti dagli aeroporti dell’isola, ritenne più conveniente occuparsi delle formazioni navali britanniche in rotta di rientro a Gibilterra, che nella notte erano tenute sotto osservazione da un velivolo He. 111, munito di radiolocalizzatore. Nello stesso tempo avvertì Supermarina di fare attenzione con i suoi sommergibili, mantenendoli in immersione, per evitare di essere scambiati per nemici, com’era accaduto il pomeriggio del 13 per l’Alagi e il Dessie. Ciò, indubbiamente, tolse ai sommergibili la possibilità di realizzare altri attacchi in condizioni favorevoli.

          Con inizio alle 05.42 del 14 agosto, decollarono tre Ju. 88 delle squadriglie 1. e 2.(F)/122 per svolgere, a partire dalle prime luci dell’alba, missioni di ricognizione a largo raggio nel Mediterraneo occidentale. Vennero poi inviati in volo per attaccare la Forza X trentacinque bombardieri Ju. 88, ripartiti in cinque formazioni, seguiti da tredici tuffatori Ju. 87 guidati da uno Ju. 88, due caccia Bf. 100 per caccia libera, e altri due Ju. 88 per il mantenimento del contatto. Di questa massa di velivoli, sei Ju. 88 dovettero interrompere la missione per noie meccaniche. Il sopraggiungere degli aerei tedeschi contro le navi del contrammiraglio Burrough, per le quali ancora una volta si preannunziò una movimentata e dura giornata di lotta, ebbe inizio alle 09.12 con gli attacchi che si prolungarono, quasi ininterrottamente, fino alle 13.15, per poi essere proseguiti nelle restanti ore pomeridiane dai velivoli italiani della Sardegna. Tutto ciò porto le navi del contrammiraglio Burrough a sostenere una nuova e movimentata giornata di combattimenti, difendendosi con le sole artiglierie dal momento che, per la distanza da Malta e dalla portaerei Victorious, non vi erano caccia di scorta. 

             Nell’attacco in picchiata degli Ju. 88, con angoli di 60°, come sempre accolto da una forte reazione contraerea, con consumo enorme di munizionamento che a un certo punto fu fonte di preoccupazione sulle navi britanniche, il Kenya fu sfiorato da una bomba sganciata da un velivolo del II./KG.77, esplosa a sinistra dello scafo. L’incrociatore riportò alcuni danni, in particolare all’asdic, ed un piccolo incendio si sviluppatosi nella sala macchine di prora con conseguente riduzione della velocità da quindici nodi, poi aumentata a ventitré nodi mettendolo in grado di proseguire la navigazione in formazione verso ponente. Da parte tedesca fu abbattuto uno Ju. 88 del II./KG.77. 

             L’ultima incursione del II Fliegerkorpos si verifico alle 10.48, con il sopraggiungere di tredici tuffatori Ju. 87 del I./St.G. 1 (capitano Martin Mossdorf), i quali vennero guidati sull’obiettivo da uno Ju. 88 del 122° Gruppo Ricognizione Strategica. Al pari degli aerei che avevano attaccato in precedenza, anche i nuovi venuti furono inquadrati dalla violenta e precisa reazione contraerea che non permise di conseguire successi, colpendo tre Ju. 87, uno dei quali precipitò in mare.

          A questo punto, terminate le azioni offensive tedesche, ebbero inizio quelle degli aerei italiani. Il seguito alla comunicazione di un ricognitore Cant. Z. 1007 bis del 51° Gruppo, che segnalò la Forza X nella sua giusta composizione a ovest dell’Isola Galite, alle 11.15 decollarono da Villacidro quindici bombardieri S. 84 del 32° Stormo, che vennero seguiti, con partenza da Elmas, da otto S. 79, con equipaggi misti dei gruppi aerosiluranti 108°, 109° (36° Stormo) e 130°. Nel frattempo dalle piste di volo degli aeroporti siciliani di Pantelleria e Castelvetrano presero il volo altre due formazioni di aerosiluranti, la prima costituita da otto S. 79 del 132° Gruppo e la seconda da quattro S. 79 del 105° Gruppo.

             Tutte queste formazioni raggiunsero l’obiettivo, con i bombardieri che sganciarono il loro carico di esplosivo da alta quota, e gli aerosiluranti che attaccavano le navi sui fianchi. Ma a dispetto del gran numero di velivoli impiegati, che erano guidati da piloti veterani, né l’uni né altri riuscirono a mettere colpi a segno, e undici aerei, sette bombardieri, tre aerosiluranti e un ricognitore, rientrarono danneggiati. Durante le azioni, la reazione contraerea continuò a essere violenta e le rapide manovre delle unità della Forza X evitarono di costituire un bersaglio fisso.  Ciò permise alla formazione di raggiungere, navigando a ventisei nodi, la Forza Z dell’ammiraglio Syfret nella zona prevista a sud delle isole Baleari, per poi raggiungere Gibilterra, a conclusione dell’operazione Pedestal ventiquattrore più tardi, alle 18.00 di sabato 15 agosto.

 

 

 

L’epopea della OHIO

 

         Con le formazioni offensive del II Fliegerkorps impegnate nell’attacco alla Forza X lungo le coste settentrionali della Tunisia, il mattino del 14 agosto soltanto l’Aeronautica della Sicilia fu in grado di disporre, sebbene in forma molto limitata, dei mezzi necessari per poter attaccare il gruppo navale della Ohio, mandando in volo una formazione di cinque bombardieri Ju. 87 del 102° Gruppo scortata da ventuno caccia Mc. 202 del 20° Gruppo. Arrivando alle 10.45 sull’obiettivo gli Ju. 87, trovarono a attenderli gli Spitfire dello Squadron 229° e della 1435° Fligth (squadriglia). Gli Ju. 87, entrando nel fuoco di sbarramento delle navi attaccarono in picchiata la Ohio, e l’ultimo velivolo riuscì a piazzare sulla scia della petroliera la sua bomba da cinquecento chili che, esplodendo violentemente, spinse in avanti la nave, mettendone le eliche e il timone completamente fuori uso. Nella fase di disimpegno dopo il tuffo lo Ju. 87 del capitano Cumbat, che ancora una volta guidò l’attacco, fu abbattuto da due Spitfire della 1435a Fligh e fu costretto ad ammarare.  Nel duello dei caccia fu anche abbattuto da uno Spitfire del 229° Squadron un Mc. 202, ma il pilota, capitano Egeo Pittoni, si salvò lanciandosi con il paracadute.

         I piloti italiani del 20° Gruppo, che erano guidati dal maggiore Callieri, rientrarono alla base convinti di aver abbattuto due velivoli dell’inesistente tipo “Curtis” (P. 40), mentre in realtà, ancora una volta e a dispetto dei loro caccia competitivi, non conseguirono alcun successo sugli intercettori britannici. 

Ritornando alla Ohio, l’esplosione della bomba esplosa vicino alla poppa poteva risultare mortale per la nave. Attraverso la grossa falla apertasi nello scafo, l’acqua stava entrando copiosamente, aumentando nelle cisterne gli allagamenti causati dall’esplosione del siluro del sommergibile Axum. In seguito a questi nuovi gravissimi danni la Ohio, già pericolosamente bassa sull’acqua, aumento la sua immersione, il suo ponte piatto comincio a piegarsi, e il suo comandante, capitano Mason, temette che la petroliera fosse sul punti di dividersi in due tronconi, da un momento all’altro. In quel momento la Ohio, rimasta nuovamente immobilizzata, perché l’attacco dei velivoli italiani aveva portato al collasso l’intero sistema di rimorchio e nuovamente causato la rottura dei cavi, si trovava ancora distante 50 miglia dal porto della Valletta.

         Subito dopo la conclusione dell’attacco aereo italiano, le unità di scorta alla Ohio ripresero la loro tenace attività di rimorchio, cambiando però il sistema di traino. I cacciatorpediniere Bramham e Penn si affiancarono cautamente allo Ohio per sostenerla su entrambi i fianchi, mentre il Ledbury, una volta che squadre di volontari salirono a bordo della petroliera muniti di pompe per cercare di diminuirne gli allagamenti, si dispose di poppa alla nave danneggiata per fare da timore. Infine, dopo che erano state completate queste sistemazioni, alle 11.20 il dragamine Rye ricominciò a tirare la Ohio di prora, mentre lo Speedy e le motolancie si disposero intorno a quell’insolito e straordinario complesso navale, in modo da formare intorno ad esso un cerchio difensivo.

          Tirare quell’appesantita ed enorme petroliera, che a ogni minima deviazione di rotta minacciava di andare ad urtare contro i cacciatorpediniere che la sostenevano, non era compito facile; tuttavia, mentre la Ohio, nonostante gli sforzi per ridurre le infiltrazioni d’acqua in aumento, continuava ad abbassarsi, tanto che un uomo poteva sporgersi da un lato e toccare con la mano la superficie del mare, in breve fu raggiunta una velocità soddisfacente di quattro nodi. Nel cielo volteggiavano un gran numero di aerei da caccia e per il servizio antisom, in un’opera di vigilanza che continuò per tutta la giornata in una crescente tensione, e nel pomeriggio, alle 18.30, apparvero finalmente in vista agli uomini delle navi le piatte coste meridionali di Malta, che rafforzarono in tutti i presenti la speranza di portare in porto la Ohio, che si preparò ad affrontare una lunga navigazione notturna.

         Nel frattempo i velivoli italiani avevano realizzato un nuovo attacco contro il piroscafo Brisbane Star, che la sera del 13 agosto, dalle acque di Sfax, aveva ripreso la rotta per Malta con il favore dell’oscurità. Nel corso della sua navigazione verso l’isola, il Brisbane Star fu protetto, a partire dall’alba del 14 e fino all’imbrunire, da otto Spitfire e da sei Beaufighter del 235° Squadron uno dei quali, pilotato dal tenente H. Wood, dopo aver attaccato e danneggiato uno Ju. 88 da ricognizione tedesco della 2.(F)/122, abbatté un ricognitore italiano S. 79 del 30° Gruppo del 10° Stormo Bombardieri. Era il quarto aereo da ricognizione dell’Aeronautica della Sicilia ad andare perduto nel pomeriggio di quel 13 agosto. Colpito ad ovest di Capo Bon dal fuoco contraereo dei cacciatorpediniere Eskimo e Somali, un Cant. Z. 1007 bis del 33° Gruppo (9 Stormo) si incendio distruggendosi nell’atterrare a Pantelleria.  Fu poi la volta di due S. 79 del 32° Gruppo (10° Stormo), abbattuti entrambi dagli Spitfire della 1435a Flight.

         Quanto ai tedeschi, essi persero uno Ju. 88 della 2.(F)/122, abbattuto da uno Spitfire del 249° Squadron.

         Alle 14.45, una pattuglia di tre Cant. Z. 1007 bis del del 29° Gruppo del 9° Stormo Bombardieri, partita da Chinina al comando del tenente colonnello Cesare De Porto per rintracciare il gruppo navale della Ohio segnalato dai ricognitori a 20 miglia ad est di Linosa, avvistò il Brisbane Star. I velivoli italiani, senza essere disturbati dalla scorta aerea, si avvicinarono al piroscafo e lo attaccarono con decisione, sganciando complessivamente dodici bombe antinave da 160 chili da una quota di 4.500 metri, senza però riuscire a colpirlo.

         L’attacco al Brisbane Star rappresentò l’ultima azione offensiva diurna dell’Aeronautica della Sicilia. I reparti da bombardamento, che nelle notti dei giorni 11, 12 e 13 agosto erano stati impegnati nelle incursioni  contro gli aeroporti di Malta, e nelle ore diurne nelle stressanti e logoranti missioni di ricognizione, possedevano ormai un’efficienza limitata, anche a causa delle dolorose perdite subite dal 102° Gruppo (cinque velivoli non rientrati e alcuni danneggiati in tre giorni), e dal fatto che i pochi aerosiluranti della Sicilia ancora efficienti, dopo aver attaccato, al limite dell’autonomia, le navi della Forza X, erano stati costretti a fare scalo sugli aeroporti della Sardegna, dove ancora si trovavano.

         Tentarono ancora i tedeschi di raggiungere la Ohio con un’azione combinata di quattro aerosiluranti He 111 della 6./KG. 26 e cinque bombardieri Ju 88 del KG. 77, decollati nel pomeriggio scortati da otto Bf. 109 e diciannove Re. 2001, questi ultimi richiesti dal II Fliegerkorps al Comando dell’Aeronautica Sicilia, per rinforzare la caccia tedesca, particolarmente logorata nell’intenso impiego di quei giorni. Ma al limite di autonomia i velivoli della scorta dovettero in gran parte rientrare. Soltanto quattro Bf. 109 dell’JG.53 e tre Re. 2001 del 2° Gruppo Caccia restarono con gli aerosiluranti,  che non riuscirono a rintracciare l’obiettivo, e nella rotta di rientro, trovandosi 20 miglia a nord-est di Linosa, in un combattimento con due Spitfire del 126° Squadron (tenente W.J. Johnson e sergente N. Marshall), i tre caccia italiani furono abbattuti uno dopo l’altro.    Decedette il comandante del reparto maggiore Luigi Scarpetta, a cui fu concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare, e si salvò soltanto, lanciandosi con il paracadute, il tenente Giorgio Pocek. Per la caccia italiana la battaglia di mezzo agosto, a dispetto delle ottimistiche moltissime dichiarazioni di vittoria dei piloti con i loro aerei competitivi, fu all’atto pratico una vera delusione.

         Anche per i bombardieri non andò meglio, poiché durante la notte, nel tentativo di colpire alla Valletta i piroscafi che stavano scaricando, due velivoli da bombardamento, un S. 84° del 25° Gruppo del 7° Stormo, e un Br. 20 dell’88° Gruppo Autonomo, furono abbattuti da due caccia notturni Beaufighter dell’89° Squadron. Si salvò soltanto il tenente colonnello Ivo Ravazzoni, comandante del 7° Stormo, fatto prigioniero.  

          Al termine di una tormentata navigazione, che ebbe momenti di tensione drammatica perché la mal governabile Ohio minaccio di finire sugli sbarramenti minati difensivi, la petroliera sempre trainata e sorretta sui fianchi dai cacciatorpediniere Penn, Bramham e Ledbury , si presentò al mattino del 15 agosto davanti alla Valletta, per poi entrare nel Grand Harbour tra un tripudio di militari e civili. Non appena ebbe scaricato il carico la Ohio si spezzò in due tronconi che restarono nel fondale fino al 1946, quando furono affondati a cannonate al largo di Malta.

 

 

 

 

Conclusioni

 

         Quella che in Italia è passata alla Storia come la “Battaglia di Mezzo Agosto”, ed è conosciuta all’estero soprattutto come Operazione Pedestal, rappresentò una vittoria tattica delle forze aeronavali dell’Asse, che fu resa possibile, sotto l’aspetto strettamente militare, dall’ampiezza e dalla ripartizione delle forze impiegate e dall’acume tattico con cui esse furono distribuite nel piano d’impiego. Purtroppo, per le forze dell’Asse, il successi tattico non raggiunse il meritato trionfo a causa dell’inopportuno ritiro degli incrociatori delle due divisioni navali italiane che, nell’invertire la rotta per rientrare alle basi, concessero ai britannici la possibilità e la soddisfazione di silurare gli incrociatori Bolzano e Attendolo, che rimasero per sempre inutilizzabili.

         Poiché questa ritirata fu praticamente mantenuta sotto censura, e citata soltanto nei documenti e nelle discussioni degli ambienti militari, da parte italiana e tedesca, bollettini di guerra, stampa, radio, rapporti, ordini del giorno, non ebbero alcun dubbio nel vantare una meritata grande vittoria. Era apparso subito chiaro che nel confronto delle perdite e dei danni il prezzo pagato dalle forze dell’Asse per conseguire il successo risultava molto inferiore a quello del nemico.

Nella “Appendice alla relazione finale sulla distruzione del convoglio inglese nel Mediterraneo occidentale”, compilata il 17 agosto 1942 dal Reparto Informazioni  dell’O.B.S., e trasmessa a Superaereo con protocollo n. 1360/42 segretissimo, il sempre ottimista feldmaresciallo Kesselring arrivava alle seguenti considerazioni: [7]

 

         In conclusione si può osservare che il piano di approvvigionamento in grande stile di Malta è essenzialmente fallito. Il nemico avrà riconosciuto che, pur concentrando grandi aliquote di mezzi navali, il forzamento del Canale di Sicilia può essere operato solamente a prezzo di gravissime perdite. Il successo finale è dovuto non solo all’esemplare collaborazione tra le diverse Armi italiane e tedesche, ma anche ed in particolare modo allo spirito di sacrificio di ogni singolo uomo a bordo dei velivoli e delle navi da guerra.

 

             In realtà l’operazione Pedestal, pur pagata a caro prezzo, fu invece un indubbio successo strategico britannico, poiché l’arrivo a Malta di 32.000 tonnellate di rifornimenti vari e di 17.000 tonnellate di combustibili, permise all’isola di incrementare le scorte fino all’inverso del 1942; e soprattutto Malta poté disporre della benzina necessaria per riprendere le micidiali azioni aeree offensive contro il traffico dell’Asse diretto in Libia, proprio nel momento in cui si decideva la battaglia di El Alamein, ad iniziare dal 17 agosto quando gli aerosiluranti Beaufort dell’86° Squadron di Malta affondarono a sud di Pantelleria il piroscafo italiano Rosolino Pilo (8.326 tsl) in rotta per Tripoli.

          L’aver permesso a circa un terzo del convoglio WS. 21/S di raggiungere Malta, mancando un’occasione irrepetibile, fu dai tedeschi addebitato, e non poteva essere altrimenti, alla tattica rinunciataria della Marina italiana, pagata a caro prezzo con il siluramento del Bolzano e dell’Attendolo, e con la loro eliminazione dalla scena di guerra. Ma i più contenti del non intervento delle navi italiane furono i britannici. E’ sintomatico il fatto che, in un’intervista rilasciata nell’agosto 1969 allo storico Peter Smith, il contrammiraglio Burrough avesse dichiarato di essere “sempre grato a Mussolini per averlo commesso”; e aggiunse: “Non ho il minimo dubbio che se quella mattina fossero arrivati gli incrociatori italiani vi sarebbe stato un massacro: saremmo stati annientati”.[8]

         La decisione di ritirare le navi italiane nei porti senza combattere, fu giustificata da Supermarina in una sua relazione come segue:[9]

 

         “Il gruppo [navale] veniva avvistato da ricognitori nemici durante la fase di riunione e, più tardi, mentre dirigeva verso le isole Egadi. Si ritenne di conseguenza che il nemico avrebbe potuto anche appoggiare il convoglio, durante il suo trasferimento per il Canale di Sicilia, con forze corazzate.

         … Le forze aeree italiane e tedesche, fortemente impegnate nelle azioni offensive della giornata, comunicavano di non poter assumere la richiesta scorta aerea alla 3a e  7a Divisione nel canale di Sicilia il giorno 13 mentre, data la rilevante entità delle forze aeree nemiche accertate a Malta (180 apparecchi efficienti), sarebbe stato certamente rischioso operare con nostre forze in quelle acque nel giorno anzidetto senza tale scorta.

          Fu perciò deciso di rinunciare all’intervento delle divisioni incrociatori a sud di Pantelleria, intervento che il nemico avrebbe insidiato in modo particolare anche durante la notte, essendo mancata la sorpresa ”.[10]

 

         In questa importante relazione, che in parte Supermarina trascrisse anche nel suo Diario Storico, non si fa nessun accenno alle discussioni sulla protezione aerea al Comando Supremo, e dell’accordo stabilito nella serata del 12 agosto con l’ammiraglio Riccardi dal generale Fougier, che concedeva alla protezione delle divisioni navali quarantacinque aerei da caccia, in modo da disporre sul cielo delle navi, durante tutta la giornata del 13, su pattuglie di sei velivoli di caccia per turno di scorta.

         Sulla decisione di ritirare le navi italiane nei porti senza combattere il comandante della Marina Germanica in Italia vice ammiraglio  Eberhard Weichold, scrisse nel dopoguerra per l’Ammiragliato britannico: “Un più inutile spreco di energie combattive non è immaginabile”. E aggiunse che, con l’arrivo a destinazione di cinque navi con rifornimenti, “il nemico aveva raggiunto il fine strategico della sua operazione … Malta fu messa in grado di combattere per diverse settimane e, in caso di necessità, per diversi mesi... Per raggiungere tale obiettivo nessun prezzo era troppo alto e da questo punto di vista l’operazione inglese, malgrado tutte le perdite, non fu una disfatta, ma un insuccesso strategico di primordine da parte dell’Asse di cui un giorno si sarebbero sentite le ripercussioni”. [11]

         Nel momento stesso in cui, con l’arrivo dei rifornimenti, si realizzava la sopravvivenza di Malta, la rinuncia all’azione navale da parte degli italiani costituì l’ultimo atto di una guerra sbagliata, che l’Italia, per la sua debolezza militare, ampiamente riconosciuta negli ambienti militari e governativi, non avrebbe dovuto mai combattere. Dopo la battaglia di mezzo agosto, il cui mancato intervento navale fu addebitato, senza alcun pudore, al solo Mussolini, che invece si rammarico con Ciano per quella sua forzata rinuncia, la sorte della guerra era ormai segnata.

         Occorre tuttavia precisare per non creare illusioni, che se anche il mattino del 13 agosto si fosse verificato l’annientamento del convoglio britannico dell’operazione Pedestal, e Malta fosse stata costretta ad arrendersi per mancanza di viveri, tutto ciò avrebbe forse ritardato per le potenze dell’Asse la sorte della guerra in Mediterraneo, ma non annullata la loro sconfitta, perché ormai troppo forte era il divario del potenziale bellico e umano della Germania e dell’Italia rispetto a quello espresso dagli statunitensi, dai britannici e dai sovietici.

          Nonostante l’indubbio successo conseguito dalla Pedestal, le gravi perdite subite dalla Marina britannica, giustificate da Churchill che elogiò il comportamento degli ammiragli Syfret, Burrough e Lyster, non furono accolte in Gran Bretagna con euforia di vittoria, e di ciò si fece portavoce lo stesso Ammiragliato che nella sua relazione compilata nel dopoguerra concludeva:[12]

 

          “Questa fu l’operazione “Pedestal”: non è stato certo un bel risultato l’aver condotto a destinazione cinque navi del convoglio su un complesso di quattordici potentemente scortate specialmente se si tiene conto delle perdite della scorta: una portaerei, due incrociatori e un cacciatorpediniere affondati e una portaerei e due incrociatori danneggiati ma il convoglio dovette subire, nello spazio di due giorni, gli attacchi di 150 bombardieri e di 80 aerosiluranti protetti da una massa di caccia ben superiori a quella che le portaerei e Malta potevano fornire e, per quanto i caccia dell’aviazione navale e quelli di Malta siano stati magnifici, la proporzione di forza era troppo marcata. Il convoglio dovette anche contrastare l’azione di circa una dozzina di sommergibili che erano guidati dalla ricognizione aerea, e subire, durante il percorso notturno lungo le coste tunisine, l’azione delle mine e gli attacchi dei Mas italiani.”

 

         I risultati conseguiti dalle forze navali dell’Asse furono indubbiamente eccezionali, considerando che gli incrociatori e i cacciatorpediniere della Regia Marina non intervennero, e che il contrasto fu esercitato soltanto dai sommergibili e dalle unità insidiose.[13]  Gli U-boote germanici affondarono con l’U 73 la portaerei Eagle. I sommergibili italiani conseguirono i seguenti risultati: l’Axum affondò l’incrociatore contraereo Cairo e danneggiò l’incrociatore Nigeria e la petroliera Ohio; un siluro dell’Alagi danneggiò l’incrociatore Kenya; infine il Bronzo dette il colpo di grazia al piroscafo Clan Ferguson, immobilizzato dagli aerosiluranti tedeschi He.111 della 6./KG.26. Le motosiluranti italiane Ms 16 e Ms 22 affondarono l’incrociatore Manchester e la Ms. 31 il piroscafo Glenorchy. Infine, i Mas 552 e 554 affondarono i piroscafi Wairangi e Almeria Lykes, e i Mas 564 e 557 danneggiarono i piroscafi Rochester Castle e Santa Elisa. Quest’ultimo rimasto immobilizzato e in stato di affondamento, fu finito con le bombe da un aereo tedesco Ju. 88 del KGr.806.

         Quanto alla Luftwaffe, impiegando complessivamente 650 aerei, consegui i seguenti risultati. Gli aerosiluranti He. 111 delle squadriglie 6/KG.26 e KSC.3 affondarono il piroscafo Deucalion, già colpito dai bombardieri Ju. 88 del II./KG.77, e danneggiarono i piroscafi Brisbane Star e Clan Ferguson, che rimasto praticamente smantellato per un’esplosione del carico di benzina e munizioni, ricevette il colpo di grazia dal sommergibile italiano Bronzo. I bombardieri in picchiata Ju. 87 del I./St.G.3 affondarono il piroscafo Dorset, colpirono gravemente la portaerei  Indomitable e la petroliera Ohio. I bombardieri Ju. 88 affondarono rispettivamente con i velivoli del KGr. 806 e del II./LG. 1 i piroscafi Santa Elisa, già immobilizzato dal Mas 557, e Waimarama. Gli Ju. 88 del II./KG.77 colpirono il piroscafo Deucalion, poi affondato dagli aerosiluranti He. 111 della 6/KG.26, mentre i velivoli dei vari reparti affondarono il piroscafo Empire Hope, colpirono, a loro volta, la petroliera Ohio, procurarono altri danni all’incrociatore Kenya, e quelli del I./LG.1 danneggiarono leggermente il cacciatorpediniere Somali.

         La Regia Aeronautica, malgrado i 628 aerei impiegati, e le affermazioni degli equipaggi di volo che ritennero di aver conseguito successi eccezionali, ottennero risultati sensibilmente inferiori a quelli dei tedeschi, e non corrispondenti ai mezzi schierati, e tanto meno agli sforzi compiuti nel corso delle missioni e alle notevoli perdite subite dai reparti d’impiego. Gli aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo colpirono il cacciatorpediniere Foresight, che per i danni riportati dovette essere affondato. I bombardieri Ju. 87 del 102° Gruppo, danneggiarono la petroliera Ohio, già colpita dal sommergibile Axum e dagli aerei tedeschi, e colpirono leggermente la corazzata Rodney, mentre i cacciabombardieri Re. 2001 della Sezione Speciale colpirono con due grosse bombe  la portaerei Victorious procurandogli soltanto danni superficiali per la ritardata attivazione delle spolette.

         Alle perdite navali subite dai britannici si aggiunsero trentasei velivoli, ventinove dei quali appartenenti alle portaerei e sette alla R.A.F. di Malta, cinque Spitfire, un Beaufighter e un Wellington. La sola caccia di Malta realizzo in quattro giorni un totale di 407 missioni. Da parte dell’Asse andarono perduti cinquanta velivoli, trentadue italiani e diciotto tedeschi, cui si aggiunse quella di due sommergibili, il Dagabur e il Cobalto, e il danneggiamento degli incrociatori Attendolo e Bolzano  e della motosilurante tedesca S 58.

          Il prezzo di vite umane pagato dalla Royal Navy e dalla Marina mercantile britannica fu di 350 uomini, fra ufficiali e marinai, sui circa 23.000 che, a bordo delle navi, avevano partecipato alla Pedestal; e ciò rappresentava una perdita di uomini ancora più elevata di quella verificatasi il precedente mese di luglio nel disastro del tragico convoglio P.Q. 17, fatto letteralmente a pezzi dai sommergibili e degli aerei tedeschi, sulla rotta artica per la Russia settentrionale, con l’affondamento di ben ventitré navi mercantili per 143.977 tsl. Si trattava pero di navi molto meno importanti di quelle perdute dal convoglio WS.21/S sulla rotta di Malta, ove erano stati impiegati preziosi piroscafi veloci di elevato tonnellaggio, che furono rimpianti, perché sarebbero stati utili per le future operazioni.

          Occorre anche dire che le perdite subite dai britannici nel corso  dell’Operazione Pedestal, che generarono a Londra grande preoccupazione e che il vice ammiraglio Syfret non mancò di far notare scrivendo nella sua relazione “Le perdite sostenute dalla Forza F furono spiacevolmente forti e il numero dei piroscafi che raggiunse Malta dolorosamente piccolo”, costituirono il fattore di maggiore pressione nel convincere gli Alleati a ritenere che un nuovo tentativo di avvicinarsi al Canale di Sicilia sarebbe stato pagato in modo ancora più severo. Di ciò furono particolarmente convinti gli statunitensi che, nel pianificare l’invasione del Nord Africa Francese (operazione Torch), poi attuata nel novembre del 1942, si opposero fermamente alle richieste dei loro colleghi britannici di sbarcare a Biserta. Limitando le operazioni anfibie ad Orano ed Algeri, per tenersi il più lontano possibile fuori dal raggio d’azione dei mezzi aeronavali dell’Asse, gli anglo-americani concessero a italiani e tedeschi di potersi impossessare rapidamente della Tunisia e di conseguire con ciò l’indubbio successo strategico di ritardare la perdita dell’Africa al maggio del 1943.

             Nel tirare le somme al termine della Pedestal, considerando la negativa influenza da essa esercitata nei piani degli anglo-americani, molte fra le personalità militari e politiche Alleate si chiesero se l’operazione era stata ben ponderata, e organizzata con saggia e ragionata misura strategica. Essa era nata sotto l’influenza di un urgente rifornimento di Malta, che ne alleviasse la disperata situazione di assedio, e dall’insistente richiesta di aiuti dei difensori, i cui accorati appelli non avevano lasciato indifferenti il Governo e l’Ammiragliato. Ma occorreva chiedersi se era stato veramente necessario accettare i rischi di un’operazione tanto complessa? Ne fu convinto il primo Lord del Mare, ammiraglio Pound, che sostenne: “Abbiamo pagato un elevato scotto, ma a mio personale parere ritengo che ce la siamo cavata ancora a buon mercato data la non esatta valutazione che si era fatta dei rischi da affrontare e del tremendo ammassamento di tutto”.[14] Molto più ottimistico fu il parere espresso da Winston Churchill che trovandosi in visita a Mosca, per colloqui al Cremlino con i rappresentanti sovietici, il 14 agosto scrisse a Joseph Stalin una lettera, in cui puntualizzando quanto era successo dalle informazioni ricevute, pur non nascondendo le preoccupazioni per le perdite subite, affermava: Un incrociatore e una nave di linea italiani non hanno osato attaccare i resti del convoglio, quando esso è entrato sotto la protezione aerea di Malta. Indubbiamente il nemico considera questa come una grande vittoria sul mare, e sarebbe così se non si tenessero presente l’importanza strategica di Malta per i piani futuri.[15]

         Concludendo, l’operazione Pedestal rappresento il massimo delle sforzo che gli inglesi dovettero sostenere per conservare il possesso di Malta. Tra il giugno del 1940 e l’agosto del 1942 furono avviate verso l’isola esattamente cento navi mercantili, ventitré delle quali furono affondate durante la rotta e di esse ben diciannove nel corso degli otto convogli organizzati nel 1942. Altri tre mercantili, inclusa la cisterna Ohio, subirono la stessa sorte, sempre nel 1942, dopo l’arrivo in porto alla Valletta, e dieci tornarono indietro per danni o perché costrette, come nel corso dell’operazione Vigorous, ad invertire la rotta dall’intervento della flotta italiana. Delle sessantasette navi che arrivarono a destinazione, ventuno trasportarono a Malta 493.000 tonnate di rifornimenti, a cui si aggiunsero le quantità modeste scaricate in varie occasioni dalle unità da guerra e dai sommergibili, e dagli aerei, questi ultimi impegnati in una continua spola che comporto perdite elevate.

         I convogli per Malta imposero inoltre un impegno logorante alla Marina mercantile e da guerra britannica, impegnando per settimane molti tra i più preziosi e veloci piroscafi destinati ai collegamenti tra le Colonie e il Regno Unito distogliendoli da altri incarichi e dalle più lontane zone operative. Nello stesso tempo, per assicurare efficienti scorte non presenti nel Mediterraneo, fu necessario farvi affluire, al costo di gravi perdite e danni, unità da guerra prelevate dai settori dell’Atlantico, dell’Artico e dell’Oceano Indiano, che poi erano tenute lontano dai loro servizi per lunghe riparazioni.

         A ciò si aggiunsero le perdite aeree subite a Malta dalla R.A.F. e dalla F.A.A. tra il giugno 1940 e il novembre 1942. Esso sono quantificate in 1.133 velivoli di ogni tipo, in gran parte distrutti al suolo (i soli caccia perduti in combattimento sono stati 289, quelli distrutti al suolo circa 300, e i piloti da caccia morti 518), a cui vanno aggiunti gli aerei e gli equipaggi perduti durante i trasferimenti verso l’isola, e quelli subiti delle navi portaerei impegnate a sostenere il transito dei convogli.

         Fu solo con questi sforzi congiunti che la Royal Navy poté assicurare il sostentamento di Malta, permettendole di operare con successo contro le linee di comunicazione dell’Asse, con indubbio vantaggio per le operazioni britanniche in Nord Africa, che si conclusero in Tunisia l’11 maggio 1943.

 

Francesco Mattesini

 

 

 

 

FORZE NAVALI ED AEREE IMPIEGATE NEL MEDITERRANEO OCCIDENTALE E CENTRALE NELLA BATTAGLIA DI MEZZO AGOSTO

 

 

  1. FORZE BRITANNICHE

Denominazione in codice dei Gruppi Navali

 

1)  Forza F: l’intera formazione nel suo complesso;

2)  Forza P: il convoglio e la scorta in navigazione in Oceano Atlantico;

3)  Forza M: portaerei Victorious, Argus e loro unità di scorta:  

      concentrazione nei porti della Gran Bretagna

4)   Forza J: portaerei Eagle e unità di scorta: concentrazione a

      Gibilterra;

5)   Forza K: portaerei Indomitable e unità di scorta: concentrazione a

      Freetown;

6)   Forza G: portaerei e unità di scorta riunite in Atlantico per svolgere

      l’operazione “Berserk”;

7)   Forza W: petroliera Abbeydale e unità di scorta per il rifornimento  

      delle navi partecipanti all’operazione “Berserk”;

8)   Forza R: petroliere e unità di scorta per il rifornimento in

      Mediterraneo delle navi partecipanti all’operazione Pedestal;

9)   Forza X: unità della scorta al convoglio W.S. 21/S dal Canale di

      Sicilia fino a Malta;

10) Forza Z: il grosso della Forza F dopo la separazione dalla Forza X;

11) Forza Y: convoglio di piroscafi scarichi e unità di scorta partito da         Malta per Gibilterra (operazione “Ascendant”).

 

 

B) COMPOSIZIONE DEI GRUPPI NAVALI

 

FORZA Z

 

2 navi da battaglia

          Nelson – Capitano di vascello H.B. Jacomb: nave di bandiera del 

comandante della Forza F, vice ammiraglio Sir Neville Syfret

          Rodney – capitano di vascello J.W. Rivett-Carnac

 

3 navi portaerei

          Victorious – capitano di vascello H.C. Bovel: nave di bandiera del

comandante delle portaerei, contrammiraglio Sir A.L. St. A. Lyster

          Indomitable – capitano di vascello T.H. Troubridge: nave comando del contrammiraglio D.W. Boyd

          Eagle – capitano di vascello L.D. Mackintosh

 

3 incrociatori leggeri

           Sirius – capitano di vascello P.W.B. Brooking

          Phoebe – capitano di vascello C.P. Frend

          Charybdis –  capitano di vascello G.A.W. Voelcker

 

12 cacciatorpediniere

          Laforey – capitano di vascello R.M.J. Hutton, comandante la 19a        

Flottiglia della Home Fleet

          Lightning – capitano di fregata H.C. Walters

          Lookout – capitano di corvetta C.P.F. Brown

          Quentin – capitano di corvetta A.H.P. Noble

          Tartar – capitano di fregata St. J.R.J. Tyrwhitt

          Somali – capitano di fregata E.N.V. Currey

          Eskimo – capitano di fregata E.G. Le Geyt

          Wishart – capitano di fregata H.G. Scott

          Zetland –  tenente di vascello A.P. Northey

          Ithuriel – capitano di corvetta D.H. Maitland-Makgill-Crichton

         Antilope – capitano di corvetta E.N. Sinclair

         Vansittart – capitano di corvetta T. Johnston   

 

 

FORZA X

 

3 incrociatori leggeri

          Nigeria – capitano di vascello S.H. Paton: nave di bandiera del comandante la Forza X, contrammiraglio H.M. Burrough

          Kenya – capitano di vascello A.S. Russell

          Manchester – capitano di vascello H. Drew

 

1 incrociatore contraereo

          Cairo – capitano di vascello (facente funzione) C.C. Hardy

 

12 cacciatorpediniere

           Ashanti – capitano di fregata R.G. Onslow, comandante la 6a Flottiglia della Home Fleet

          Intrepid – capitano di fregata E.A. de W. Kitcat

          Icarus – capitano di corvetta C.D. Maud

          Foresight – capitano di corvetta R.A. Fell

          Fury – capitano di corvetta C.H. Campbell

          Derwent – capitano di fregata R.H. Wright

          Bramham – tenente di vascello E.F. Baines

          Bicester – capitano di corvetta S.W. F. Bennets

          Ledbury – capitano di corvetta R.P. Hill

          Pathfinder – capitano di fregata E.A. Gibbs

          Penn –  capitano di corvetta J.H. Staine

          Wilton – tenente di vascello A.M. Wockham

 

1 rimorchiatore di squadra

          Jaunty – capitano di corvetta della riserva H. Osburn

 

 

CONVOGLIO W.S. 21/S

 

13 piroscafi

          Porth Chalmers – capitano H.G. Pinkey: nave comando del commodoro A.G. Venables

          Clann Ferguson – capitano A.R. Cassar

          Melbourne Star –  capita no D.R. MacFarlane

          Brisbane Star –  capitano F.N. Riley

          Rochester Castle – capitano R. Wren

          Empire Hope – capitano G. Williams

          Glenorchy –  capitano G. Leslie

          Dorset – capitano J.C. Tuckett

          Deucalion – capitano R. Brown

          Wairangi – capitano A.R. Gordon

          Waimarama – capitano R.S. Pearce

          Almeria Lykes  (U.S.) – capitano W. Henderson

          Santa Elisa (U.S.) –  capitano T. Thompson

         

1 petroliera

          Ohio – capitano D. Mason

 

 

UNITA’ AGGIUNTA PER L’OPERAZIONE “BELLOWS”

 

1 nave portaerei

          Furious – capitano di vascello T.O. Bulteel

 

 

UNITA’ DESTINATE AD ALTRI SERVIZI DI SCORTA

 

8 cacciatorpediniere

          Keppel – capitano di fregata J. Broome

          Malcolm – capitano di fregata A.B. Russel

          Amazon –  capitano di corvetta Lord Teynham

          Venomous – capitano di fregata H.W. Falcon-Steward

          Wolverine –  capitano di corvetta P.W. Gretton

          Wrestler – tenente di vascello R.W.B. Lecon

          Vidette – capitano di corvetta E.N. Walmsley

          Westcott – capitano di fregata I.H. Bockett-Pugh

 

 

FORZA R

 

2 cisterne di squadra

          Brown Ranger – capitano D.B.C. Ralph

          Dingdale – capitano R.T. Duthie

 

1 rimorchiatore di squadra

          Salvonia – tenente di vascello G.M. Robinson

 

4 corvette

          Jonquil –  capitano di fregata della riserva R.E.H. Partington

          Geranium – capitano di corvetta della riserva A. Foxall

          Spirea  –  capitano di corvetta R.S. Miller

          Coltsfoot – tenente di vascello della riserva volontaria W.K. Rouse

 

 

UNITA’ AGGIUNTA PER L’OPERAZIONE “BERSERK”

 

1 nave portaerei

          Argus – capitano di vascello G.T. Philip

 

 

FORZA W

 

1 cisterna di squadra

          Abbeydale – capitano A. Edwards

 

2 corvette

          Burdock – capitano di corvetta della riserva E.H. Lynes

          Armeria  –  tenente di vascello della riserva M. Todd

 

 

FORZA Y

 

2 piroscafi

          Orari  –  capitano W.G. Harrison

          Troilus –  capitano Nelson Rice

 

2 cacciatorpediniere

          Matchless – capitano di corvetta J. Mowlam

          Badsworth – tenente di vascello G.T.S. Gray

 

 

GRUPPO UNITA’ DI SCORTA DI BASE A MALTA

 

4 dragamine (17a  Flottiglia)

          Speedy – capitano di corvetta A.E. Doran (nave comando del comandante il gruppo di Malta, capitano di fregata H.J.A.S. Jerome)

          Hebe – capitano di corvetta della riserva volontaria G. Mowatt

          Hyte – capitano di corvetta L.B. Miller

          Rye – tenente di vascello J.A. Pearson

 

7 motolance (3a  Flottiglia)

          ML 121 –  capitano di corvetta della riserva volontaria E.J. Strowlger

          ML 126

          ML 134

          ML 135

          ML 168

          ML 459

          ML 462

 

 

SOMMERGIBILI

 

9 sommergibili

          Safari – capitano di fregata B. Briant

          P 222 –  capitano di fregata A.J. Mackenzie

          Unbroken – tenente di vascello A.C.G. Mars

          Uproar – tenente di vascello J.B. Kershaw

          Ultimatum – tenente di vascello P.R. Harrison

          Unruffled – tenente di vascello J. Stevens

          Utmost – tenente di vascello A.W. Longridge

          United – tenente di vascello T.E. Barlow

          Una – tenente di vascello D.S.R. Martin

 

 

AVIAZIONE DELLA MARINA

 

Aerei imbarcati sulle navi portaerei

 

Victorious

          809° Squadron, con 10 caccia Fulmar II al comando del tenente di vascello pilota E.G. Savage

          884° Squadron, con 6 caccia Fulmar II al comando del tenente di vascello pilota G. Hallett

          885° Squadron, con 5 caccia Hurricane al comando del tenente di vascello pilota H.P. Carter

          817° Squadron, con 2 aerosiluranti Albacore al comando del tenente di vascello pilota R.N. Corbet-Milward

          832° Squadron, con 12 aerosiluranti Albacore al comando del capitano di corvetta pilota W.J. Lucas

 

Indomitable

          800° Squadron, con 12 caccia Hurricane al comando del capitano di corvetta J.M. Bruen

          806° Squadron, con 9 caccia Martlet al comando del tenente di vascello R.L. Johnston

          880° Squadron, con 10 caccia Hurricane al comando del capitano di corvetta F.E. Judd

          827° Squadron, con 12 aerosiluranti Albacore al comando del capitano di corvetta D.K. Buchnan-Dunlop

          831° Squadron, con 12 aerosiluranti Albacore al comando del capitano di corvetta A.G. Leatham

 

Eagle

          801° Squadron, con 12 caccia Hurricane, più 4 caccia Hurricane di riserva al comando del capitano di corvetta R. Brabner

          813° Squadron, con 4 caccia Hurricane al comando del tenente di vascello King-Joyce

 

Furious

          823° Squadron, con 4 aerosiluranti Albacore al comando del capitano di corvetta A.J.D. Harding

          42 caccia Spitfire V della R.A.F. destinati a Malta

 

Argus

          804° Squadron, con sei caccia Hurricane (riserve) al comando del capitano di vascello A.E. Marsh

 

 

Aerei di base a Malta

 

Aeroporto di Hal Far

          828° Squadron, con 27 aerosiluranti Albacore al comando del tenente di vascello G.M. Haynes

          830° Squadron, con 1 aerosilurante Swordfish al comando del capitano di vascello K.L. Ford

 

 

AVIAZIONE DELLA ROYAL AIR FORCE

 

Aerei di base sugli aeroporti di Malta efficienti

 

Caccia Spitfire V

          Squadron 126°

          Squadron 185°

          Squadron 229°

          Squadron 249°

          Flight 1435a

          con un totale di 100 velivoli

 

Caccia a lungo raggio Beaufigter

          Squadron 235°

          Squadron 248°

          Squadron 252°

          Squadron (notturno) 89°

          con un totale di 36 velivoli

 

Aerosiluranti Beaufort

          Squadron 39°

          Squadron 86°

          Squadron 217°

          con un totale di 30 velivoli

 

Bombardieri Wellington

          Squadron 38° (notturno)

          Squadron 40° (notturno)

          con un totale di 3 velivoli

 

Bombardieri Liberator (B.24)

          159° Squadron (notturno)

          con un totale di 2 velivoli

 

Bombardieri Baltimore

          55° Squadron

          con un totale di 2 velivoli

 

Ricognitori Baltimore, Wellington e fotoricognitori Spitfire

          69° Squadron

          con un totale di 16 velivoli, di cui 5 Baltimore, 5 Wellington VIII,  

          e 6 Spitfire

 

 

 

  1. FORZE DELL’ASSE

 

COMPOSIZIONE DELLE FORZE NAVALI ITALIANE

 

 

3a  DIVISIONE NAVALE

 

3 incrociatori pesanti (3a  Divisione)

          Gorizia – capitano di vascello Paolo Melodia, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della 3a  Divisione Navale

          Bolzano – capitano di vascello Mario Mezzadra

          Trieste – capitano di vascello Umberto Rouselle

 

7 cacciatorpediniere (11a  Squadriglia)

          Aviere –  capitano di vascello Gastone Minotti, comandante  della 11a  Squadriglia

          Geniere – capitano di fregata Marco Notarbartolo

          Camicia Nera – capitano di fregata Adriano Foscari

          Legionario – capitano di fregata Corrado Tagliamonte

          Ascari – capitano di fregata Teodorico Capone

          Corsaro (della 17a  Squadriglia) – capitano di fregata Lionello Sagamoso

          Grecale (della 10a  Squadriglia) – capitano di fregata Luigi Gasparini

 

 

7a  DIVISIONE NAVALE

 

3 incrociatori leggeri

          Eugenio di Savoia – capitano di vascello Franco Zannoni, nave di bandiera del comandante della 7a Divisione Navale, ammiraglio di divisione Alberto Da Zara

          Raimondo Montecuccoli – capitano di vascello Arturo Solari

          Muzio Attendolo – capitano di vascello Mario Schiavuta

 

4 cacciatorpediniere (10a  Squadriglia)

          Maestrale – capitano di vascello Riccardo Pontremoli, comandante della 10a  Squadriglia

          Vicenzo Gioberti – capitano di fregata Vittorio Prato

          Alfredo Oriani – capitano di fregata Paolo Pesci

          Fuciliere (della 13a  Squadriglia) – capitano di fregata Umberto Del Grande

 

 

UNITA’ ADIBITE A VARI COMPITI

 

1 cacciatorpediniere

          Malocello – capitano di fregata Pierfrancesco Tona

 

5 torpediniere

          Climene – capitano di corvetta Raffaele Cerqueti

          Centauro – capitano di corvetta Luigi Zerbi

          Enrico Cosenz – capitano di corvetta Emanuele Campagnoli

          Papa – tenente di vascello Giuseppe Sardelli

          Ardito – tenente di vascello Emanuele Consanego

 

2 pescherecci d’alto mare requisiti

          Eugenio – sottotenente di vascello Cesare Blanda

          Cefalo – tenente di vascello Corrado Dequal

 

 

MAS MOTOSILURANTI E MOTOSCAFI SILURANTI

 

6 motosiluranti (2a  Squadriglia della 1a  Flottiglia)

          MS 16 – capitano di corvetta Giorgio Manuti, comandante della 2a  Squadriglia

          MS 22 – sottotenente di vascello Franco Mezzadra

          MS 23 – sottotenente di vascello Giacomo Patrone

          MS 25 – tenente di vascello Franco Le Pera

          MS 26 – sottotenente di vascello Alberto Bencini

          MS 31 – tenente di vascello Antonio Calvani

 

15 Mas della 2a  Flottiglia di Trapani

 

2a  Squadriglia, a Messina a disposizione del 4° Gruppo Antisom

          Mas 546 –

          Mas 556 – tenente di vascello Luigi Sala

 

15a  Squadriglia, a Palermo a disposizione del 6° Gruppo Antisom

          Mas 543 – nocchiere di 2a  classe Leone Tirelli

          Mas 544 –

          Mas 548 – guardiamarina Miro Karis

          Mas 549 – tenente di vascello Andrea Giuffra

 

17a  Squadriglia, a Trapani

          Mas 557 – guardiamarina Giovanni Cafiero

          Mas 560 – nocchiere di 2a  classe Luigi Bolognesi

          Mas 563 – tenente di vascello Gino Maveri

          Mas 564 – nocchiere di 2a  classe Giuseppe Iofrate

 

18a  Squadriglia, a Messina e Lampedusa

          Mas 562 – guardiamarina Francesco Luciano

          Mas 556 – tenente di vascello Luigi Sala

 

20a  Squadriglia, a Pantelleria

          Mas 552 – sottotenente di vascello Rolando Perasso

          Mas 553 – capo di 2a  classe Luigi Riccardo

          Mas 554 – sottotenente di vascello Marco Calcagno

 

4 motoscafi siluranti della 10a  Flottiglia MAS

 

1a  Decimodist di Augusta

          MTSM 214 – sottotenente di vascello Ongarillo Ungarelli

          MTSM 218 – tenente di vascello Giuseppe Cosulich

          MTSM 222 – tenente di vascello Corrado Dequal

          MTSM 230 – tenente di vascello Corrado Garutti

 

 

SOMMERGIBILI

 

18 sommergibili

 

3° Grupson di Messina – capitano di fregata Ferdinando Calda

          Asteria – tenente di vascello Pasquale Beltrame

         

7° Grupson di Cagliari – capitano di fregata Alfredo Criscuolo

          Avorio -  tenente di vascello Mario Prigione

          Bronzo – tenente di vascello Cesare Buldrini

          Brin – tenente di vascello Luigi Andreotti

          Cobalto – tenente di vascello Raffaele  Amicarelli

          Dandolo – tenente di vascello Giovanni Febbraio

          Dagabur – tenente di vascello Renato Pecori

          Emo – tenente di vascello Giuseppe Franco

          Giada – tenente di vascello Gaspare Cavallina

          Granito – tenente di vascello Leo Sposito

          Otaria – tenente di vascello Alberto Gorini

          Uarsciek – tenente di vascello Gaetano Arezzo della Targia

          Velella – tenente di vascello Giovanni Fabbraro

          Volframio – tenente di vascello Giovanni Manunta

 

8° Grupsom di Trapani – capitano di fregata Pietro Scamacca

          Ascianghi – tenente di vascello Rodolfo Bombig

          Alagi – tenente di vascello Sergio Puccini

          Axum – tenente di vascello Renato Ferrini

          Dessie – tenente di vascello Renato Scandola

 

 

COMPOSIZIONE DELLE FORZE NAVALI GERMANICHE

 

5 motosiluranti della 3a  Flottiglia a Porto Empedocle

          S 30 – sottotenente di vascello Horst Weber, nave comando del comandante da 3a  Flottiglia tenente di vascello Friedrich Kemnade

          S 35 – sottotenente di vascello Klaus-Degenhard Schmidt

          S 36 – sottotenente di vascello Günther Brauns

          S 58 – sottotenente di vascello Siegfried Wuppermann

          S 59 – sottotenente di vascello Albert Müller

 

3 sommergibili della 29a  Flottiglia alla Spezia

          U 73 – tenente di vascello Helmut Rosembaum

          U 205 – tenente di vascello Franz-Georg Reschke

          U 331 – tenente di vascello Hans-Dietrich von Tiesenhausen


            AUSMM, Marina Trapani, “Azioni di mezzo agosto delle Motosiluranti e dei M.A.S.”, foglio n. 292 R.P, Scontri navali e operazioni di guerra, b. 61.

[2] National Archives, ADM 199/1243 X/PO9808.

[3] National Archives, ADM 199/1242 X/PO9808, “Operation Pedestal – Report of Proceedings”, Ashanti, 15 agosto 1942 .

[4] Archivio Ufficio Storico Esercito, Diario Cavallero, e Diario Comando Supremo, agosto 1942. Vedi anche Ugo Cavallero, Diario 1940-1943, Ciarrapico, Cassino, 1984, p. 459.

[5] Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, a cura di Renzo De Felice, Rizzoli, Milano, 1980, p.643.

[6] Sebbene si fossero entrambi salvati i due incrociatori non poterono ultimare i lavori di riparazione e rimasero per sempre fuori combattimento. L’Attendolo fu affondato a Napoli il 4 dicembre 1942 in un attacco di venti bombardieri B. 24 del 98° e 376° Gruppo della 12a Air Force statunitense; il Bolzano – spostato alla Spezia per le definitive riparazioni, in seguito agli avvenimenti dell’8 settembre 1943, seguiti all’armistizio dell’Italia – caduto in mani tedesche finì i suoi giorni in quel porto ligure, dopo che il 2 giugno 1944 era stato affondato dal mezzo d’assalto britannico “chariot” del tenente di vascello M.R. Causer. Un particolare che dobbiamo far conoscere è che il comandante del Bolzano, Mario Mezzadra, era il padre del tenente di vascello Franco Mezzadra che quello stesso mattino del 13 agosto, prima che il Bolzano venisse silurato, aveva a sua volta colpito ed affondato con la motosilurante MS 22 l’incrociatore Manchester.

[7] AUSA, GAM 8, b. 155.

[8] P. Smith, L’ultimo convoglio per Malta 1942, cit., p. 325.

[9] AUSMM, Relazione mensile di Supermarina, “Invio di un convoglio inglese a Malta da ponente. Operazioni per contrastarne il passaggio (9-15 agosto 1942)”, allegato al Diario di Supermarina dell’agosto 1942.

           [10] Il vice maresciallo dell’aria Park attribuì il mancato intervento delle corazzate italiane ai seguenti motivi, che noi condividiamo: “a) Presenza di notevole forza di aerosiluranti a Malta; b) La flotta nemica aveva riportato maggiori danni di quelli che noi pensavamo durante l’operazione “Vigorous”; c) Il nemico aveva deciso di mantenere ad ogni costo al sicuro queste unità allo scopo di impiegarle successivamente”.  

 

[11] AUSMM, “La guerra fatale all’Asse nel Mediterraneo (1940-43)”, Collezione V.

[12] AUSMM, Scambio notizie con Ammiragliato britannico, “Operazione Pedestal – Agosto 1942”.

[13] Supermarina espresse il seguente elogio: “Tutti gli equipaggi dei sommergibili, delle motosiluranti e dei MAS hanno dimostrato, nei violenti scontri col nemico, di possedere elevato grado di preparazione morale e materiale e il più encomiabile ardimento”. Cfr. “Relazione sulle operazioni navali svoltesi nei bacini occidentale e centrale del Mediterraneo dal 10 al 14 agosto 1942-XX E.F.”, Scontri Navali e operazioni di guerra, busta 62.

[14] S.W. Roskill, The war at Sea 1939 – 1945, vol. II, p. 308.

[15] Stalin Churchill Roosevelt Attlee Truman, Carteggio 1941-1945,   Editori Riuniti, Roma, 1968, p. 72.

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I successi delle motosiluranti e dei mas italiani nel Canale di Sicilia

 

            

 

 

B) COMPOSIZIONE DEI GRUPPI NAVALI

 

FORZA Z

 

2 navi da battaglia

          Nelson – Capitano di vascello H.B. Jacomb: nave di bandiera del 

comandante della Forza F, vice ammiraglio Sir Neville Syfret

          Rodney – capitano di vascello J.W. Rivett-Carnac

 

3 navi portaerei

          Victorious – capitano di vascello H.C. Bovel: nave di bandiera del

comandante delle portaerei, contrammiraglio Sir A.L. St. A. Lyster

          Indomitable – capitano di vascello T.H. Troubridge: nave comando del contrammiraglio D.W. Boyd

          Eagle – capitano di vascello L.D. Mackintosh

 

3 incrociatori leggeri

           Sirius – capitano di vascello P.W.B. Brooking

          Phoebe – capitano di vascello C.P. Frend

          Charybdis –  capitano di vascello G.A.W. Voelcker

 

12 cacciatorpediniere

          Laforey – capitano di vascello R.M.J. Hutton, comandante la 19a        

Flottiglia della Home Fleet

          Lightning – capitano di fregata H.C. Walters

          Lookout – capitano di corvetta C.P.F. Brown

          Quentin – capitano di corvetta A.H.P. Noble

          Tartar – capitano di fregata St. J.R.J. Tyrwhitt

          Somali – capitano di fregata E.N.V. Currey

          Eskimo – capitano di fregata E.G. Le Geyt

          Wishart – capitano di fregata H.G. Scott

          Zetland –  tenente di vascello A.P. Northey

          Ithuriel – capitano di corvetta D.H. Maitland-Makgill-Crichton

         Antilope – capitano di corvetta E.N. Sinclair

         Vansittart – capitano di corvetta T. Johnston   

 

 

FORZA X

 

3 incrociatori leggeri

          Nigeria – capitano di vascello S.H. Paton: nave di bandiera del comandante la Forza X, contrammiraglio H.M. Burrough

          Kenya – capitano di vascello A.S. Russell

          Manchester – capitano di vascello H. Drew

 

1 incrociatore contraereo

          Cairo – capitano di vascello (facente funzione) C.C. Hardy

 

12 cacciatorpediniere

           Ashanti – capitano di fregata R.G. Onslow, comandante la 6a Flottiglia della Home Fleet

          Intrepid – capitano di fregata E.A. de W. Kitcat

          Icarus – capitano di corvetta C.D. Maud

          Foresight – capitano di corvetta R.A. Fell

          Fury – capitano di corvetta C.H. Campbell

          Derwent – capitano di fregata R.H. Wright

          Bramham – tenente di vascello E.F. Baines

          Bicester – capitano di corvetta S.W. F. Bennets

          Ledbury – capitano di corvetta R.P. Hill

          Pathfinder – capitano di fregata E.A. Gibbs

          Penn –  capitano di corvetta J.H. Staine

          Wilton – tenente di vascello A.M. Wockham

 

1 rimorchiatore di squadra

          Jaunty – capitano di corvetta della riserva H. Osburn

 

 

CONVOGLIO W.S. 21/S

 

13 piroscafi

          Porth Chalmers – capitano H.G. Pinkey: nave comando del commodoro A.G. Venables

          Clann Ferguson – capitano A.R. Cassar

          Melbourne Star –  capita no D.R. MacFarlane

          Brisbane Star –  capitano F.N. Riley

          Rochester Castle – capitano R. Wren

          Empire Hope – capitano G. Williams

          Glenorchy –  capitano G. Leslie

          Dorset – capitano J.C. Tuckett

          Deucalion – capitano R. Brown

          Wairangi – capitano A.R. Gordon

          Waimarama – capitano R.S. Pearce

          Almeria Lykes  (U.S.) – capitano W. Henderson

          Santa Elisa (U.S.) –  capitano T. Thompson

         

1 petroliera

          Ohio – capitano D. Mason

 

 

UNITA’ AGGIUNTA PER L’OPERAZIONE “BELLOWS”

 

1 nave portaerei

          Furious – capitano di vascello T.O. Bulteel

 

 

UNITA’ DESTINATE AD ALTRI SERVIZI DI SCORTA

 

8 cacciatorpediniere

          Keppel – capitano di fregata J. Broome

          Malcolm – capitano di fregata A.B. Russel

          Amazon –  capitano di corvetta Lord Teynham

          Venomous – capitano di fregata H.W. Falcon-Steward

          Wolverine –  capitano di corvetta P.W. Gretton

          Wrestler – tenente di vascello R.W.B. Lecon

          Vidette – capitano di corvetta E.N. Walmsley

          Westcott – capitano di fregata I.H. Bockett-Pugh

 

 

FORZA R

 

2 cisterne di squadra

          Brown Ranger – capitano D.B.C. Ralph

          Dingdale – capitano R.T. Duthie

 

1 rimorchiatore di squadra

          Salvonia – tenente di vascello G.M. Robinson

 

4 corvette

          Jonquil –  capitano di fregata della riserva R.E.H. Partington

          Geranium – capitano di corvetta della riserva A. Foxall

          Spirea  –  capitano di corvetta R.S. Miller

          Coltsfoot – tenente di vascello della riserva volontaria W.K. Rouse

 

 

UNITA’ AGGIUNTA PER L’OPERAZIONE “BERSERK”

 

1 nave portaerei

          Argus – capitano di vascello G.T. Philip

 

 

FORZA W

 

1 cisterna di squadra

          Abbeydale – capitano A. Edwards

 

2 corvette

          Burdock – capitano di corvetta della riserva E.H. Lynes

          Armeria  –  tenente di vascello della riserva M. Todd

 

 

FORZA Y

 

2 piroscafi

          Orari  –  capitano W.G. Harrison

          Troilus –  capitano Nelson Rice

 

2 cacciatorpediniere

          Matchless – capitano di corvetta J. Mowlam

          Badsworth – tenente di vascello G.T.S. Gray

 

 

GRUPPO UNITA’ DI SCORTA DI BASE A MALTA

 

4 dragamine (17a  Flottiglia)

          Speedy – capitano di corvetta A.E. Doran (nave comando del comandante il gruppo di Malta, capitano di fregata H.J.A.S. Jerome)

          Hebe – capitano di corvetta della riserva volontaria G. Mowatt

          Hyte – capitano di corvetta L.B. Miller

          Rye – tenente di vascello J.A. Pearson

 

7 motolance (3a  Flottiglia)

          ML 121 –  capitano di corvetta della riserva volontaria E.J. Strowlger

          ML 126

          ML 134

          ML 135

          ML 168

          ML 459

          ML 462

 

 

SOMMERGIBILI

 

9 sommergibili

          Safari – capitano di fregata B. Briant

          P 222 –  capitano di fregata A.J. Mackenzie

          Unbroken – tenente di vascello A.C.G. Mars

          Uproar – tenente di vascello J.B. Kershaw

          Ultimatum – tenente di vascello P.R. Harrison

          Unruffled – tenente di vascello J. Stevens

          Utmost – tenente di vascello A.W. Longridge

          United – tenente di vascello T.E. Barlow

          Una – tenente di vascello D.S.R. Martin

 

 

AVIAZIONE DELLA MARINA

 

Aerei imbarcati sulle navi portaerei

 

Victorious

          809° Squadron, con 10 caccia Fulmar II al comando del tenente di vascello pilota E.G. Savage

          884° Squadron, con 6 caccia Fulmar II al comando del tenente di vascello pilota G. Hallett

          885° Squadron, con 5 caccia Hurricane al comando del tenente di vascello pilota H.P. Carter

          817° Squadron, con 2 aerosiluranti Albacore al comando del tenente di vascello pilota R.N. Corbet-Milward

          832° Squadron, con 12 aerosiluranti Albacore al comando del capitano di corvetta pilota W.J. Lucas

 

Indomitable

          800° Squadron, con 12 caccia Hurricane al comando del capitano di corvetta J.M. Bruen

          806° Squadron, con 9 caccia Martlet al comando del tenente di vascello R.L. Johnston

          880° Squadron, con 10 caccia Hurricane al comando del capitano di corvetta F.E. Judd

          827° Squadron, con 12 aerosiluranti Albacore al comando del capitano di corvetta D.K. Buchnan-Dunlop

          831° Squadron, con 12 aerosiluranti Albacore al comando del capitano di corvetta A.G. Leatham

 

Eagle

          801° Squadron, con 12 caccia Hurricane, più 4 caccia Hurricane di riserva al comando del capitano di corvetta R. Brabner

          813° Squadron, con 4 caccia Hurricane al comando del tenente di vascello King-Joyce

 

Furious

          823° Squadron, con 4 aerosiluranti Albacore al comando del capitano di corvetta A.J.D. Harding

          42 caccia Spitfire V della R.A.F. destinati a Malta

 

Argus

          804° Squadron, con sei caccia Hurricane (riserve) al comando del capitano di vascello A.E. Marsh

 

 

Aerei di base a Malta

 

Aeroporto di Hal Far

          828° Squadron, con 27 aerosiluranti Albacore al comando del tenente di vascello G.M. Haynes

          830° Squadron, con 1 aerosilurante Swordfish al comando del capitano di vascello K.L. Ford

 

 

AVIAZIONE DELLA ROYAL AIR FORCE

 

Aerei di base sugli aeroporti di Malta efficienti

 

Caccia Spitfire V

          Squadron 126°

          Squadron 185°

          Squadron 229°

          Squadron 249°

          Flight 1435a

          con un totale di 100 velivoli

 

Caccia a lungo raggio Beaufigter

          Squadron 235°

          Squadron 248°

          Squadron 252°

          Squadron (notturno) 89°

          con un totale di 36 velivoli

 

Aerosiluranti Beaufort

          Squadron 39°

          Squadron 86°

          Squadron 217°

          con un totale di 30 velivoli

 

Bombardieri Wellington

          Squadron 38° (notturno)

          Squadron 40° (notturno)

          con un totale di 3 velivoli

 

Bombardieri Liberator (B.24)

          159° Squadron (notturno)

          con un totale di 2 velivoli

 

Bombardieri Baltimore

          55° Squadron

          con un totale di 2 velivoli

 

Ricognitori Baltimore, Wellington e fotoricognitori Spitfire

          69° Squadron

          con un totale di 16 velivoli, di cui 5 Baltimore, 5 Wellington VIII,  

          e 6 Spitfire

 

 

 

  1. FORZE DELL’ASSE

 

COMPOSIZIONE DELLE FORZE NAVALI ITALIANE

 

 

3DIVISIONE NAVALE

 

3 incrociatori pesanti (3a  Divisione)

          Gorizia – capitano di vascello Paolo Melodia, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della 3a  Divisione Navale

          Bolzano – capitano di vascello Mario Mezzadra

          Trieste – capitano di vascello Umberto Rouselle

 

7 cacciatorpediniere (11a  Squadriglia)

          Aviere –  capitano di vascello Gastone Minotti, comandante  della 11a  Squadriglia

          Geniere – capitano di fregata Marco Notarbartolo

          Camicia Nera – capitano di fregata Adriano Foscari

          Legionario – capitano di fregata Corrado Tagliamonte

          Ascari – capitano di fregata Teodorico Capone

          Corsaro (della 17a  Squadriglia) – capitano di fregata Lionello Sagamoso

          Grecale (della 10a  Squadriglia) – capitano di fregata Luigi Gasparini

 

 

7a  DIVISIONE NAVALE

 

3 incrociatori leggeri

          Eugenio di Savoia – capitano di vascello Franco Zannoni, nave di bandiera del comandante della 7a Divisione Navale, ammiraglio di divisione Alberto Da Zara

          Raimondo Montecuccoli – capitano di vascello Arturo Solari

          Muzio Attendolo – capitano di vascello Mario Schiavuta

 

4 cacciatorpediniere (10a  Squadriglia)

          Maestrale – capitano di vascello Riccardo Pontremoli, comandante della 10a  Squadriglia

          Vicenzo Gioberti – capitano di fregata Vittorio Prato

          Alfredo Oriani – capitano di fregata Paolo Pesci

          Fuciliere (della 13a  Squadriglia) – capitano di fregata Umberto Del Grande

 

 

UNITA’ ADIBITE A VARI COMPITI

 

1 cacciatorpediniere

          Malocello – capitano di fregata Pierfrancesco Tona

 

5 torpediniere

          Climene – capitano di corvetta Raffaele Cerqueti

          Centauro – capitano di corvetta Luigi Zerbi

          Enrico Cosenz – capitano di corvetta Emanuele Campagnoli

          Papa – tenente di vascello Giuseppe Sardelli

          Ardito – tenente di vascello Emanuele Consanego

 

2 pescherecci d’alto mare requisiti

          Eugenio – sottotenente di vascello Cesare Blanda

          Cefalo – tenente di vascello Corrado Dequal

 

 

MAS MOTOSILURANTI E MOTOSCAFI SILURANTI

 

6 motosiluranti (2a  Squadriglia della 1a  Flottiglia)

          MS 16 – capitano di corvetta Giorgio Manuti, comandante della 2Squadriglia

          MS 22 – sottotenente di vascello Franco Mezzadra

          MS 23 – sottotenente di vascello Giacomo Patrone

          MS 25 – tenente di vascello Franco Le Pera

          MS 26 – sottotenente di vascello Alberto Bencini

          MS 31 – tenente di vascello Antonio Calvani

 

15 Mas della 2a  Flottiglia di Trapani

 

2a  Squadriglia, a Messina a disposizione del 4° Gruppo Antisom

          Mas 546

          Mas 556 – tenente di vascello Luigi Sala

 

15a  Squadriglia, a Palermo a disposizione del 6° Gruppo Antisom

          Mas 543 – nocchiere di 2a  classe Leone Tirelli

          Mas 544

          Mas 548 – guardiamarina Miro Karis

          Mas 549 – tenente di vascello Andrea Giuffra

 

17a  Squadriglia, a Trapani

          Mas 557 – guardiamarina Giovanni Cafiero

          Mas 560 – nocchiere di 2a  classe Luigi Bolognesi

          Mas 563 – tenente di vascello Gino Maveri

          Mas 564 – nocchiere di 2a  classe Giuseppe Iofrate

 

18a  Squadriglia, a Messina e Lampedusa

          Mas 562 – guardiamarina Francesco Luciano

          Mas 556 – tenente di vascello Luigi Sala

 

20a  Squadriglia, a Pantelleria

          Mas 552 – sottotenente di vascello Rolando Perasso

          Mas 553 – capo di 2a  classe Luigi Riccardo

          Mas 554 – sottotenente di vascello Marco Calcagno

 

4 motoscafi siluranti della 10a  Flottiglia MAS

 

1a  Decimodist di Augusta

          MTSM 214 – sottotenente di vascello Ongarillo Ungarelli

          MTSM 218 – tenente di vascello Giuseppe Cosulich

          MTSM 222 – tenente di vascello Corrado Dequal

          MTSM 230 – tenente di vascello Corrado Garutti

 

 

SOMMERGIBILI

 

18 sommergibili

 

3° Grupson di Messina – capitano di fregata Ferdinando Calda

          Asteria – tenente di vascello Pasquale Beltrame

         

7° Grupson di Cagliari – capitano di fregata Alfredo Criscuolo

          Avorio -  tenente di vascello Mario Prigione

          Bronzo – tenente di vascello Cesare Buldrini

          Brin – tenente di vascello Luigi Andreotti

          Cobalto – tenente di vascello Raffaele  Amicarelli

          Dandolo – tenente di vascello Giovanni Febbraio

          Dagabur – tenente di vascello Renato Pecori

          Emo – tenente di vascello Giuseppe Franco

          Giada – tenente di vascello Gaspare Cavallina

          Granito – tenente di vascello Leo Sposito

          Otaria – tenente di vascello Alberto Gorini

          Uarsciek – tenente di vascello Gaetano Arezzo della Targia

          Velella – tenente di vascello Giovanni Fabbraro

          Volframio – tenente di vascello Giovanni Manunta

 

8° Grupsom di Trapani – capitano di fregata Pietro Scamacca

          Ascianghi – tenente di vascello Rodolfo Bombig

          Alagi – tenente di vascello Sergio Puccini

          Axum – tenente di vascello Renato Ferrini

          Dessie – tenente di vascello Renato Scandola

 

 

COMPOSIZIONE DELLE FORZE NAVALI GERMANICHE

 

5 motosiluranti della 3a  Flottiglia a Porto Empedocle

          S 30 – sottotenente di vascello Horst Weber, nave comando del comandante da 3a  Flottiglia tenente di vascello Friedrich Kemnade

          S 35 – sottotenente di vascello Klaus-Degenhard Schmidt

          S 36 – sottotenente di vascello Günther Brauns

          S 58 – sottotenente di vascello Siegfried Wuppermann

          S 59 – sottotenente di vascello Albert Müller

 

3 sommergibili della 29a  Flottiglia alla Spezia

          U 73 – tenente di vascello Helmut Rosembaum

          U 205 – tenente di vascello Franz-Georg Reschke

          U 331 – tenente di vascello Hans-Dietrich von Tiesenhausen


            AUSMM, Marina Trapani, “Azioni di mezzo agosto delle Motosiluranti e dei M.A.S.”, foglio n. 292 R.P, Scontri navali e operazioni di guerra, b. 61.

         [2] National Archives, ADM 199/1243 X/PO9808.

            [3] National Archives, ADM 199/1242 X/PO9808, “Operation Pedestal – Report of Proceedings”, Ashanti, 15 agosto 1942 .

[4] Archivio Ufficio Storico Esercito, Diario Cavallero, e Diario Comando Supremo, agosto 1942. Vedi anche Ugo Cavallero, Diario 1940-1943, Ciarrapico, Cassino, 1984, p. 459.

[5] Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, a cura di Renzo De Felice, Rizzoli, Milano, 1980, p.643.

[6] Sebbene si fossero entrambi salvati i due incrociatori non poterono ultimare i lavori di riparazione e rimasero per sempre fuori combattimento. L’Attendolo fu affondato a Napoli il 4 dicembre 1942 in un attacco di venti bombardieri B. 24 del 98° e 376° Gruppo della 12a Air Force statunitense; il Bolzano – spostato alla Spezia per le definitive riparazioni, in seguito agli avvenimenti dell’8 settembre 1943, seguiti all’armistizio dell’Italia – caduto in mani tedesche finì i suoi giorni in quel porto ligure, dopo che il 2 giugno 1944 era stato affondato dal mezzo d’assalto britannico “chariot” del tenente di vascello M.R. Causer. Un particolare che dobbiamo far conoscere è che il comandante del Bolzano, Mario Mezzadra, era il padre del tenente di vascello Franco Mezzadra che quello stesso mattino del 13 agosto, prima che il Bolzano venisse silurato, aveva a sua volta colpito ed affondato con la motosilurante MS 22 l’incrociatore Manchester.

[7] AUSA, GAM 8, b. 155.

[8] P. Smith, L’ultimo convoglio per Malta 1942, cit., p. 325.

[9] AUSMM, Relazione mensile di Supermarina, “Invio di un convoglio inglese a Malta da ponente. Operazioni per contrastarne il passaggio (9-15 agosto 1942)”, allegato al Diario di Supermarina dell’agosto 1942.

           [10] Il vice maresciallo dell’aria Park attribuì il mancato intervento delle corazzate italiane ai seguenti motivi, che noi condividiamo: “a) Presenza di notevole forza di aerosiluranti a Malta; b) La flotta nemica aveva riportato maggiori danni di quelli che noi pensavamo durante l’operazione “Vigorous”; c) Il nemico aveva deciso di mantenere ad ogni costo al sicuro queste unità allo scopo di impiegarle successivamente”.  

 

[11] AUSMM, “La guerra fatale all’Asse nel Mediterraneo (1940-43)”, Collezione V.

[12] AUSMM, Scambio notizie con Ammiragliato britannico, “Operazione Pedestal – Agosto 1942”.

[13] Supermarina espresse il seguente elogio: “Tutti gli equipaggi dei sommergibili, delle motosiluranti e dei MAS hanno dimostrato, nei violenti scontri col nemico, di possedere elevato grado di preparazione morale e materiale e il più encomiabile ardimento. Cfr. “Relazione sulle operazioni navali svoltesi nei bacini occidentale e centrale del Mediterraneo dal 10 al 14 agosto 1942-XX E.F.”, Scontri Navali e operazioni di guerra, busta 62.

[14] S.W. Roskill, The war at Sea 1939 – 1945, vol. II, p. 308.

[15] Stalin Churchill Roosevelt Attlee Truman, Carteggio 1941-1945,   Editori Riuniti, Roma, 1968, p. 72.

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