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Quelli della CHARLES HENDERSON


Pasquale B. Trizio
  • di Pasquale B. Trizio - già Presidente dell’Assoc. Naz.le Marinai d’Italia - Bari

    Il 9 aprile 1945, la città di Bari fu vittima di un evento tra i più tragici della sua storia. Una intera nave carica di munizioni, per motivi ancor’oggi sconosciuti, esplose nel gran porto seminando distruzione e morte.

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Alle ore 11.57 di quel terribile giorno la nave statunitense Charles Henderson, mentre era ormeggiata alla banchina n.14 del gran porto di Bari, per cause mai accertate esplose improvvisamente seminando attorno a sé distruzione e morte.

In pochi istanti centinaia di vite umane venivano distrutte e della nave non restavano che pochi relitti informi sparsi qua e là nell'ambito portuale.

Vari spezzoni della sovrastruttura della nave – narra l’ingegnere del Genio Civile Giuseppe Geraci incaricato, più tardi, di ripristinare la banchina - del peso di qualche tonnellata, furono disseminati per un raggio di qualche chilometro, provocando non pochi danni agli edifici della zona portuale, mentre spruzzi di nafta provenienti dai doppifondi del piroscafo furono proiettati così lontano da raggiungere i sobborghi della città. I vetri delle case, a notevole distanza dal porto, andarono violentemente in frantumi, determinando numerosi feriti e parecchi morti tra la popolazione civile.

Porte e finestre furono divelte come fuscelli sotto la furia dello spostamento d’aria, disseminando le vie di un impressionante groviglio di macerie, rendendo difficile la circolazione della gente che, presa dal panico, correva come pazza alla ricerca di un qualche sicuro rifugio. Del piroscafo Charles Henderson che pochi minuti prima dominava con la sua potente mole la scena della calata, non restavano che due enormi spezzoni: la prua che era stata proiettata in avanti ed era andata a conficcarsi profondamente nel muro di sponda del molo antistante e la poppa ridotta ad un ammasso informe di ferraglie appena affioranti dalle acque. Della parte centrale dello scafo, in corrispondenza delle stive e dell’apparato motore, non si scorgeva alcuna traccia.

Il muro di sponda, dove trovavasi attraccata la nave per una lunghezza di 75 metri, era del tutto sparito ed anche la calata corrispondente denominata appunto n.14, per una analoga lunghezza e una profondità di 25 metri era saltata in aria: al suo posto si vedeva soltanto un laghetto per l’invasione delle acque marine della voragine provocata dallo scoppio.

Del grande capannone per il ricovero delle merci in transito, ubicato sulla banchina, del binarione di riva per la manovra delle grue di scarico e di tre potenti grue meccaniche, ivi operanti, non restava alcun segno.

Un terrificante quadro di devastazione e di morte, un ammasso caotico di macerie di ogni sorta, di grossi blocchi di calcestruzzo e di travate disseminate qua e là, che con le loro scheletriche sagome conferivano alla scena un’impressionante visione apocalittica.

 

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Questa nave, con il suo terribile carico di esplosivi di ogni genere, era giunta nel porto della città nella prima mattinata del giorno 5 aprile 1945, ormeggiandosi alla banchina n.21; lo stesso giorno fu spostata alla banchina n.16 ed aveva iniziato le operazioni di sbarco delle munizioni subito dopo. Parte del carico fu sbarcata su quella banchina mentre era intenzione del comando interalleato del porto trasferire la nave statunitense ad una banchina dotata di gru meccaniche, la n.14 appunto. Il movimento della nave avvenne alle ore 5.30 del 9 aprile. A quell’ora la Henderson mise in moto le sue macchine e, aiutata da due rimorchiatori baresi, fu ormeggiata finalmente alla banchina n.14 tra le 09.30 e le 10.00.

 

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Alle 11.57 circa, mentre le stive brulicavano di lavoratori baresi intenti nelle operazioni di sbarco delle munizioni, dalla stiva n.5 della sfortunata nave uscì una violenta fiammata seguita subito dopo da una esplosione terrificante.

In quell’istante, nelle stive della nave erano al lavoro 121 civili baresi; di questi, 92 furono dichiarati morti o dispersi mentre 29 sopravvissero allo scoppio. Questi 29 fortunati si trovavano nelle stive prodiere e subirono comunque ferite più o meno gravi. Ma il bilancio complessivo delle vittime fu oltremodo più grave se si considera che l’intera banchina brulicava di lavoratori baresi. I deceduti, infatti, assommarono a 317 mentre i feriti furono circa 600. Inoltre ben 937 famiglie furono costrette a trasferirsi per avere avuto le loro abitazioni dichiarate inabitabili. A questo bilancio dovettero sommarsi i caduti delle unità alleate presenti nel porto e, in particolare quelli, militari e civili, della Charles Henderson. I resti di questi ultimi, fino ad oggi sconosciuti Eroi, furono pietosamente ricomposti e riposano in una tomba senza nomi, e che i baresi conoscono bene, nel cimitero della città. Dell’equipaggio della nave, composto da 43 civili e 13 militari della riserva navale degli Stati Uniti, si salvarono soltanto l’ufficiale addetto al carico ed il direttore di macchina, entrambi assenti da bordo nell’istante dell’esplosione.

 

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Questo tragico evento ebbe luogo proprio nell’istante in cui la popolazione barese stava vivendo gli ultimi strascichi della guerra, che si sarebbe definitivamente conclusa nel luglio successivo, con quella rassegnazione propria di chi è consapevole di dover provvedere, con i pochi mezzi a disposizione, alla difficile e dolorosa fase della ricostruzione.

All’indomani dell’Armistizio, con il bombardamento aereo del 2 dicembre 1943 durante il quale ben diciassette navi furono affondate e gravissime furono le perdite tra militari e civili a causa dell’iprite contenuta in alcune di esse, i baresi avevano iniziato a subire direttamente gli effetti nefasti del conflitto con l’occupazione alleata e con la presenza, nel porto della città, di numerose unità da guerra e mercantili anglo-americane.

In quel periodo molti lavoratori, infatti, avevano trovato lavoro proprio nel porto della città, a fianco di inglesi e americani, nelle operazioni di imbarco e sbarco di prodotti di ogni genere che giungevano d’oltre oceano, con non pochi benefici per il sostentamento delle famiglie.

Nulla faceva presagire che di lì a poco, un evento non di guerra ma ad esso ineluttabilmente concatenato, avrebbe indissolubilmente legato il nome di quella sfortunata nave a quello, pur millenario, della città di San Nicola.

Il mattino del 9 aprile 1945, infatti, il mare era calmo e la giornata chiara e luminosa. Al porto, da sempre fulcro delle attività economiche della Città, fervevano le operazioni di sbarco di ogni genere di materiali provenienti da oltre oceano a sostegno dell’avanzata dell’VIII Armata britannica.

Il suo ampio specchio acqueo in quel periodo era gremito di unità militari e mercantili di ogni genere. Il 9 aprile, quasi tutte le banchine erano operative con numerose navi attraccate sotto operazioni di sbarco dei rifornimenti: erano presenti nel porto le navi statunitensi Samspeed, Pinzon, Leinster, Fort Cadotte, Amstell, Gennaro, Flimston e Coulbeg appena giunte con un convoglio dagli States, ed inoltre la Fort Eirie, la Ocean Viking, la Sun, l’Apuania, la Robert Jordan, tutte ormeggiate alle banchine dello scalo barese.

 

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Le stesse banchine del porto brulicavano di stivatori e distivatori baresi, organizzati in cooperative, che prestavano lavoro in turni di otto ore, 24 ore su 24.

Quando sopraggiunse l’esplosione, gli ignari lavoratori furono investiti dalla furia devastatrice dello spostamento d’aria. Coloro che si trovavano nelle vicinanze della nave furono letteralmente spazzati via. Le attrezzature portuali furono sconvolte; molte case del borgo antico crollarono e molte risultarono gravemente danneggiate. Quasi tutte le case della città ebbero i vetri infranti mentre moltissimi feriti venivano trasportati in gran fretta verso l’ospedale.

Il pomeriggio di quella giornata trascorse in una generale confusione e con il solo scopo di portare aiuto ai feriti che giacevano ancora sepolti dalle macerie, mentre la popolazione del borgo antico faceva doloroso esodo dalla propria abitazione crollata o resa inabitabile.

La mattina del 10 aprile il Prefetto Antonucci dispose che si desse prioritariamente corso ad una prima assistenza alle famiglie maggiormente colpite, di concerto con l’Amministrazione comunale, favorendone la loro sistemazione presso edifici scolastici o stabilimenti militari e distribuendo loro viveri di prima necessità con la collaborazione della Croce Rossa.

 

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Il Governo si rese subito conto della gravità dell’accaduto e dispose un fondo di 10 milioni per la concessione di sussidi straordinari a favore dei sinistrati mentre la Presidenza del Consiglio dei Ministri disponeva, nel luglio 1945, che le vittime del 9 aprile 1945 fossero ammesse a fruire del trattamento di pensione stabilito dalle leggi sulle pensioni di guerra. In città fu subito attuata una pubblica sottoscrizione che produsse una raccolta di 6 milioni circa cui partecipò anche l’Associazione Sportiva Bari con il suo presidente Tommaso Annoscia, che contribuì con la somma di L.21.184, alle offerte per i sinistrati, organizzando una partita di calcio il 24 giugno.

Di lì a poco il II conflitto mondiale ebbe termine. L’opera della ricostruzione fu avviata e, lentamente, la città seppe rimarginare le sue ferite.

Rimane ancora oggi nei baresi, indelebile, il ricordo di quel mezzogiorno di fuoco e di distruzione di cinquantasei anni orsono che legò, questa volta per sempre, il nome di una nave venuta da lontano, la Charles Henderson a quello ultra millenario dell’antica città di Bari.

Il suo equipaggio composto da civili e militari caduto nell’adempimento del dovere nella nostra città di cui, finalmente, a distanza di molti lustri, si conoscono i componenti, riposa nello storico cimitero cittadino insieme ai lavoratori baresi. Ad esso il deferente ricordo di quanti vissero la tragicità di quell’evento.


La U.S. Liberty Ship Charles Henderson

 

Le navi Liberty, furono il prodotto del programma varato dal Governo degli Stati Uniti sin dal 1936 ed attuato tra il 1941 ed il 1945 con lo scopo di costituire una marina mercantile in grado di consentire alle Forze Armate di quel Paese il trasporto di rifornimenti e materiali di guerra sui teatri bellici di tutto il mondo; dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour tale programma fu ulteriormente sviluppato. Fu così che i mari del mondo furono solcati da una inedita flotta di navi apparentemente tutte uguali ma con funzioni tra le più varie. Diciotto grandi cantieri degli Stati Uniti vararono, durante il periodo bellico, circa tremila navi Liberty. Queste unità avevano dimensioni standard:

 

Lunghezza: 441 piedi;

Larghezza: 57 piedi;

Pescaggio: 26,10 piedi;

Tonnellaggio - lordo: 7.176; netto: 4.380;

Motori principali: Azione diretta, tre cilindri, tripla espansione; CV indicati 2.500;

Velocità: nodi 11

 

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La Charles Henderson, del tipo Liberty EC2-S-C1, di proprietà della United States Maritime Commission ed impiegata per il trasporto di munizioni per conto dell’esercito degli Stati Uniti, era al comando del Capitano Herbert J. Louis; il suo equipaggio consisteva in 43 civili e 13 tra ufficiali, sottufficiali e marinai della United States Naval Reserve. Essa era stata varata nel maggio del 1943 presso il California Shipbuilding Corporation al Terminal Island, Los Angeles mentre i suoi motori erano invece stati costruiti presso l’Alabama Marine Engine Company di Birmingham, Alabama.

Come tutte le Liberty, la Charles Henderson disponeva di cinque capienti stive, tre a proravia del cassero centrale e due a poppavia. In tutte e cinque le stive, la nave trasportava 6675 tonnellate di bombe di ogni tipo; quello che segue è il resoconto del suo ultimo viaggio al termine del quale riusciremo finalmente a conoscere per la prima volta i nomi di quei marinai sfortunati che persero la loro giovane vita nell’adempimento del dovere proprio nel porto della nostra città ed in essa riposano sin dal lontano 9 aprile 1945.

 

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Charles Henderson… Ma chi era costui ? Dopo approfondite ricerche effettuate negli States si è riusciti a identificare questo misterioso personaggio il cui nome, assegnato ad una nave, doveva legarsi indelebilmente a quello della nostra città.

Padre Charles Henderson (1848 – 1915) era infatti un sociologo battista vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900 negli Stati Uniti.

Molte altre notizie, invece, sono state reperite dagli archivi americani sulla sfortunata nave e sul tragico evento che ne segnò la fine.

Innanzitutto l’immagine, che i baresi, fino ad oggi, non conoscono. Infine, le ultime vicende del suo lungo viaggio che la portò, ignara del suo destino, dalle coste orientali degli Stati Uniti d’America, a concludere la sua pur breve esistenza nella nostra città, legando così per sempre il suo nome a quello di Bari.

Agli inizi del 1945, ultimo anno di guerra, il fronte meridionale in Europa era tutt’altro che sopito. Dagli Stati Uniti, i rifornimenti per le truppe alleate che risalivano la Penisola per stringere in una morsa dal Sud le armate tedesche, giungevano via mare a bordo di moderni Liberty proprio nel porto della città di Bari.

La Charles Henderson era proprio una di quelle navi ed era stata adibita al trasporto di munizioni di ogni genere per conto dell’Esercito americano. Nel suo ultimo viaggio essa iniziò il carico delle munizioni il 27 febbraio 1945 ad Hampton Roads, sotto la supervisione del tenente J.B. Wise, ufficiale alla sicurezza; sette giorni dopo la nave aveva terminato le operazioni di stivaggio del pericoloso carico ed era salpata dalle coste orientali degli States, e precisamente da Norfolk, il 14 marzo 1945 in un convoglio di cui facevano parte altre 45 unità della stessa classe dirette in Mediterraneo.

Il convoglio, ad una velocità di 9.4 nodi, fu inizialmente scortato da aerei PBM Mariners e PBY Catalina per gran parte della rotta oceanica; in quel particolare momento del conflitto, la minaccia dei sommergibili tedeschi in quella che fu definita dagli storici la battaglia dell’Atlantico, era tutt’altro che infrequente. Per questo, a protezione del convoglio fu organizzata una scorta navale costante composta da numerosi cacciatorpediniere, con il fine ultimo di sventare eventuali attacchi di unità subacquee ancora operanti in Atlantico.

Proprio in prossimità dello stretto di Gibilterra e precisamente a 35 miglia ad ovest, alle 12.55 del 29 marzo il convoglio subì un attacco di sommergibili subito sventato con il lancio di bombe di profondità da parte di due cacciatorpediniere di scorta, senza subire perdite; lo stretto fu infine attraversato e le unità poterono dirigersi verso i loro porti di destinazione.

La Charles Henderson effettuò così una sosta operativa nel porto di Augusta e, subito dopo, si diresse al suo porto di destinazione, che sarebbe stato l’ultimo della sua pur breve esistenza, ove giunse il mattino del 5 aprile 1945.

Alle 11.57 del 9 aprile 1945 la tragedia. Dalle stive poppiere furono dapprima viste uscire alcune fiamme, seguite subito dopo da una terribile esplosione.

 

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Il Quartier Generale delle operazioni del teatro del Mediterraneo dell’esercito degli Stati Uniti nominò immediatamente il Capitano Edward Buchanan titolare dell’inchiesta e autorizzato a svolgere le necessarie investigazioni sul tragico avvenimento.

Arrivato a Bari, il capitano Buchanan contattò il maggiore Goldsmith che ricostruì per sommi capi l’accaduto; insieme si recarono all’Ufficio Trasporti del Porto di Bari ove incontrarono il Capitano Coogan dell’esercito inglese che dichiarò loro come si erano svolte le operazioni di sbarco delle munizioni a partire dal 5 aprile, data in cui la nave arrivò nel porto della città. Le operazioni di sbarco delle munizioni – narra il Capitano inglese Coogan iniziarono quasi subito in quanto il porto operava 24 ore su 24, con personale suddiviso in tre turni. Delle 6675 tonnellate di bombe trasportate nelle sue capienti stive, fino alle 10.00 del 9 aprile ne erano state sbarcate 2450 mentre fino alle 11.57, ora in cui avvenne la deflagrazione, gli scaricatori avevano sbarcato dalle stive n.4 e n.5 altre 500 tonnellate di bombe da 500 libbre. Improvvisamente fu avvertito un grido e, subito dopo, la nave esplose.

Buchanan concluse questa prima ricostruzione degli eventi sottolineando soltanto pochi importanti punti dall'interrogazione del Capitano Coogan e dal Comandante James Craik della U.S. Coast Guard sotto la cui supervisione erano le operazioni di sbarco delle munizioni nel porto di Bari.

Rilevò, tra l’altro, come nessun ufficiale dell’Esercito degli Stati Uniti fosse stato assegnato all’ispezione degli esplosivi prima del loro sbarco e, come questa prerogativa, spettasse esclusivamente al personale inglese sotto la cui giurisdizione era posta l’area operativa del porto di Bari.

 

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L’ufficiale statunitense si portò dal comandante del 5th British Port Operating Group, col. R.B. Oram, presidente della Commissione d’inchiesta, il quale espose una sua iniziale impressione sulle probabili cause dell’esplosione, imputabile alle bombe 150/GP-T1 che, invece, sembra fossero state sbarcate nei giorni precedenti il disastro dalle stive prodiere della nave.

Rilevava, il solerte ufficiale, che l’eventualità di un sabotaggio non dovesse essere esclusa, incoraggiata com’era, nella città, soprattutto ad opera di gruppi comunisti ed antifascisti a titolo di propaganda. Inoltre, la polizia locale segnalò l’arrivo di una vera e propria inondazione di lettere anonime che, a detta degli inquirenti italiani, era cosa piuttosto usuale all’indomani di ogni evento di particolare rilievo nella città.

Tra la popolazione, invece, corse subito voce che gli inglesi avessero iniziato a distruggere le banchine del porto in vista dell’imminente arrivo delle truppe germaniche.

Inoltre, dal suo punto di vista, nessuna lode fu troppo alta per elogiare tutti i livelli dei servizi che lavorarono, sulla banchina, dopo l’esplosione. Io sono soddisfatto che – aggiunge il Buchananper mezzo della loro pronta, coraggiosa ed efficiente azione, si riuscì a mitigare l’estensione del disastro.

 

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Per quanto riguardava la condotta della popolazione civile, un giudizio poco lusinghiero fu espresso nei suoi riguardi e l’ufficiale americano la considera deplorevole in quanto proprio i posti di soccorso furono prontamente abbandonati dagli addetti, presi da un diffuso panico, in particolare da parte degli equipaggi dei rimorchiatori.

La sola eccezione era da riscontrarsi per l’immediato intervento dei Vigili del Fuoco che, sotto la diretta supervisione del Comando inglese, dettero prova di coraggio ed estrema decisione.

In conclusione, l’ufficiale statunitense dovette rilevare l’impossibilità ad individuare la vera causa dell’esplosione, tuttora non spiegata, limitandosi a suggerire nuove norme da osservarsi, nei porti destinatari di carichi di munizioni, da parte degli addetti.

Subito dopo l’esplosione, egli rilevò che i provvedimenti presi per ridurre gli effetti della deflagrazione furono immediati, efficienti e coraggiosi.

Sin qui le conclusioni del capitano Buchanan dell’Esercito degli Stati Uniti, prodotte il 24 aprile successivo all'esplosione, al Quartier Generale del teatro delle operazioni nel Mediterraneo.

 

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Ciò che resta a distanza di oltre sessant’anni di quella drammatica giornata, che resterà per sempre impressa nella storia della nostra città, è una tomba comune del cimitero di Bari, tuttora abbandonata e sulla quale nessuno pone ormai un fiore, ove giacciono i poveri resti anonimi dei Caduti statunitensi, unitamente a quelli irriconoscibili dei tanti lavoratori italiani: i primi inconsapevolmente immolatisi nella città di San Nicola, ambasciatori di quell’idea di libertà e di democrazia che nobilmente il Nuovo Mondo ha voluto imporre alle nazioni della vecchia Europa dopo secoli di guerre disastrose e, spesso fratricide; i secondi, caduti per la ricerca di quel benessere tanto desiderato dopo un lungo periodo di sacrifici ed una guerra non voluta e che andava concretizzandosi proprio nel duro lavoro quotidiano, a fianco degli Alleati liberatori. Da oggi, inoltre, due lapidi, volute dal gruppo di Bari dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia e realizzate dall’Autorità Portuale della città con il concorso dell’Amministrazione Civica, Provinciale, del Circolo della Vela, della Banca Popolare di Bari e della Soc. Spamat srl, che rendono merito a quel sacrificio e che finalmente riportano le identità di quegli uomini accomunati in un inconsapevole tragico destino affinché esse rimangano per sempre scolpite nella mente dei presenti e, cosa ancor più importante, in quella delle future generazioni.

 

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U.S. Liberty Ship Charles Henderson

 

Equipaggio militare

Military crew

 

EBERT, Eugene E. - lt. (jg) - USNR - 296881

ATKINSON, Charles Henry - SM3c - USNR - 895-20-08

BOWERS, Pail Cromer, Jr. - Slc - USNR - 246-49-09

CAMPBELL, Daniel - Slc - USNR - 638-65-93

CHARLES, Woodrow Donald - GM3c - USNR - 819-65-93

COURT, James John - SM3c - USNR - 810-59-31

HARRIS, John Royff - GM3c - USNR - 683-51-69

KWIATKOWSKI, Joseph - Slc - USNR - 861-54-98

NAGLE, Carl Peter - Slc - USNR - 730-12-93

SENIOR, Gorge Bryant - Slc - USNR - 293-21-45

XUXIK, Joseph James - Slc - USNR - 251-32-03

WALTERS, Kenneth Sydney - Slc - USNR - 762-37-44

 

Sopravvissuto/Survivor

 

OWEN, William Lovell - GM2c - USN - 830-07-61

 

Equipaggio civile

Civil crew

 

HERBERT J. LOUIS MASTER

ALLEN J. BAILER Chief/Mate

JAMES E. CONWELL 2nd/Mate

LAURI P. SAVOLAINEN 3rd/Mate

JOHN F. ROCHE Chief/Radio/Operator

RAYMOND D. WISENER 2nd/Radio/Operator

STEPHEN ZURICK Purser/Pharmacy/Mate

GEORGE ABELLA Boatswain

GEORGE P. WEIGART AB

CHARLES D. KENT AB

JONAH W. HOWARD AB

WALTER A. HASKINS AB

AL B.W. MURRAY, JR. AB

JAMES T. WHITE AB

DONALD C. WEIGART OS

JAMES J. BLOSS OS

ALFRED MORRELL OS

JAMES S. KING 1st/Assistant/Engineer

HARRY HARRIS 2nd/Assistant/Engineer

JAMES P. McCOY 3rd/Assistant/Engineer

JOHN PERNICK DeckEngineer

WENDELL G. FLAKER Oiler

EDGAR NUGA Oiler

ARKADI RAUK Oiler

EARL H. O'DONNELL Fireman/Watertender

JAMES C. SHERIDAN Fireman/Watertender

FREDERICK SPIESE Fireman/Watertender

THOMAS F. DUNN Wiper

JOHN R. DE ARKLAND Wiper

WALTER L. WEBB Steward

ERNEST W. SCHIMMELMAN Chief/Cook

JOHN L. KORPAL 2nd/Cook/and/Baker

JULIUS C. SPAIN Assistant/Cook

HYMAN H. KOPLITSKY Messman

CHARLES GREENBERG Messman

MICHAEL DYBACH Messman

MIKE SCHMIDT Messman

ARTHUR MUELLER Utility

HOWARD H. ARNOLD, JR. Utility

JAY R. ROSENBLOOM Deck/Cadet

WILLIAM P. HILL Deck/Maintenance

 

Sopravvissuto/ Survivor

 

OSCAR T. DAVIS Chief/Engineer

 

 

Civili italiani deceduti nell’esplosione della U.S. Charles Henderson

Italian Civilians who died in the explosion of the U.S. Charles Henderson

 

 

Abbatescianni Lorenzo

Agrippino Placido

Alcantera Antonio

Aliberti Nicola

Altamura Antonio

Altamura Mauro

Altini Giovanni

Altomare Antonio

Amato Pietro

Amendola Francesco

Amoruso Donato

Amoruso Giuseppe

Amoruso Pasquale

Ancona Ferdinando

Angione Corrado

Arcieri Giambattista

Arcieri Giovanni

Ascesa Fortunata

Attolico Adamo

Balice Carmine

Barba Giorgio

Barnaba Nicola

Barnaba Nicola

Bartoli Nicola

Bartoli Nicola

Basilicata Cosimo

Bavieri Adelmo

Belgiovine Corrado

Bellomo Vito

Bisceglie-Fornelli Domenico

Bisceglie-Fornelli Gaetano

Boggia Silvio

Bonavoglia Sabino

Bonazzi Gaetano

Borgomastro Nicola

Bottalico Emanuele

Bottalico Saverio

Bovino Paolo

Brandolino Francesco

Brazzafolli Armando

Brucoli Nicola

Bruno Vito

Buonavoglia sabino

Buongiardino Giovanni

Buonviso Antonio

Bux Nicola

Cafagno Vito

Calabrese Domenico

Caldarulo Angelantonio

Campeggio Giorgio

Campione Pietro

Cancellato Domenico

Cancellato Luigi

Capasso Sebastiano

Capriati Nicola

Capriati Pietro

Capriati Pietro

Cardinale Saverio

Carofiglio Giovanni

Carone Giuseppe

Carrassi Francesco

Carulli Michele

Carulli Michele

Cascione Antonio

Cassano Beatrice

Cassano Emanuele

Cassano Giacomo

Castigliolo Guido

Catacchio Lucia

Catalano Gaetano

Catalano Michele

Cataldo Michele

Cataldo Michele

Cavone Teodoro

Ceglie Giuseppe

Ceglie Giuseppe

Chiarini Domenico

Chieti Vincenzo

Chiumarulo Vito

Ciannamea Pasquale

Ciannamea Simeone

Ciccolella Nicola

Cipri Marino

Colacino Ermenegildo

Colaianni Francesco

Colaianni Mario

Colaianni Vito

Colella Battista

Colella Chiara

Conenna Michele

Corriero Michele

Corriero Michele

Cuccovillo Giacomo

Cuccovillo Michele

Curci Giuseppe

D’Alessio Giuseppe

D’Ambrosio Pasquale

D’Onofrio Francesco

Damiani Vito

Daniele Bartolomeo

De Benedictis Giorgio

De Benedictis Vito

De Carne Pasquale

De Francesco Francesco

De Frenza Vito

De Gennaro Giuseppe

De Marzo Antonio

De Marzo Donato

De Marzo Vito

De Pasquale Nicola

De Pinto Damiano

De Santis Giuseppe

De Scala Aniello

De Tullio Giovanni

De Tullio Giuseppe

De Tullio Giuseppe

Del Rosso Gaetano

Dell’Orco Leonardo

Dentamaro Giovanni

Di Donna Giambattista

Di Franco Sante

Di Gioia Atonia

Di Lernia Vito

Di Liddo Sergio

Di Luigi Tullio

Di Marzo Domenico

Di Marzo Domenico

Di Matteo Giacinto

Di Salvatore Raffaella

Dragonieri Rocco

Falco Gennaro

Fanelli Domenico

Fanelli Spiridione

Fasano Gennaro

Favia Nicolangelo

Fedato Pietro

Ferrante Pasquale

Ferrarese Michele

Fiasconara Silvestro

Fileti Nicola

Filograno Michele

Finestrone Vincenzo

Fiore Domenico

Fiore Giorgio

Fiorentino Matteo

Florio Francesco

Florio Francesco

Fortunato Marino

Fox Anna

Franco Saverio

Franco Saverio

Frisini Michele

Fusaro Vincenzo

Fusco Onofrio

Gagliardi Onofrio

Galantucci Raffaele

Genchi Francesco

Genchi Onofrio

Genchi Saverio

Giacomantonio Giuseppe

Giancaspro Vito

Giannelli Mario

Gibaldi Vincenzo

Giuliani Giuseppe

Granata Francesco

Greco Nicola

Grimaldi Vito

Grimaldi Vito

Guaragno Pietro

Intranova Francesco

Introna Emanuele

Introna Pasquale

Iodice Alessandro

Iodice Francesco

Isola Alessandro

Izzo Ubaldo

Ladisa Vito

Ladisa Domenico

Ladisa Vito

Lafronza Nicola

Lagioia Rocco

Laguaragnella Vito

Lamacchia Nicola

Lamonica Giovanni

Lampugnano Celeste

Lanave Damiano

Lapedota Gennaro

Laraia Girolamo

Lattanzi Giovanni

Lavecchia Savino

Leuci Domenico Antonio

Lobuono Francesco

Loconsole Giuseppe

Lopez Donato

Lopez Gaetano

Lopez Gaetano

Lopez Giuseppe

Lopez Michele

Lopez Onofrio

Lopez Vito

Loprieno Sebastiano

Loprieno Sebastiano

Lorusso Vito

Losavio Pasquale

Losavio Pasquale

Losurdo Vito

Lotito Donato

Lucchini Silvio

Luzzana Attilio

Macellaio Francesco

Macellaio Luigi

Macina Raffaele

Maenza Angelo

Magarelli Michele

Maggi Francesco

Magrone Marino

Marchitelli Giuseppe

Marino Filippo

Marino Mauro

Martinelli Valerio

Marzano Francesco

Maselli Nicola

Mazzetti Emilio

Messina Onofrio

Mezzina Giovanni

Michetti Leopoldo

Milella Giuseppe

Milella Michele

Minafra Vito

Mincuzzi Natale

Minerva Francesco

Miolli Domenico

Mirievic Dragutin

Misceo Domenico

Mongelli Gaetano

Monte Maria

Monteleone Ilario

Monterisi Giovanni

Montinaro Antonio

Moretti Michele

Moretti Onofrio

Moscatelli Domenico

Moschetti Giuseppe

Moschetti Giuseppe

Narciso Pasquale

Naschetti Martino

Nassivera G.Battista

Natale Salvatore

Natilla Domenico

Nocita Luigi

Novello Luigi

Novello Luigi

Paglionico Natale

Palazzo Nicola

Palermo Donato

Palumbo Giuseppe

Palumbo Salvatore

Panebianco Giuseppe

Parisi Domenico

Partipilo Nicola

Patruno Pasquale

Pelati Bruno

Pellegrini Vincenzo

Penta Filomeno

Petronella Giuseppe

Piccaretta Luigi

Piscitelli Giuseppe

Polese Salvatore

Porfizio Nicola

Portoghese Emanuele

Primavera Giuseppe

Prologo Arcangelo

Razza Luigi

Referendi Mario

Rizzi Giuseppe

Rizzi Michele

Roca Leonardo

Romita Innocente

Roncone Anna

Rossi Leonardo Antonio

Rossini Carlo

Rossini Michele

Rossini Paolo

Rotondo Giuseppe

Ruggiero Francesco

Sabato Antonio

Sabato Giuseppe

Salva Stefano

Samarelli Corrado

Santoro Saverio

Saponara Giuseppe

Scaletta Antonio

Scaramuzzi Domenico

Scaramuzzi Francesco

Scardicchio Vincenzo

Schino Leonardo

Sciacovelli Pasquale

Sciancalepore Pasquale

SciancaleporeVincenzo

Sciullo Paolino

Scorcia Michele

Scorrano Salvatore

Sforza Biagio

Sgherza Leonardo

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Aggiungo il resoconto da L.A.Sawyer e W.H. Mitchell, "The Liberty Ships", Lloyds' of London Press, 2a ediz. 1985:

 

"Dopo il disastro del dicembre 1943, in cui 18 navi tra cui cinque Liberty (cfr. JOHN HARVEY etc.) vennero affondate in un attacco aereo tedesco su Bari, il porto consolidò la sua posizione quale principale porto di rifornimento dell'esercito britannico in Italia [l'8a Armata ndr], oltre che come base di scarico delle  bombe pesanti per l'Air Force americana [di base a Foggia ndr].

Il 9 aprile 1945 tredici navi erano sotto scarico a Bari. Al molo 14, al centro del sistema dei moli, la CHARLES HENDERSON, con 2.000 tonnellate di bombe da 500 e 1.000 libbre ancora a bordo in cinque stive, stava operando con cinque squadre di scaricatori italiani sotto la supervisione di genieri britannici. Subito prima di mezzogiorno, senza preavviso alcuno, una enorme fiammata si levò dalle stive di poppa, che contenevano ancora 1.000 tonnellate di bombe, e fu seguita da una tremenda esplosione. Una colonna di fumo e rottami si innalzò per diverse migliaia di piedi in aria mentre la parte posteriore della nave si disintegrava. La parte anteriore della nave fu sospinta in avanti andando a schiantarsi contro il molo, una massa contorta di relitti in fiamme che conteneva ancora 1.000 tonnellate di bombe che avevano subito uno scossone violento.

Il molo 14,  con le sue gru, i capannoni, la ferrovia, il bar e gli uffici cessò di esistere, trasformandosi in un mucchio di macerie fumanti. Una sezione pesante 60 tonnellate del ponte di comando della nave fu scagliata a centinaia di metri di distanza nel settore della marina militare, dove provocò l'incendio di capannoni, sale mense e materiali militari. Due altre navi, anch'esse cariche di esplosivi, presero fuoco, come pure una nave cisterna carica di nafta, e numerosi incendi scoppiarono tra le autocisterne, gli autocarri, gli uffici e i carichi sui moli.

Un'ondata di marea, provocata dall'esplosione, danneggiò altri moli ed installazioni e tutte le navi in porto; inoltre migliaia di tonnellate di macerie accumulate presso il molo esterno dopo le esplosioni del dicembre 1943 vennero sparpagliate. La nave cisterna in fiamme venne rimorchiata fuori dal porto dai rimorchiatori militari, e portata ad arenarsi.

Un mese dopo i moli di Bari erano tornati operativi, proprio nel momento in cui  suonava il cessate il fuoco in Europa.

Nel 1948 il relitto della CHARLES HENDERSON fu venduto a demolitori di Genova per lo smantellamento."

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Aggiungo che in base al Arnold Hague convoy database, CHARLES HENDERSON aveva fatto parte del convoglio USA-Mediterraneo UGS.80, salpato da Hampton Roads il 14 marzo 1945 con 50 mercantili e  5 navi scorta (DE della US Navy) e disperso verso vari porti di destinazione nel Mediterraneo (dove ormai non c'erano più minacce né subacquee né aeree) il 29 marzo. Il 3 aprile 1945 arriva ad Augusta come indipendente, e ancora come tale arriva a Bari il 5 aprile.

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CHARLES HENDERSON, hull number MCE (Maritime Commission, Emergency fleet)-1043, costruito da Delta SB Co. Inc., New Orleans, La., n. costr. 54, impostato 29.3.1943, varato 1.5.1943 e consegnato 19.5.1943 (costruito in 51 giorni) in gestione dalla WSA (War Shipping Administration) alla Mississippi Shipping Co. Inc., porto di armamento New Orleans.

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