Giancarlo Castiglioni Posted October 24, 2017 Report Share Posted October 24, 2017 Dopo aver letto “Asse Pigliatutto” mi è venuta voglia di leggere un altro libro di Claudio Ceva, “La meccanizzazione dell’esercito fino al 1943”.Infatti mi sono reso conto che sapevo molto poco dei carri armati e mezzi dell’esercito ed era una lacuna da colmare; la storia militare è un tutto unico, l’esercito non si può trascurare, anche se sono più interessato alla parte navale e la correlazione è maggiore con l’aeronautica.Una ragione di più per leggere il libro era il coautore Andrea Curami, che avevo conosciuto una quindicina di anni fa quando insieme a Achille Rastelli tentavamo inutilmente di dare un appoggio tecnico al museo della scienza e della tecnica; avevo trovato Curami una persona squisita, disponibile, molto competente e appassionato di storia militare, specialmente dal punto di vista tecnico. Il libro è molto diverso da come me lo aspettavo, ma è molto interessante, non mi ha certo deluso.Credevo che una parte importante del libro fosse dedicata alle caratteristiche tecniche dei mezzi e che oltre ai carri armati fossero considerati anche autocarri e altri mezzi di trasporto; invece gli autori distinguono tra “meccanizzazione” che comprende i mezzi armati e “motorizzazione” che comprende tutti i mezzi di trasporto privi d’armamento, per cui questi ultimi sono considerati fuori tema e tralasciati.La parte propriamente tecnica è ridotta al minimo, limitata in pratica al calibro delle armi e al peso del mezzo, perché l’interesse degli autori è soprattutto sui rapporti tra esercito e industria.Il libro è ponderoso, due volumi di circa 600 pagine, di cui il primo tratta la storia della meccanizzazione dalla guerra di Libia al ’43, il secondo è dedicato alle fotografie e ai documenti, quasi tutti riportati integralmente.Insomma è un libro di documentazione storica, come logico visto che gli autori sono due professori universitari; malgrado questo scritto in modo scorrevole senza pedanterie.La domanda a cui il libro vuole rispondere è: come mai i mezzi corazzati italiani erano così inferiori a quelli delle altre nazioni.In marina si è riusciti a produrre mezzi che, pur con manchevolezze, erano di qualità paragonabile a quelli del nemico.In aviazione ci sono stati sprechi e fallimenti, ma nel corso della guerra adottando i motori tedeschi nei caccia si è riusciti a recuperare e produrre aerei di ottimo livello.L’esercito invece è partito con mezzi pessimi e pur migliorando nel corso della guerra è sempre rimasto a distanza abissale dalla qualità del nemico.Dopo aver letto il libro direi che la responsabilità va condivisa tra industria e generali.Prima di tutto è inconcepibile che prima della guerra non ci sia stato nessuno studio su quanto si faceva all’estero; eppure era facile documentarsi, i carri armati dei futuri nemici sfilavano nelle parate militari in occasione delle feste nazionali, bastava guardare e fotografarli.Ma i nostri generali non se ne preoccupavano, pensavano che le nostre esigenze fossero diverse e che noi dovevamo andare per la nostra strada; erano ipnotizzati dalla difesa dell’arco alpino, per cui servivano mezzi piccoli che potessero arrampicarsi sulle mulattiere in montagna.Da qui la produzione dei minuscoli CV33 armati solo con mitragliatrici, che non erano malissimo, ma semplicemente sbagliati come concezione; Poddighe sarà interessato a sapere che con il successivo CV35 si andò indietro, perché mentre nel precedente modello le corazze erano saldate, in questo erano imbullonate, con maggior peso e minore resistenza.Da allora in poi tutti i blindati italiani ebbero corazze imbullonate, probabilmente per maggior facilità di produzione da parte dell’industria. Protagonista indiscusso del libro è l’Ing. Agostino Rocca, amministratore delegato dell’Ansaldo dal ’35 al ’43, che riuscì a fare gli interessi della ditta per cui lavorava con grande abilità ed efficacia, senza preoccuparsi minimamente se gli interessi dell’Ansaldo non coincidevano con quelli del Regio Esercito. Era una situazione assurda perché l’Ansaldo era di proprietà dell’IRI e quindi dello Stato.Rocca riuscì a costituire un monopolio di fatto, per cui Ansaldo era l’unico progettista e fornitore di carri armati e non si effettuavano gare d’appalto con altri costruttori per scegliere il modello migliore.FIAT aveva costruito carri armato negli anni ’20 e poteva essere un pericoloso concorrente, ma fu neutralizzata affidandogli in esclusiva la fornitura dei motori.Ci furono diverse occasioni di raddrizzate la situazione, le più interessanti furono la proposta tedesca di produrre su licenza i panzer III e IV e quella di acquistare il carro cecoslovacco Skoda T21 di cui si poteva iniziare subito la produzione e che ai tedeschi non interessava . Rocca riuscì sempre a neutralizzare questi tentativi scrivendo che cambiare modello avrebbe interrotto la produzione, promettendo miglioramenti di qualità e sminuendo le qualità dei possibili competitori.Allo stesso modo riuscì a bloccare qualsiasi alternativa ai motori FIAT; erano disponibili motori di aviazione superati perché di potenza insufficiente per gli aerei moderni, ma l’idea di usarli come si fece negli Stati Uniti non fu neanche presa in considerazione.Gli autori fanno notare che il regime di monopolio è deleterio per la qualità; confrontano la situazione in Germania, Francia, USA, dove il modello da produrre era scelto tra diversi prototipi, e quella in Italia e Inghilterra, dove non si facevano gare d’appalto e la qualità fu nettamente inferiore.Considera una eccezione la situazione russa, dove la qualità era molto buona anche se tutte le fabbriche erano dello Stato, ma credo che esistessero diversi studi di progettazione e che quindi ci fosse competizione almeno tra progetti, se non tra prototipi.Concludendo dopo aver letto il libro devo dire che la mia valutazione sui generali italiani, pur rimanendo bassa, è nel complesso migliorata.Ce ne furono diversi che si diedero da fare e fecero quello che potevano per migliorare la situazione, anche se i risultati furono deludenti.Purtroppo nel periodo cruciale della cobelligeranza e dei primi mesi di guerra, l’unico in cui c’erano possibilità di ottenere qualche successo, nei posti chiave c’erano due dei generali peggiori, Badoglio Capo di Stato Maggiore Generale e Graziani Capo di Stato Maggiore Esercito.Naturalmente è responsabilità di Mussolini e del Re, accecati dall’indubbio successo che Badoglio e Graziani avevano avuto in Etiopia e in Libia, non aver capito che entrambi non erano all’altezza della posizione che occupavano.Si ingannarono anche Badoglio e Graziani, che tra l’altro si odiavano tra loro; soddisfatti del proprio successo, pensavano che tutto andasse bene così e non capirono che una guerra coloniale era molto diversa da una guerra tra grandi potenze. franHich, taomiwersta, Giuseppe Garufi and 1 other 4 Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
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