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IL MANCATO RADAR ITALIANO IN GUERRA - UNO SPRECO DI ENERGIE


Francesco Mattesini
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IL MITO DELL’INUTILE  RADIOLOCALIZZATORE ITALIANO  EC.3/TER “GUFO

 

Le difficoltà incontrate per cercare di rendere efficiente il radiolocalizzatore  EC.3/ter “Gufo” sulle unità della Flotta.

 

                Nel mese di aprile 1943 Marinarmi ordinò all’industria meccanica Galileo di Firenze la costruzione di venti radiolocalizzatori del tipo navale EC.3/ter “Gufo” da destinare ai cacciatorpediniere in costruzione della nuova classe “Comandanti”, progettati con un dislocamento di 2.100 tonnellate e un armamento di cinque cannoni in torrette singole da 135 mm.

         In tal modo, le ordinazioni di apparati Gufo destinati alla Regia Marina passarono da 50 a 60. Numero da ordinare all’industria che successivamente sali a 100 esemplari, avendo Maristat previsto di impiegare i 30 nuovo apparati Gufo per costituire una riserva e per utilizzarli, in parte, quali Rari costieri per l’esplorazione navale.[1] Al modesto numero di tre - quattro radiotelemetri al mese – che era il massimo consentito dall’industria nazionale (qualcosa d’incredibile povertà quando negli altri paesi venivano costruiti a migliaia), gli apparati Gufo vennero destinati con priorità alle unità delle Forze Navali da Battaglia del Tirreno.

         Secondo un prospetto dell’Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici di Maristat, alla data del 2 giugno 1943 le unità della flotta fornite di radiolocalizzatore già operativo erano appena tredici, e di esse i cacciatorpediniere Legionario, Lanzerotto Malocello e Alfredo Oriani e le torpediniere di scorta Ardimentoso, Procione e Aliseo possedevano il Dete, mentre la corazzata Littorio e i cacciatorpediniere Carabiniere, Fuciliere, Velite, Leone Pancaldo, Ugolino Vivaldi e Antonio Da Noli potevano usufruire del Gufo.

         Il settimo apparato Dete, consegnato dalla Kriegsmarine, che inizialmente avrebbe dovuto essere destinato su un'altra silurante, si trovava invece in corso di sistemazione sull’incrociatore Duca degli Abruzzi (nave ammiraglia dell’8a Divisione Navale a Genova); ed ugualmente in corso di montaggio erano altri dodici Gufo sulle seguenti unità delle Forze Navali da Battaglia: corazzate Roma, Vittorio Veneto, Littorio (secondo Gufo), incrociatori leggeri Scipione Africano, Attilio Regolo, Duca d’Aosta, Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi, e sui cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Nicolò Zeno e Maestrale.[2]

         Lo Stato Maggiore della Regia Marina avrebbe voluto, a similitudine della Marina tedesca, equipaggiare con radiolocalizzatori fin dal 2 novembre 1942 anche le unità sottili, ma fu constatato che gli apparati tipo Dete e Gufo per problemi d’ingombro e di peso, e per scarsa potenza del motore di brandeggio dell’antenna mal si prestavano ad essere installati sulle torpediniere e che non si prestavano affatto ad essere imbarcati su unità di tipo minore, come le corvette e le motosiluranti. Pertanto, il 30 aprile 1943, il Reparto Ispettorato delle Telecomunicazioni e dei Servizi Elettrici di Maristata, prevedendo che una qualsiasi richiesta fatta ai tedeschi per ottenere apparati adatti alle unità sottili avrebbe allora comportato non poche difficoltà di accoglimento, chiedeva a Marinarmi, con lettera n. 55388, di voler esaminare la possibilità di affidare a Marinelettro Livorno e all’industria nazionale lo studio di un radiolocalizzatore adatto a quella speciale necessità.[3]

         Successivamente fu constatato che il nemico aveva risolto il problema, poiché su una piccola unità navale britannica catturata dalla Marina germanica e su un aereo abbattuto sull’isola di Corfù, si trovavano dislocati apparati Radar di dimensioni ridotte, molto simili al Lichtenstein imbarcato sui velivoli della Luftwaffe. Ritenendo, erroneamente, che la Kriegsmarine impiegasse anch’essa una variante del Lichtenstein sulle sue unità minori, quali le motosiluranti e i moto dragamine, il 12 giugno, con lettera 48984, l’Ispettorato delle Trasmissioni e dei Servizi Elettrici di Maristat avanzava a Superaereo la seguente richiesta.[4]

        

         Si prega vivamente codesto Stato Maggiore di voler esaminare la possibilità di cedere quanto più presto risulterà consentito dalle proprie disponibilità due od almeno un impianto “Lichtenstein” per consentire alla Marina un più rapido orientamento sul problema qui trattato e una più sollecita soluzione di esso.

         Si gradirebbe anche conoscere se codesto Stato Maggiore prevede di potere in seguito addivenire a qualche altra cessione sul totale delle forniture per le Forze Armate stabilite dalla convenzione Telefunken.

 

         A questo proposito occorre dire che nel gennaio 1943, indipendentemente dagli accordi militari precedentemente stabiliti con la Germania, rappresentanti delle Forze Armate italiane, nelle persone del generale di divisione aerea Mario Cebrelli, del generale di divisione dell’Esercito Armando Mazzetti e del generale delle Armi Navali Carlo Matteini, avevano stipulato una convenzione con la Ditta Telefunken, rappresentata dal signor  Ehrhard von Henk, per la fornitura diretta all’Italia di apparati Würzburg, Riese e Lichtenstein. Ciò costituì il primo elemento per la costituzione della Telefunken italiana che, sotto la presidenza del generale dell’Aeronautica Vincenzo Lombard, iniziò a riprodurre i Raro da assegnare all’Italia su disegni della case madre di Berlino.

         Il 25 giugno la 1a Divisione Aerea di Superaereo rispondeva a Maristat facendo sapere, con lettera n. 14-A/2895, che i radiolocalizzatori impiegati sulle unità sottili della Marina germanica erano espressamente di tipo navale, quindi Dete. Era specificato che la Ditta Telefunken aveva realizzato due apparati di tipo ridotto per aerei, uno denominato “BC” da impiegare esclusivamente per la caccia notturna, avente una portata in volo variante tra i 300 metri e i 4 chilometri, e l’altro denominato “S”, per la ricerca di unità navali. Tuttavia, essendo costretto a lavorare a quota insufficiente, anche il Lichtenstein del tipo “S” risultava inadatto ad essere utilmente impiegato su un’unità sottile di superficie, poiché la portata utile dell’apparato diminuiva il suo raggio di scoperta dai 30 chilometri ottenibili in volo ai 5 chilometri ottenibili sul mare.[5]

         Parallelamente a questi problemi ne sorgevano ben altri ben più allarmanti. L’EC.3/ter Gufo, sperimentato dal Comando in Capo delle Forze Navali da Battaglia della Spezia sui cacciatorpediniere Fuciliere, Carabiniere e Leone Pancaldo continuava a deludere le aspettative, soprattutto come strumento per la ricerca aerea, non riuscendo, in pratica, a percepire echi oltre i 4.000 – 5.000 metri. Di questa scoraggiante realtà l’ammiraglio Bergamini riferiva a Maristat e, per conoscenza a Marinarmi, con la lettera n. 08143 del 29 maggio 1943, che i difetti e le anomalie riscontrate erano da addebitare alla “scarsissima istruzione e addestramento del personale” e alle “frequenti avarie agli apparecchi stessi”, che inoltre avevano dimostrato di possedere caratteristiche di radiolocalizzazione di aerei “effettivamente inferiori a quelle del DETE tedesco. Quest’ultimo apparato, secondo quanto riferito dal Comandante n Capo della Flotta, disponeva rispetto al Gufo di trombe irradianti che non creavano problemi di brandeggio, avevano motori di maggiore potenza, ed anche una maggiore stabilità della piattaforma girevole, che permetteva un discreto funzionamento, anche in presenza di mare mosso e durante il tiro dei canoni.

         L’ammiraglio Bergamini, dopo aver elencato minuziosamente un considerevole numero di difetti riscontrati nel “Gufo”, ed avere espresso proposte per eliminarli almeno in parte, faceva le seguenti affermazioni:[6]

        

         Conclusione, si esprime l’opinione che il problema dei RARI delle navi per i motivi suindicati, è bel lungi dall’essere stato risolto e che occorre prendere al più presto i provvedimenti necessari per accelerare la risoluzione.

         Tali provvedimenti dovrebbero essere diretti sia a migliorare la formazione del personale tecnico e del personale destinato all’impiego, sia a migliorare l’efficienza degli apparati.

         Si ritiene opportuno che presso la Scuola RARI venga eseguita una serie esauriente di prove ed esperienze, con un apparato messo nelle migliori condizioni di efficienza possibili e con personale capace per accertare quali sono le reali possibilità del GUFO nei riguardi della radiolocalizzazione degli aerei.

 

         Sulla base di questa impietosa analisi, l’ammiraglio Sansonetti incaricava l’Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici di Maristat di “esaminare e riferire” allo scopo di accertare quali fossero le reali possibilità dei Gufo assegnati alle unità della flotta.[7]

         Nel frattempo però, con un'altra lettera del 4 giugno avente numero di protocollo 08614, l’ammiraglio Bergamini portava all’attenzione di Marinarmi un altro problema, che già in precedenza aveva segnalato : ossia quello del rinforzo delle piattaforme del Gufo sistemati sulle unità della flotta, mediante lavori che, avrebbero dovuto comportare anche la modifica dei rapporti di brandeggio degli apparati EC.3/ter Gufo. Era questa una misura che minacciava di rendere quasi completamente cieca la flotta nel momento critico in cui si attendeva lo sbarco degli anglo-americani sul territorio metropolitano (invasione della Sicilia o della Sardegna), poiché, come riconosceva lo stesso ammiraglio Bergamini, i Gufo dovevano essere smontati dalle navi per lavori da svolgersi necessariamente a Firenze, presso la Ditta Galileo. Ciò avrebbe comportato un ritardo nella sistemazione dei radiotelemetri, la cui assenza era particolarmente sentita sulle navi da battaglia, in vista della possibilità di affrontare un combattimento conclusivo col nemico.[8]

         Ma i guai per mettere a punto un efficace radiolocalizzatore di costruzione nazionale, da impiegare con il maggior profitto a bordo delle Regie Navi, continuava a presentarsi ad ogni livello.

         Il 5 luglio, con lettera n. 24673, Marinarmi comunicava a Maristat che la ditta SAFAR aveva sviluppato un riflettore unico parabolico da sistemare sull’apparato Gufo in sostituzione della doppia tromba irradiante; tale riflettore aveva il vantaggio di una costruzione più solida e di minore peso, e quindi permetteva di impiegare una minore potenza per il brandeggio, nonché un “aumento della superficie captante” e “conseguente aumento di portata” di scoperta prevista del 30%. Marinarmi prospettò di sistemare il primo esemplare del nuovo apparato, già pronto in ditta, in quanto ne sarebbero risultate agevolate le sperimentazioni. Queste ultime effettuate presso la SAFAR, dettero invece esito negativo riguardo alla possibilità di adottare il riflettore per gli apparati Gufo già costruiti e sistemati sulle navi della flotta.[9]

         L’Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici, mentre invitava Marinarmi, con lettera n. 63935 del 27 luglio 1943, e a continuare sollecitamente le prove nell’intendimento di adottare lo specchio unico sui nuovi Gufo da introdurre in servizio, dimostrò anch’esso per il Gufo lo stesso scetticismo espresso il 29 maggio dall’ammiraglio Bergamini. Marinarmi sostenne infatti che le deficienze segnalate dal Comandante in Capo delle Forze Navali da Battaglia continuavano ad essere “confermate dai collaudi successivi e delle relazioni dei Comandanti di bordo” delle sue navi.

         Di fronte alle difficoltà incontrate sul funzionamento del Gufo, sopravvalutato in Italia nel dopoguerra, per evidenti motivi di prestigio – e che ancora oggi autori come Enrico Cernuschi[10] e Piero Barone[11] continuano ad apprezzare riuscendo a convincere gli ignari – il 5 agosto 1943, alla vigilia dell’armistizio, Supermarina, con la nota interna numero 22731, faceva presente a Maristat la necessità urgente di sistemare sulle unità delle Forze Navali da Battaglia i più efficaci apparati “Dete”. Ossia gli apparati tedeschi che erano stati installati da alcuni mesi, con ottimi risultati, sulle torpediniere Ardimentoso, Procione e Aliseo. L’Organo Operativo dell’Alto Comando Navale avanzò la raccomandazione di adottare la soluzione più rapida per la messa a punto del Dete sulle navi che sarebbero state prescelte dal Comando in Capo delle Forze Navali da Battaglia.

         L’armistizio dell’8 settembre non permise di sviluppare questo programma.

 

 

Conclusioni

 

OMISSIS

 

         Sulle cause della inferiorità italiana nel campo della radio ricerca, il professor Tiberio è stato molto chiaro scrivendo:[12]

 

a) La assai scarsa organizzazione di ricerche radio, che esisteva in Italia prima della guerra, ha consentito di individuare in tempo utile la nuova possibilità, ma è arrivata a realizzare con ritardo gli apparati efficienti [sic].

b)  una organizzazione “adeguata” avrebbe consentito di arrivare molto prima a radar efficienti e di entrare in guerra con una prima preziosa dotazione di apparati; inoltre si sarebbe potuto avviare subito la “guerra elettronica” con intercettatori, disturbatori ecc.;

c)  non sarebbe stati però comunque possibile contrastare in modo efficace la colossale produzione americana, nel secondo tempo della battaglia del radar.

 

In conclusione, pur avendo realizzato in prototipo vari apparati adatti a tutte le necessità delle Forze Armate, da impiegare nella scoperta, nella condotta del tiro contraereo, nella guida caccia e nella caccia notturna, per tutto il periodo della guerra l’industria nazionale non fu in grado di rendere operativi i propri radiolocalizzatori, ad eccezione del tipo navale EC.3/ter “Gufo” del maggiore ingenere Alfeo Brandimarte. Tuttavia,  l’apparato  derivante dai primi prototipi dell’ingegner Tiberio fin dal 1935 a Marinelettro Livorno, non essendo stato messo a punto dalla Ditta SAFAR che li costruiva, all’atto pratico, montato sulle unità navali, si dimostrò un autentica delusione.


[1] AUSMM, Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici, cartella 21.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] ASMAUS, SIOS, cartella 1.

[6] AUSMM, Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici, cartella 21.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Nel 1994 un volenteroso Errico Cernuschi, conoscendo l’argomento del radar EC.3/ter “Gufo” soltanto per aver letto libri e articoli al massimo imprecisi, sollevando molte proteste in coloro che invece i difetti del “Gufo” li conoscevano, in un supplemento di una Rivista militare (stampato contemporaneamente ad un mio saggio sullo stesso argomento sul Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare) descrivendo il “Gufo” come una meraviglia, orgoglio nazionale, arrivò a scrivere che gli anglo – americani ce lo invidiavano. Leggendo i documenti dei Comandanti della Squadra Navale, ammiraglio Iachino e soprattutto quelli di un disperato ammiraglio Bergamini, riprodotti in originale nel mio saggio, il “Gufo”, non percepiva nulla, se non a brevissima distanza, e non sempre riusciva a dare esattamente le distanze di un bersaglio aereo o navale.

[11] Piero Baroni, La guerra dei radar. Il suicidio dell’Italia (1935-1943), Greco e Greco, 2007. L’Autore, avendo letto il mio Saggio stampato dal Bollettino d’archivio della Marina Militare nel settembre e dicembre 1995, evidentemente non ci ha capito nulla dando versioni al di fuori della grazia di dio, oppure, per un certo motivo  fazioso  non accetta quanto di logico ho scritto, ben documentandolo.

[12] Ugo Tiberio, Sullo sviluppo delle cognizioni radar italiane durante la guerra, Rivista Marittima, aprile 1951, p. 47.

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