Francesco Mattesini Posted December 2, 2019 Report Share Posted December 2, 2019 (edited) Il giallo di Capo Bon - Seconda Parte Nel dopoguerra l’idea che nell’affondamento del Da Barbiano e del Di Giussano vi fosse stato uno spionaggio o un tradimento, trovando ampio credito in giornalisti e storici, e servì per alimentare sul tragico episodio di Capo Bon ipotesi assolutamente errate. Il responsabile del disastro era unicamente da ricercare nell’abilità degli operatori crittografici dell’organizzazione Ultra, che decifrando rapidamente e correttamente, grazie alla macchina elettromeccanica Bombe, gli ordini operativi trasmessi via radio a Marilibia, cifrati con il codice della macchine cifranti di Supermarina, permisero al Comando Aereo di Malta di predisporre le operazioni di ricerca aerea contro gli incrociatori italiani. La velocità di 30 nodi, mantenuta dai cacciatorpediniere della 4a Flottiglia da Algeri a Capo Bon, per uscire dal raggio di azione degli aerei della Sardegna, fu la carta vincente di quelle misure. L’inversione repentina di rotta del Da Barbiane si verificò proprio nel punto peggiore del Canale di Capo Bon, di 3 miglia tra la costa e gli sbarramenti minati; e il risultato dello scontro fu agevolato per le unità britanniche proprio dal fatto che, con tale manovra di controbordo, le navi italiane si avvicinarono al nemico a velocità più che doppia di quella che sarebbe stata necessaria ai cacciatorpediniere del comandante Stokes per raggiungere gli incrociatori. Inoltre, se l’ammiraglio Toscano avesse proseguito la rotta verso sud, il possibile incontro con i cacciatorpediniere britannici della 4a Flottiglia si sarebbe verificato lontano da Capo Bon, in un punto di mare più largo che avrebbe consentito, anche per la lontananza della costa, una maggiore visibilità per le vedette italiane e altresi permesso alla 4a Divisione Navale una più ampia possibilità di manovra. Non deve poi essere dimenticato che la velocità delle navi britanniche, da sfruttare in un eventuale inseguimento, era al momento inferiore a quella delle unità italiane, poiché per ridurre la visibilità dell’onda di prova ai suoi cacciatorpediniere, e portandosi sotto costa alla scopo di non farsi avvistare dalla vedette nemiche, il comnandante Stokes aveva ordinato alle sue unità di ridurla a 20 nodi, mentre le navi italiane marciavano a 24 nodi. Motivo per il cui, se improvvisamente continuando con rotta sud, gli incrociatori italiani avessero aumentato la loro maggiore velocità è da presumere che i cacciatorpediniere britannici sarebbero rimasti indietro, anche in considerazione dell’ordine di non impegnarsi. Servivano ad Alessandria, per poter scortare le corazzate e gli incrociatori della Mediterranean Fleet, e dovevano arrivarvi senza un graffio. Infine, occorre spiegare che era molto più difficile colpire un bersaglio con lancio effettuato contro unità in allontanamento a maggiore velocità di quella del nemico, perché la velocità dei siluri britannici era a quell’epoca all’incirca uguale a quella che potevano raggiungere alla massima forza gli incrociatori italiani. Conseguentemente un attacco portato dai cacciatorpediniere da poppa, difficilmente avrebbe consentito di colpire i bersagli, i quali aumentando di velocità al primo allarme (e l’allarme vi era stato), avevano la possibilità di schivare i siluri e di portarsi fuori dalla loro traiettoria prima della fine della loro autonomia. Alla luce delle conoscenze attuali delle relazioni dei comandanti dei cacciatorpediniere britannuici, non risulta che in quell’occasione l’avvistamento da parte delle siluranti del comandante Stokes sia stato effettuato con l’ausilio del radar; d’altro conto le apparecchiature del tempo avevano una portata di scoperta che si aggirava sulle 6 miglia. Dalle relazioni risulta che il Sikh e il Legion usarono nel corso dell’azione il loro appartato tipo 283 R/FF come ausilio all’avvistamento ottico e per il controllo del tiro.[1] E necessario ripetere, per sfatare ogni dubbio che ancora potesse sussistere, che l’avvistamento delle unità dell’ammiraglio Toscano si verificò otticamente, alla distanza di circa 3 miglia. L’avvicinamento ai bersagli, per un certo tempo non più in vista, fu invece agevolato dai segnali con il lampeggiatore scambiati con il Da Barbiano dalla torpediniera Cigno, che avvertì la nave ammiraglia della presenza dell’aereo di Malta che aveva sorvolato la Divisione. Per tentare di comprendere quali siano stati gli ordini verbali impartiti da Supermarina all’ammiraglio Toscano dopo il fallimento della prima missione, che aveva tutti gli elementi per arrivare a compimento, esiste nella cartella Promemoria dell’Ammiraglio Sansonetti, il sunto di una telefonata che il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina fece al Comandante della 4a Divisione Navale il mattino del 10 dicembre, ordinando: “In una prossima occasione prendi una decisione e poi informane Supermarina. Questo per impedire che un disservizio R.T. faccia perdere del tempo prezioso. E’ assolutamente necessario passare” [il neretto è nostro].[2] Sull’inversione di rotta della 4a Divisione Navale, alle ore 03.20 del 13 dicembre 1941, sono stati espressi giudizi contrastanti, ma in gran parte polemici nei riguardi dell’ammiraglio Toscano. Storici e addetti ai lavori si sono chiesti perché quell’alto ufficiale, sapendo che le sue navi erano state sorvolate dal “Wellington VIII di Malta, abbia atteso ben trentacinque minuti per decidere di invertire la rotta. In questo frattempo non vi era da parte sua una qualche intenzione di depistare la sorveglianza del velivolo britannico, dal momento che le sue tre navi continuarono a dirigere verso sud con rotta diretta. Pertanto sono state fatte varie ipotesi, la più accreditata delle quali, anche perché esposta a livello ufficiale dall’ammiraglio Aldo Cocchia era stata la seguente:[3] L’ipotesi più probabile è che l’ammiraglio Toscano abbia deciso di tornare indietro perché convinto, in seguito all’avvistamento aereo, che se avesse proseguito sarebbe stato duramente e pericolosamente attaccato dall’aviazione di Malta, ma in tal caso non si comprende perché l’inversione di rotta sia stata ordinata alle 03.20 e non subito dopo aver notato che un velivolo avversario era nel cielo delle unità italiane, e cioè poco dopo le 02.45. Vi sono quattro motivi che rendono assolutamente non giustificabile ed estremamente rischiosa una eventuale decisione dell’ammiraglio Toscano di puntare verso nord per rientrare a Palermo Il primo motivo era di contenuto tecnico, perché determinato dalla presenza di estesi campi minati italiani (sbarramenti S 11) che si trovavano ad oriente di Capo Bon, ad appena un miglio di distanza dalla rotta seguita dagli incrociatori, che pertanto non potevano effettuare un’accostata troppo ampia per non entrare nella zona pericolosa. Pertanto le norme di sicurezza imponevano all’ammiraglio Toscano di ripercorrere nella rotta verso nord il canale di 3 miglia di ampiezza esistente lungo la costa orientale della Tunisia, fino a raggiungere le acque libere oltre Capo Bon. Il secondo motivo era di natura operativa, perché essendo la 4a Divisione Navale in ritardo di un’ora sulla tabella di marcia, ogni altro ritardo sulla rotta per Tripoli sarebbe risultato in contrasto con i dettagli di navigazione fissati da Supermarina, che prevedevano, a iniziare dall’alba, turni di protezione aerea affidata ai velivoli della Tripolitania, e un appuntamento con due torpediniere, salpate dal porto libico per rafforzare la scorta alla 4a Divisione Navale, che era stato fissato per le ore 09.00 del 13 dicembre. Su questo appuntamento, verso mezzanotte Marina Tripoli aveva trasmesso al Da Barbiano il seguente avvertimento: “Alle 090013 incontrerete nave CALLIOPE et nave CASTORE che vi scorteranno fino a Traiettoria [Tripoli] alt Su punto A vi sarà dragamine pilota dalle 130013 in poi alt 235012”. Supermarina intercettò la comunicazione alle 01.03, e si deve pertanto desumere che il Da Barbiano abbia ricevuto quella comunicazione “Urgente” all’incirca alla stessa ora.Quindi l’ammiraglio Toscano sapeva che Supermarina lo spingeva ad andare avanti senza indugio. Il terzo motivo era di natura urgente ed anche di indole morale, perché costituito dall’ordine tassativo impartito al Comandante della 4a Divisione Navale di fare ogni sforzo per portare urgentemente la benzina a Tripoli. Dal suo arrivo a destinazione era infatti legata la possibilità di effettuare la complessa operazione M.41 di rifornimento della Libia, per la quale erano anche impegnati, oltre a quasi tutte le unità e reparti della flotta e dell’Aeronautica disponibili, anche aerei, sommergibili e motosiluranti tedesche; e ciò obbligò l’ammiraglio Toscano a non invertire la rotta di propria iniziativa, a meno che un grave e giustificato pericolo non lo avesse indotto a disporre altrimenti. Un ordine in tal senso non poteva assolutamente essere giustificato per la presenza di un aereo nemico che stava sorvegliando le navi, anche se esisteva il sospetto di poter essere attaccato, in conseguenza dell’avvistamento, da velivoli offensivi provenienti da Malta, nelle restanti ore di oscurità. Era ritenuto improbabile un intervento navale proveniente dalla Valletta, poiché la velocità degli incrociatori italiani non avrebbe permesso un intercettazione diurna (sotto Kerhennah come proposta dal vive ammiraglio Ford), anche se le unità delle Forze B e K, che per la ricognizione risultavano in porto, fossero salpate subito, nafta permettendo, dopo l’avvistamento del Wellington VIII del 69° Squadron, alle ore 02.45 del 12 dicembre. Infine, per il quarto motivo, soltanto Supermarina, sulla base delle informazioni sul nemico in suo possesso, aveva la competenza di un interruzione della missione, poiché quell’Ente operativo era l’unico in quel momento in grado di giudicare se esisteva una minaccia convincente per poter ordinare alle navi il rientro dalla missione. Era da considerare a bordo del Da Barbiano, e si ritiene lo abbiano fatto, che i cacciatorpediniere britannici potevano essere nei pressi di Capo Bon alle ore 03.00, se avessero navigato a 30 nodi. Pertanto tornare indietro, con il ritardo accumulato di un’ora, significava per gli incrociatori italiani di andare incontro a quelle siluranti. Capo Bon era stato scapolato dalla 4a Divisione Navale da circa venticinque minuti, ed era naturale che ne occorressero altrettanti per tornare indietro e riguadagnare il mare aperto, allontanandosi dagli sbarramenti minati S.11 che iniziavano proprio a 3 miglia a nord e ad est di quel promontorio. Una simile eventualità ritengo che venisse considerata dall’ammiraglio Toscano e dagli ufficiali del suo stato maggiore; ed è nostra convinzione che un inversione di rotta fosse stata esclusa. Essa avrebbe avuto il risultato di andare incontro ai cacciatorpediniere britannici (ossia all’unica vera minaccia in quel momento conosciuta), che potevano facilmente tagliare la rotta della ritirata agli incrociatori se fossero stati guidati proprio dall’aereo di Malta che li aveva avvistati. Dobbiamo però dire, ed è bene ripeterlo, che secondo la relazione del capitano di fregata Stokes, comandante della 4a Flottiglia cacciatorpediniere, i suoi ordini prescrivevano di raggiungere Malta ad alta velocità senza effettuare cambiamenti di rotta; e ciò significava che una ricerca degli incrociatori verso la Sicilia o nel Canale di Sicilia non sarebbe stata effettuata, anche perché non gli era stato impartito al riguardo alcun ordine da parte di un comando britannico. L’interesse primario era che i cacciatorpediniere raggiungessero Malta, da dove poi, una volta riforniti, avrebbero partecipato con le Forze B e K ad una puntata in Egeo contro i convogli italiani dell’operazione M.41, e successivamente sarebbero partiti per Alesandria per rinforzare la Mediterranean Fleet.[4] Occorre inoltre considerare che il segnale d’avvistamento trasmesso dal ricognitore britannico alle 03.01, ed arrivato a Malta intorno alle 03.15, non avrebbe significato di poter concedere all’aviazione dell’isola la possibilità di poter attaccare subito le navi della 4a Divisione Navale. Infatti, a meno che i britannici si trovassero già in volo e diretti verso l’obiettivo, e non lo era, per preparare il decollo delle formazioni offensive, ed inviarle in volo sotto l’intralcio determinato dagli attacchi aerei pianificati per qualla notte dall’Aeronautica della Sicilia per poi raggiungere il piuttosto lontano obiettivo, sarebbe accorso del tempo, e nel frattempo le navi italiane avrebbero raggiunto la zona di mare libera dalle mine, nella quale manovrare ad alta velocità. Tuttavia, la minaccia aerea esisteva realmente. Infatti, la formazione di sette aerosiluranti Swordfish dell’830° Squadron e di tre Albacore dell’828° Squadron decollata da Hal Far per ricercare le navi italiane in una zona di mare tra Capo Bon e 30 miglia a sud di Pantelleria, effettuò la missione quando gli incrociatori erano già affondati. E di quei velivoli, che effettivamente avrebbero potuto attaccare nell’oscurita il Da Barbiano e il Di Giussano, uno solo, alle 04.27, diresse contro la superstite torpediniera Cigno, ma senza colpirla con il suo siluro.[5] *** In definitiva, sulla determinazione di Supermarina di mandare avanti le navi influiva, in modo determinate, l’impegno preso con il Comando Supremo, che non avrebbe tollerato un nuovo ritardo nel trasporto della benzina avio, dipendendo dall’arrivo del carburante le possibilità di poter scortare gli importanti convoglio dell’operazione M.41, con l’aviazione del Settore Oveast della Libia. Pertanto, questa volta Supermarina non avrebbe assolutamente giustificato una nuova inversione di rotta ordinata autonomamente dal Comando della 4a Divisione Navale su sempplici indizzi di una minaccia nemica che Roma aveva comunque preso in seria considerazione, prevedendo un intervento dell’aviazione di Malta, come in effetti avvenne, ma anche della formazione navale, che invece restò in porto alla Valletta per risparmiare la nafta, consumata in una serie di scorrerie nel Mediterraneo centrale.[6] Ciò è ampiamente dimostrato dallo scambio di messaggi e comunicazioni telefoniche, che si svolse fra i vari Alti Comandi nella Capitale italiana. Infatti, alle 03.30 del 13 dicembre Supermarina telefonò a Superaereo , informandolo:[7] Alle ore 03.00 aereo nemico ha avvistato nostra Divisione incrociatori, lanciando segnale di scoperta: “due incrociatori nemici a 10 miglia per 350° da Capo Bon – rotta 170 gradi velocità 22”. Richedesi ulteriore azione notturna su Malta per contrastare possibili interventi velivoli vicini. CAT [Corpo Aereo Tedesco] Sicilia informato situazione da Marina Messina.[8] Ricevuta questa allarmante segnalazione, Superaereo telefonò subito (ore 03.40) al Comando dell’Aeronautica della Sicilia (generale Silvio Scaroni), per chiedere l’attuazione di nuove azioni offensive sugli obiettivi aeronavali di Malta, da svolgersi “subordinatamente” alla disponibilità di velivoli da bombardamento ed alla “possibilità” di effettuare le incursioni entro le ore notturne. Oltre a questa misura di carattere offensivo, l’organo operativo della Regia Aeronautica ne prese un’altra dal contenuto difensivo, ordinando al Comando Settore Ovest della 5a Squadra Aerea di anticipare la scorta aerea agli incroiatori Da Barbiano e Di Giussano, già prevista per le prime luci del giorno con velivoli da caccia Cr.42 del 3° e 23° Gruppo.[9] Nel frattempo, alle 04.35, quando ancora non era conosciuta la tragica sorte toccata ai due incrociatori della 4a Divisione Navale, Supermarina aveva telefonato a Supertaereo, comunicando:[10] Probabile uscita da Malta tra le ore 05.00 e le ore 07.00 degli incrociatori ivi alla fonda con rotta sud-ovest per incontrare alle ore 11.00 nel punto 34 gradi nord 12 gradi 20 primi est [circa 70 migliaa nord di Tripoli] nostra Divisione avvistata nella notte nei pressi di Capo Bon, chiedesi effettuazione ricognizione offensiva con aerosiluranti sulla rotta degli incrociatori nemici. Cinque minuti più tardi la medesima urgente richiesta a Superaereo fu sollecitata da Supermarina, e contemporaneamente l’ammiraglio Sansonetti si mise personalmente in contatto con il vicino Comando della Marina Germanica in Italia, situato presso Supermarina, facendogli conoscere le medesime previsioni sull’uscita della Forze navali britanniche dalla Valletta esposte a Superaereo, e chiedendo che ne fosse subito informato il Comando del II Fliegerkorps per disporre un intervento aereo “nella zona a sud-ovest di Malta sulla rotta degli incrociatori nemici”.[11] La risposta di Superaereo arrivò a Supermarina alle ore 05.00 nella seguente forma, riferita dal tenente colonnello Porta al comandante Monfrini: “In seguito alla vostra richiesta è stata disposta alle prime luci dell’alba una ricognizione a vista sulla Valletta e in seguito a questa la partenza della ricognizione armata con aerosiluranti”. L’ordine era stato impartito da Superaereo al Comando dell’Aeronautica Sicilia con il messaggio in chiaro per telescrivente n. 1B/20753.[12] Come si vede dallo scambio delle comunicazioni e dalla diramazione degli ordini operativo, Supermarina riteneva più probabile nei confronti della 4a Divisione Navale la minaccia degli incrociatori di Malta. Fu proprio per evitare alle sue unità navali di essere intercettate da quelle nemiche provenienti dalla Valletta, che alle 04.50 Supermarina trasmise al già affondato Da Barbiano un messaggio (chiedendo di dare il ricevuto che non poteva realizzarsi) in cui si ordinava: “SUPERMARINA 77413 – Appena possibile aumentate velocità a nodi 25 et dirigete punto complesso (alt) Marilibia informato – 043513”.[13] In effetti questo cifrato, trasmesso da Supermarina, fu seguito alle 04.55 da quello inviato a Marilibia, in cui si avvertiva: “SUPERMARINA 95724 – Destinatario Marilibia et per conoscenza Marina Messina (alt) Gruppo BARBIANO at ore 5 dirige per punto complesso velocità 25 (alt) Informate torpediniere – 043523”. Questo messaggio fu decrittato dall’Ultra che inoltre riportò nel suo messaggio immediato ZIP/ZTP I/3206, che il punto complesso si trovava a 120 miglia da Tripoli.Ricordiamo che le torpediniere erano il Calliope e il Cantore, le quali secondo quanto segnalato da Marina Tripoli al Da Barbiano con il messaggio n. 09012 delle 23.50 del 12 dicembre, erano state incaricate di congiungersi agli incrociatori alle ore 09.00 del 13 a sud delle Isole Kerkennah. Ciò avrebbe permesso di costituire intorno alle unità della 4a Divisione Navale, in pieno giorno e con il sostegno dell’Aeronautica del Settore Ovest della 5a Squadra, un complesso di tre siluranti, per cercare di frointeggiare nel modo migliore una qualsiasi minaccia potesse presentarsi, di superficie (sempre che il nemico non avedsse disposto di forze superiori), subacquea e aerea. Purtroppo, quando alle 06.00 arrivò dalla torpediniera Cigno la notizia dell’affondamento degli incrociatori dell’ammiraglio Toscano, che gettava nella costernazione il personale di Supermarina e dell’intera Marina, perché la notizia non tardò a diffondersi, non restò che richiamare alla base le torpediniere Calliope e Cantore, che invertitono la rotta per Tripoli alle 06.50, e di avvertire Superaereo di sospendere le richieste azioni aeree di copertura, informandone il II Fliegerkorps. *** Riepilogando, dall’ordine trasmesso alle 04.50 del 13 agosto al Comando della 4a Divisione Navale, di aumentare la velocità a 25 nodi, si ha la conferma che Supermarina, oltre a non avere alcun motivo di interrompere la missione, riteneva di poter facilmente eludere l’eventuale tentativo di intercettazione da parte delle Forze B e K. Nello stesso tempo riteneva di non dover temere per le sue navi a causa dei cacciatorpediniere avvistati nel pomeriggio del giorno avanti all’altezza di Bougie, i quali, secondo i calcoli più pessimistici, non avrebbero potuto raggiungere gli incrociatori dell’ammiraglio Toscano prima dell’alba, anche se quelle siluranti avessero sostenuto una navigazione superiore ai 28 nodi. E a quel momento, con la luce del giorno, gli incrociatori, con i loro cannoni da 152 mm, e l’appoggio delle tre torpediniere, erano in grado di far fallire l’attacco nemico. Purtroppo quello che l’organo operativo dell’Alto Comando Navale non aveva evidentemente messo sul conto delle ipotesi era che la 4a Divisione Navale si trovava in ritardo di un’ora; ritardo accumumulato nel lungo giro effettuato uintorno alle Isole Egadi, per tenersi il più lontano possibile dalla zona di vigilanza degli aerei britannici di base a Malta. Questo ritardo increscioso, non certamente imputabile a Supermarina perché non segnalato dall’ammiraglio Toscano per ovvi motivi di mantenimento di un rigoroso silenzio radio, portò a far ritenere che gli incrociatori stessero procedendo secondo la tabella di marcia fissata dall’ordine di operazione. Pertanto, sempre considerando la velocità di spostamento dei cacciatorpediniere quella ragionevolmente più elevata, Supermarina non aveva alcun elemento per cambiare l’errato convincimento che da quelle unità nemiche non vi fosse da attendersi una minaccia nel corso della notte. Quindi, una volta sostenuto fortemente che nella seconda missione una eventuale inversione di rotta, effettuata di propria iniziativa dall’ammiraglio Toscano non sarebbe stata tollerata da Supermarina, la cui contrarietà per la precedente fallita operazione era stata personalmente espressa al Comandante della 4a Divisione dal Sottocapo di Stato Maggiore, è ovvio che nell’ordine dato alle unità di tornare verso nord debba aver influito qualcosa di particolarmente importante. Ciò anche perché la manovra del Da Barbiano, dando alle navi l’ordine di tornare di controbordo verso nord, fu talmente improvvisa, vera manovra di emergenza, da non concedere al Di Giussano e al Circe il tempo necessario per mantenere la formazione normale di marcia più favorevole, con la torpediniera in testa, quale nave avanzata di vigilanza. Eviddentemente si era verificato qualcosa di molto allarmante, una minaccia che andava affrontata con la massima energia, oppure era stata percepita una presenza di unità navali che andava controllata senza indugio. E’ lecito chiedersi se sulla nave ammiraglia – già allertata da Supermarina con la errata comunicazione di poter trovare sulla sua rotta piroscafi nemici, che l’Alto Comando Navale riteneva fossero usciti da Malta – avessero ben compreso il significato di quella trasmissione. Riteniamo di no. Anche perché, occorre ricordarlo, il Da Barbiano non era riuscito a stabilire correttamente se effettivamente si trattasse di piroscafi britannici, oppure francesi; e nella stessa difficoltà di interpretazione venne a trovarsi, come abbiamo visto, il Di Giussano, e anche il Circe.. Nella relazione dell’aspirante sottotenente commissario Antonio Di Francesco, che si trovava al posto di combattimento Ufficiali alla cifra, in plancia comando del Da Barbiano, è riferito: “Verso le 22 è arrivato da Supermarina un cifrato che solo in parte e a stento è stato decifrato, nel quale veniva segnalato un probabile nostro incontro verso le ore 1 con piroscafi nazionali (aut francesi). Seguivano nominativi di cui ricordo solo Malta”.[14] Invece, secondo quanto scrisse nel suo rapporto di missione il capitano di corvetta Riccardi, il messaggio trasmesso per ultracorte dal Da Barbiano fu ricevuto dalla torpediniera Cigno, alle 01.30 del 13, nella seguente forma: “Probabile incontro con piroscafi nemici usciti da Malta di nazionalità francese sulla rotta”.[15] In realtà come fu poi accertato il 6 gennaio 1942, in seguito a scambio di telefonate tra l’ammiraglio Bruno Brivonesi, Sottocapo di Stato Maggiore Aggiunto della Marina, con l’ammiraglio Enrico Accorretti, Capo di Stato Maggiore dell’ammiraglio Iachino, il testo del messaggio indecifrabile, decifrato parzialmente era il seguente:[16] SUPERMARINA – 88071 …………… piroscafi usciti da Malta (alt) Nessun piroscafo nazionale aut francesi su vostra rotta. Conseguentemente, si comprende il modo erroneo con cui il Comando della 4a Divisione Navale aveva interpretato la comunicazione di Supermarina, ossia che le navi eventualmente incontrate lungo la rotta, essendo nemiche, potevano essere attaccate, mentre invece Supermarina, conoscendo la situazione del carico pericoloso a bordo degli incrociatori, non aveva riportato di attaccare quei piroscafi. La successiva manovra di rapida inversione della rotta per controbordo ordinata dal Da Barbiano, deve essere considerata una conseguenza di quella errata interpretazione. Ciò è abbastanza desumibile, scorrendo ancora nella relazione dell’aspirante sottotenente commissario Di Francesco, il quale sostenne di aver sentito verso le 01.00 del 13 dicembre, il comandante del Da Barbiano “chiamare il comandante [Aldo] Cavallini, 1° Direttore del Tiro ed avvertirlo che la plancia ammiraglio segnalava un nostro incontro con piroscafi (unita?) nemici provenienti da Malta durante le ore notturne, all’altezza di Capo Bon. S’informava quindi con che proiettili fossero caricati in torre, ed in seguito dava opportune disposizioni in modo che la benzina portata a poppa fosse gettata in mare appena il convoglio fosse stato avvistato, in modo di poter sparare con le torri di poppa”.[17] Questa testimonianza è molto importante, forse fondamentale per far comprendere il clima di eccitazione bellica esistente sul Da Barbiano al momento dell’improvvisa deviazione di rotta, che come è scritto nella relazione del comandante Stokes, girando di 16 punti (160°) stava avvicinando le navi italiane ai suoi cacciatorpediniere. Inoltre, dall’ultima affermazione del Di Francesco si deduce che il capitano di vascello Rodocanacchi si apprestasse ad attaccare i segnalati piroscafi nemici, sparando, se necessario, anche con le torri di poppa dell’incrociatore, dopo essersi liberato del carico di benzina. Osservando che una simile iniziativa offensiva era assolutamente contraria allo spirito della missione, che imponeva di portare a Tripoli ogni goccia di carburante destinato agli aerei della 5a Squadra, non sappiamo se l’ordine di approntare le artiglierie era partito direttamente dalla plancia ammiraglio, come è probabile, oppure fosse stata una semplice iniziativa del comandante del Da Barbiano. Ricordando che lo stesso comandante della torpediniera Cigno fece chiaramente riferimento, nel suo rapporto, a “quei piroscafi che si potevano attaccare”, si rafforzò la convinzione nel supporre che la comunicazione di Supermarina, pur essendo arrivata in maniera alquanto confusa, fu anche interpretata come un chiaro ordine di attacco, a cui tutti è da supporre anelavano. E’ anche probabile che il Comando della 4a Divisione Navale si fosse reso conto della presenza dei cacciatorpediniere britannici che si avvicinavano dai quartieri poppieri, con il Sikh che con segnali luminosi trasmetteva alle altre unità gli ordini di combattimento, e quindi dell’esistenza di una minaccia che andava affrontata senza indugio e con la massima determinazione. Sia che si trattasse di attaccare i lenti e poco armati piroscafi, che poteva essere anche scortati, sia di fronteggiare l’insidia di veloci unità siluranti, la manovra d’inversione per controbordo era pienamente motivata. Perché consentiva agli incrociatori di portare in punteria i cannoni delle torri principali da 152 mm prodiere, di disporre di una maggiore possibilità di manovra nel fronteggiare il nemico, e nello stesso tempo permetteva di non presentare alle artiglierie avversarie la poppa in cui erano accatastati i pericolosissimi fusti di benzina, che potevano incendiarsi se le unità avessero risposto al fuoco nemico con i 152 mm delle torri prodiere. A questo punto ci appare convincente quanto scritto dal figlio del comandante della 4a Divisione Navale, Alfino Toscano, il quale afferma in un suo libro che sul Da Barbiano fu evidentemente percepita una minaccia incombente proveniente dai quartieri poppieri, verso la costa. Pertanto, egli sostiene, occorreva anzitutto “mettere la nave nelle migliori condizioni di offesa, e cioè presentare la parte prodiera al nemico; e nel farlo, adottando la tanto contestata rotta nord-est che indubbiamente portò gli incrociatori ad un rapido avvicinamento ai cacciatorpediniere nemici, non vi fu, con quella manovra di emergenza, “il tempo materiale per dare avviso alle altre navi che seguivano l’ammiraglia”.[18] L’ammiraglio Franco Gay ha scritto che “Sul DA BARBIANO l’avvistamento del nemico avvenne quasi subito l’accostata, ad opera del 3° Direttore del Tiro, sulla controplancia”, e che le sagome delle siluranti nemiche, intravviste sotto costa e sotto il cono di luce del faro di Capo Bon, furono subito dopo “avvistate dall’Ammiraglio e dal suo Capo di S.M., Capitano di vascello Giordano in plancia ammiraglio”.[19] Aggiunge Alfino Toscano, che il tempestivo ordine subito impartito al Di Giussano di aumentare l’andatura (“Vela 30”), e di portare in punteria le artiglierie prodiere pronte a far fuoco, difficilmente potevano essere dati “con la tempestività con cui furono impartiti” se gli uomini del Comando della 4a Divisione Navale non fossero “già stati sull’avviso”.[20] Il tenente di vascello Enzo Nicolini, che era proprio il Terzo Direttore del Tiro sul Da Barbiano, ha sostenuto di essere rimasto molto perplessi sul fatto che pur essendo pronti a far fuoco con le torri 1 e 2, l’incrociatore non cominciò a sparare; probabilmente perché “nella confusa situazione cinematica determinatasi nel corso dell’inversione” di rotta, il comandante Rodocanacchi ebbe forse dubbi “sulla posizione” della torpediniera “CIGNO rispetto al piano di tiro”.[21] E' invece possibile, secondo noi, che il comandante del Da Barbiano, pensando di aver di fronte un bersaglio facile e lento, come quello rappresentato da piroscafi, abbia volutamente atteso ad aprire il fuoco, per avere la possibilità di colpire con precisione fin dalle prime salve su navi bebne identificate. Fu soltanto dopo che apparvero nel cielo i bengala lanciati dai britannici per illuminare i bersagli e fu contemporaneamente notato che le sagome inizialmente ritenute piroscafi erano in realtà quelle di cacciatorpediniere, che fu compreso il pericolo. Ma era ormai troppo tardi. Gli incrociatori erano andati in bocca al nemico, che non si aspettava un simile regalo. E la reazione dell’incrociatore nave ammiraglia della 4a Divisione Navale fu insignificante. Infatti, secondo un altro superstite del De Barbiano, soltanto il pezzo “da centro sito al centro tra la plancia siluri” [cannone da 100 mm contraereo], avrebbe “subito sparato … nel tentativo di abbattere il primo e secondo bengala lanciato dagli inglesi”.[22] Infine, riguardo alla manovra molto larga effettuata dal Di Giussano, al momento dell’improvvisa inversione di rotta ordinata dalla nave ammiraglia, un altro naufrago ha fatto conoscere che, nell’eccitazione del momento, “il timoniere si prese 10 gradi di troppo”. Mentre l’incrociatore manovrava per rimettersi in rotta sulla scia del Da Barbiano fu udito il grido “ombre indistinte a sinistra”. Poi scoppiò “l’inferno”.[23] Conclusioni L’inversione di rotta, effettuata repentinamente dal Da Barbiano, seguita dall’ordine trasmesso alle unità dipendenti di passare da 24 nodi a una velocità del tutto inusitata di 30 nodi e con le artiglierie prodiere e i lanciasiluri puntati verso la costa pronti ad agire, sono elementi probanti che il Comando della 4a Divisione Navale manovrò all’ultimo istante per fronteggiare una improvvisa emergenza, determinata dalla convinzione della presenza del presunto convoglio segnalato da Supermarina oppure di un insidia letale.[24] Quest’ultima si presentò appena un minuto e mezzo dopo l’inizio dell’accostata, quando i primi siluri dei cacciatorpediniere Sikh e Legion, chiaramente individuati soltanto all’ultimo istante, raggiunsero il Da Barbiano e il Di Giussano con esiti devastanti. E’ assolutamente vero, come ha scritti l’ammiraglio Cocchia, che con tale manovra di controbordo gli incrociatori italiani provocarono “un rapido avvicinamento con il reparto avversario”.[25] Ma dobbiamo ribadire che, nelle condizioni contingenti in cui si vennero a trovare le unità dell’ammiraglio Toscano, con la presenza verso terra di un presunto convoglio britannico salpato da Malta che non avrebbe dovuto sfuggire alla distruzione, una volta effettuata quella era anche l’unica manovra possibile per poter fronteggiare adeguatamente, nello stretto non minato, l’emergenza che si presentava da nord-ovest. Invece, occorre doverosamente ricordare, per una corretta esposizione dei fatti, che la causa principale del disastro di Capo Bon rientrava nel ritardo di un’ora accumulato dalla 4a Divisione Navale per raggiungere quel promontorio della Tunisia. Ciò avvenne senza che Supermarina ne stata messa fosse al corrente per il vigente silenzio radio, e il ritardo era dovuto, come sappiamo, al lungo giro effettuato dalle navi intorno alle Isole Egadi. Per stabilire la tabella di marcia fissata dall’ordine di operazione di Supermarina, tale ritardo doveva essere annullato dalla 4a Divisione Navale abbastanza facilmente, o al limite ampiamente ridotto prima di raggiungere la sponda africana, con un semplice aumento della velocità di un paio di nodi, come rilevato nel 1948 da una Commissione d’Inchiesta Speciale (C.I.S.) della Marina. Il perché ciò non sia stato fatto costituisce forse il vero giallo di Capo Bon, perché è facilmente arguibile che, senza quel deprecabile contrattempo, a suo tempo rilevato dalla C.I.S., i cacciatorpediniere del capitano di fregata Stokes, pur mantenendo la loro velocità di 30 nodi non avrebbero mai potuto raggiungere le navi italiane. E ciò a dispetto delle pur precise informazioni crittografiche Ultra ricevute a Malta dall’Ammiragliato britannico. Dal rapporto del comandante del Sikh, risulta che gli era stata segnalata da Malta la presenza di tre incrociatori italiani diretti a sud ma senza alcun ordine di ricercarli e attaccarli.[26] E' questa è una novità in assoluto, perché si è sempre ritenuto il contrario, ossia che alla 4a Flottiglia Cacciatorpediniere fosse stato ordinato di aumentare la velocità a 30 nodi per raggiungere gli incrociatori italiani e attaccarli. Tuttavia, come avvistò le navi nemiche sulla sua stessa rotta, il comandante Stokes, trovandosi a distanza ravvicinata del nemico, non si lasciò sfuggire l’occasione di attaccare, proprio come avrebbe voluto fare l’ammiraglio Toscano con il presunto convoglio, sebbene anche i suoi ordini scritti non lo prevedessero. E’ da ritenere, per le dichiarazioni dei superstiti, che la segnalazione di un convoglio partito da Malta (inesistente) diretto per passare da Capo Bon, fu interpretata da Toscano e dagli altri comandanti della sua formazione come un ordine di attacco, che aveva contagiato tutti. Riepilogando, il comandante della 4a Squadriglia Cacciatorpediniere fu anche fortunato, perché, sulle informazioni trasmessegli a Malta dal Comando del vice ammiraglio Ford, sapeva di non poter raggiungere i tre incrociatori italiani, peraltro molto pericolosi, anche se avesse voluto, e doveva limitarsi, come detto, a mantenere la rotta e l’alta velocità di 30 nodi iniziata subito dopo aver superato la zona di Algeri, per raggiungere Malta nel tempo ordinatogli. Il motivo, senza che Stokes fosse stato informato, era, e lo ripetiamo, che le sue unità dovevano prendere parte, nella giornata del 14 dicembre, ad una punta della Forze B e K contro i convogli italiani dell’operazione M.41 segnalati dall’organizzazione Ultra, e successivamente alla scorta di un convoglio in partenza da Alessandria (operazione M.E. 9), comprendente la nave ausiliaria Breconshire che doveva portare a Malta 5.000 tonnellate di nafta per le unità navali, movimento che ebbe inizio il 15 dicembre. Il capitano di fregata Stokes avvicinandosi da ovest a Capo Bon con i suoi quattro cacciatorpediniere in linea di fila (Sikh, Legion, Maori, Isaac Sweers) alla velocità di 30 nodi, aveva l’obbiettivo di passare, in acque territoriali francesi, a un miglio e mezzo di stanza tra la costa e gli sbarramenti minati italiani, e proseguire fino a Kelibia, per poi puntare ad est su Malta, Alle 03.02 del 13 dicembre, con condizioni atmosferiche che vedevano la luna all’ultimo quarto, coperta dalle nuvole e la notte chiara, Stokes avvistò di prora verso oriente dei lampi di luce: era la torpediniera Cigno che segnalava con il lampeggiatore Donath al Da Barbiano la presenza in cielo di un aereo. Alle 03.12 individuò due sagome che ritenne essere navi di medio tonnellaggio che dirigevano a sud. Considerò che potessi trattarsi della forza dei tre incrociatori italiani che gli erano stati segnalati come “probabili” in quella zona, per poi vederli sparire dietro il promontorio di Capo Bon. Sebbene i suoi “ordini fossero quelli di non impegnarsi”, Stokes decise di controllare bene se vi fosse una possibilità di attacco favorevole. “Superato Capo Bon, alla distanza prescritta entro un miglio e mezzo dalla costa”, ebbe “la prima visione chiara del nemico”, riconoscendo le sagome per incrociatori. Ma poi, preso un contatto radar, e controllando con il binocolo, si accorse che gli incrociatori italiani “avevano invertito la rotta di 16 punti” (160°), e che tornando a nord gli stavano venendo incontro. In questa favorevole situazione, per non lasciarsi sfuggire, “se possibile”, un’occasione favorevole non prevista, segnalando ai suoi cacciatorpediniere “Nemico in vista”, ridusse la velocità a 20 nodi, per rendere meno visibile una vistosa onda di prora che potesse farlo individuare al nemico, e mantenendosi, per non essere avvistato, tra gli incrociatori italiani e la costa, in modo da “avere la possibilità di passare non avvistato”. A questo punto Stokes dette l’ordine di attacco con “i segnali di avvertimento alle navi a poppa” e i quattro cacciatorpediniere della 4a Flottiglia, tra le 03.23 e le 03.26, defilarono lungo gli obiettivi lanciando i siluri e facendo fuoco con le artiglierie, e conseguendo, secondo il comandante della 4a Flottiglia, un “successo altre le mie più grandi aspettative”.[27] Quindi, la fortuna per i britannici non si verificò, come è stato sempre ritenuto, a seguito della trasmissione di avvistamento del ricognitore Wellington VIII del 69° Squadron della RAF, effettuata alle 03.00 del 13 dicembre. La segnalazione dell’aereo non ebbe alcun peso sull’azione dei cacciatorpediniere del comandante Stokes, poiché a quell’ora essi si trovavano già a contatto visivo con le unità dell’ammiraglio Toscano. Ma il suo determinante contributo il velivolo della RAF lo dette con la sua sola presenza sul cielo di Capo Bon, perché indusse la torpediniera Cigno, come era suo dovere, a segnalarlo a luce bianca al Da Barbiano, mettendo il comandante del Sikh sulla giusta strada. Nel rapporto del comandante Stokes, non si accenna all’aver ricevuto la trasmissione di avvistamento del Wellington, che fu ricevuta dal Comando della R.A.F, di Malta alle 03.01, ad attacco già iniziato, e che Malta ritrasmise quando ormai il combattimento si era concluso. *** L’ammiraglio Iachino scisse nel dopoguerra:[28] . La Marina rimase tutta dolorosamente impressionata dal tragico avvenimento, e anche il Comando Supremo comprese che non era conveniente arrischiare importanti e insostituibili unità da guerra, sia pure per portare carichi preziosi di carburante. Il disgraziato esperimento finì così, e non fu più ripreso per tutta la durata delala guerra.[29] Ma quel triste episodio ebbe anche il deplorevole effetto sul morale dei nostri equipaggi, in quanto l’affondamento di due incrociatori ad opera di quattro cacciatorpediniere, che ne erano usciti senza danni, venne a confermare quanto già si sospettava dello stato di netta inferiorità in cui si trovavano le nostre navi nel combattimento notturno, e contribuì notevolmente a creare nella nostra gente uno stato d’animo di apprensione ogni qualvolta si doveva uscire per operazioni di notte. In definitiva, con la sconfitta di Capo Bon del 13 dicembre 1941, seguita l’indomani dal siluramento a sud dello Strertto di Messina della corazzata Vittorio Veneto da parte del sommergibile Urge e dall’annullamento dell’operazione M.41 anche in seguito all’affondamento nel Golfo di Taranto delle motonavi Carlo del Greco e Fabio Filzi ad opera del sommergibile Upright, la Regia Marina toccò il fondo della crisi più profonda che aveva dovuto affrontare fino a qual momento nel Mediterraneo. Quando le condizioni per far passare rifornimenti in Libia sembravano ormai insostenibili, ed ogni speranza di riprendere il controllo della situazione era riposta sull’arrivo in Sicilia del grosso del II Fliegerkorps, accadde il miracolo. La battaglia navale della Sirte del 17 dicembre, pur essendo stata una semplice scaramuccia in cui il nemico non riportò alcun danno, seguita dall’arrivo a Tripoli del convoglio dell’operazione M.42, costituì una prova di forza tonificante, perché permise la riapertura delle rotte Libiche. Inoltre, con l’eliminazione di oltre metà delle Forze B e K di Malta e delle corazzate della Mediterranean Fleet Queen El9izabeth e Valiant ad opera dei mezzi d’assalti della X Flottiglia Mas trasportati dal sommergibile Scirè (capitano di corvetta Julio Valerio Borghese), che non poterono essere sostituite ad Alessandria per la profonda crisi in cui si dibatteva la Royal Navy, per fronteggiare nell’Oceano Indiano l’aggressività del Giappone e per tenere aperte nell’Artico le rotte dei convogli con la Russia, fu concesso alla Regia Marina la possibilità di risollevarsi dal baratro in cui il nemico l’aveva cacciata nel novembre del 1941, riconquistando il dominio del Mediterraneo centrale, che avrebbe poi mantenuto, con il sostegno dell’aviazione italo tedesca, per quasi tutto l’anno 1942. FRANCESCO MATTESINI [1] National Archives, “National Archives, Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325. [2] AUSMM, Promemoria Ammiraglio Sansonetti 1941.[3] Aldo Cocchia, La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale, USMM, cit., p. 168-169.[4] National Archives, “National Archives, Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325.[5] Ibidem.[6] La nafta sarebbe arrivata alla Valletta soltanto il 18 dicembre con la nave ausiliaria Breconshire, dopo che si era svolto, per le unità di scorta, il breve e inconcludente combattimento della 1a Sirte contro la Squadra Navale italiana, impegnata nell’operazione M.42, che aveva sostituito la M.41. Era accaduto che in seguito al danneggiamento della corazzata Vittorio Veneto, silurata il 14 dicembre a sud dello Stretto di Messina dal sommergibile britannico Urge, e all’affondamento nel Golfo di Taranto delle motonavi Filzi e Da Greco (che trasportavano due battaglio di carri armati), silurate dal sommergibile Upright, vi fu la necessità riorganizzare le forze, e alla M.41 subentrò la M.42, con la quale un prezioso convoglio riuscì, finalmente, a raggiungere Tripoli.[7] ASMAUS, “Operazione Speciale dal 7 al 14-12-1941, GAM 8, cartella n. 138.[8] In effetti, erano state pianificate due azioni notturne, affidate a undici bombardieri del Comando Aeronautica Sicilia e a sette Ju.88 del 606° Gruppo Combattimento (KGr.606) dislocati a Catania. Dei velivoli italiani, sette Cant.Z.1007 bis del 9° Stormo Bombardieri effettuarono, dalle 19.29 alle 21.45 del 12 dicembre, il bombardamento dell’aeroporto di Luqa, delle strisce di volo di Gudia e del porto di La Valletta, sganciando sugli obiettivi, che erano parzialmente coperti da nubi, sessantatre bombe: due da 500 chili, tre da 250, trentadue da 100, sei da 70 e venti da 20 chili. Per noie meccaniche non decollò un altro Cant.Z.1007 bis, mentre tre Br.20 del 55° Gruppo Bombardieri, partiti alle 18.00, erano stati costretti a rientrare alla base, avendo trovato sulla rotta per Malta cattive condizioni atmosferiche. Quanto agli Ju.88 tedeschi, che avrebbero dovuto raggiungere l’obiettivo tra le 19.30 e le 21.30 del 12, essi restarono a terra per motivi non dichiarati ai comandi italiani.[9] ASMAUS, “Operazione Speciale dal 7 al 14-12-1941, GAM 8, cartella n. 138.[10] Ibidem, Comunicazione telefonica n. 14418.[11] AUSMM, Supermarina – Comunicazioni telefonica, comunicazione n. 14414, registro n. 22.[12] ASMAUS, Comunicazioni telefoniche e Messaggi in partenza, GAM 8, cartella n. 138.[13] AUSMM, Supermarina – Cifra in Partenza.[14] AUSMM, Fascicolo “Cartella deposizioni superstiti”, Archivio 37, Archivio Militare, cartella D.6.[15] AUSMM, “Rapporto di missione eseguita dal CIGNO da Palermo a Capo Bon, Prot. 215/SRP del 16 dicembre 1941”, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.[16] AUSMM, Supermarina - Cifra in partenza.[17] AUSMM, Fascicolo “Cartella deposizioni superstiti”, Archivio 37, Archivio Militare, cartella D.6. [18] Alfino Toscano, La IV Divisione ed il suo Ammiraglio. La trappola sanguinosa di Capo Bon (13-12-1941; Edigraf, Catania 1985, p. 68-70.[19] Franco Gay, Incrociatori leggeri classe “Di Giussano”, cit.[20] Alfino Toscano, Documenti raccolti e missive della IV Divisione Navale, Catania 1989, p.30-31.[21] Ibidem, lettera di Enzo Nicolini, p. 173-174.[22] Ibidem, lettera di Vittorio Trossero, p. 177.[23] Ibidem, lettera di Lori Benedetti, p. 175-178.[24] Francesco Mattesini, Lo scontro di Capo Bon, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Settembre 1991, p. 135-136.[25] Aldo Cocchia, La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale, cit., p. 168.[26]National Archives, “Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325.[27] Ibidem.[28] Angelo Iachino, Le due Sirti, cit., p. 67.[29] La partenza dell’incrociatore Bande Nere da Palermo per Tripoli fu infatti sospesa quello stesso 13 dicembre. Continuò invece, saltuariamente, il trasporto della benzina mediante impiego di cacciatorpediniere e torpediniere. Edited December 18, 2019 by Francesco Mattesini Francesco De Domenico 1 Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Francesco Mattesini Posted December 19, 2019 Author Report Share Posted December 19, 2019 (edited) Sul ritardo di circa un’ora dalla partenza della 4a Divisione Navale da Palermo, che l’ammiraglio Cocchia nel suo libro La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale aveva riportato di non riuscire a conoscerne le ragioni, il figlio dell’ammiraglio Toscano, Alfino, scrisse nel dicembre 1989 una lettera aperta al Direttore dell’Ufficio Storico della Marina Militare, capitano di vascello Antonio Severi, in cui, in forma risentita, e in un certo punto anche alquanto ironica, affermava: La partenza da Palermo. Dice il compilatore [Cocchia] che la CIGNO dice di essere salvata alle 17.24, mentre il Comando Marina annuncia che la Divisione è in mare (tele 132567)18.10. La cosa viene spiegata dal compilatore nel senso che la comunicazione del CIGNO si riferisce al distacco dalla banchina, mentre quella del Comando Marina si riferisce alla completa uscita dalle ostruzioni portuali: Ma la spiegazione è in conferente; in effetti per chi conosca approssimativamente il porto di Palermo è pacifico che dallo stesso si esce in sette o otto minuti al massimo, per cui una differenza di 46 minuti si può spiegare solo se si ipotizza che la Divisione, carica dei ben pericolosi fusti di benzina avio, compisse delle evoluzioni all’interno del porto per … far passare il tempo! … Da quanto si apprende che in una riunione intervenuta la mattina del 12/12 sul DA BARBIANO si stabilì di anticipare la partenza fissata per le 18 di una mezz’ora. Ciò spiega perche il CIGNO, che doveva assumere le funzioni di capofila, salpò per come esattamente comunicato alle 17.24 mentre tutta la Divisione la seguì nel volgere di pochi minuti. … L’ammiraglio Toscano, per evitare di essere avvistato dagli aerei come era accaduto il giorno 9 dicembre dopo l’uscita delle sue navi da Palermo, “aveva ordinato alla Divisione di passare molto a nord delle Egadi e di puntare poi a Capo Bon e di qui dirigere per le boe di Kerkennah mantenendo sempre una velocità di 23 nodi”. … E Alfino specificò nella sua lettera: “Chi scrive non possiede maggiori elementi tecnici per accertare questa famosa ora di ritardo sulla base appunto della tabella di marcia. Certo è che se si parte con mezz’ora di anticipo il ritardo doveva essere non già di un’ora solamente bensì di un’ora e mezzo; il ché difficultà l’assurdo”. E’ questa ultima corretta constatazione di Alfino Toscano, rappresenta sul ritardo di un’ora della 4a Divisione Navale a Capo Bon proprio l’elemento che, nonostante tutte le deposizioni dei naufraghi degli incrociatori, e degli ufficiali della torpediniera Cigno, essendo le navi partita da Palermo con un’ora di anticipo, e avendo sempre navigato con una velocità intorno ai 23 nodi che era superiore ai 22 nodi fissati da Supermarina, non si riesce a capire. E’ uno dei misteri del giallo di Capo Bon, il più importante. Copia della lettera dattiloscritta, in cui si parlava in senso lusinghiero anche di un mio lungo articolo scritto il 12 marzo 1985 su Il Giornale d’Italia ("I retroscena del disastro navale di Capo Bon del 13 dicembre 1941"), mi fu consegnata da Alfino Toscano. Francesco Mattesini Edited December 19, 2019 by Francesco Mattesini Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
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