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U-Boote e sommergibili italiani in azione a sud dell'Islanda, febbraio-marzo 1941


Francesco Mattesini
  • All’inizio del 1941 la guerra sottomarina nel Nord Atlantico andava assumendo, da parte tedesca, un nuovo volto, quello di una maggiore collaborazione aeronavale tra sommergibile e aerei, nell’attacco ai convogli e ai mercantili isolati britannici che percorrevano l’Atlantico.
    L'ammiraglio Karl Dönitz, Comandante in Capo dei Sommergibili tedeschi (Befehlshaber der Unterseeboote – B.d.U.) che reputava indispensabile la stretta collaborazione fra l'aviazione e i sommergibili per la scoperta e l'attacco ai convogli nelle zone nord-occidentali delle Isole britanniche, aveva più volte richiesto che gli si accordasse un certo numero di aerei a grande autonomia. Ma il feldmaresciallo Hermann Göring, Comandante della Luftwaffe, aveva idee del tutto personali sull'impiego dell'aviazione. Fedele al principio «tutto ciò che vola mi appartiene», fin dal tempo di pace non aveva mai preso in considerazione le richieste della Marina che voleva disporre di una aviazione propria.

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LA RICERCA E L’ATTACCO DEI SOMMERGIBILI DELL’ASSE A CONVOGLI BRITANNICI A SUD DELL’ISLANDA
19-27 Febbraio 1941

 

I SUCCESSI DEL SOMMERGIBILE MICHELE BIANCHI

 

La collaborazione fra Aerei e Sommergibili tedeschi nella ricerca ai convogli nel Nord Atlantico

 

All’inizio del 1941 la guerra sottomarina nel Nord Atlantico andava assumendo, da parte tedesca, un nuovo volto, quello di una maggiore collaborazione aeronavale tra sommergibile e aerei, nell’attacco ai convogli e ai mercantili isolati britannici che percorrevano l’Atlantico.
L'ammiraglio Karl Dönitz, Comandante in Capo dei Sommergibili tedeschi (Befehlshaber der Unterseeboote – B.d.U.) che reputava indispensabile la stretta collaborazione fra l'aviazione e i sommergibili per la scoperta e l'attacco ai convogli nelle zone nord-occidentali delle Isole britanniche, aveva più volte richiesto che gli si accordasse un certo numero di aerei a grande autonomia. Ma il feldmaresciallo Hermann Göring, Comandante della Luftwaffe, aveva idee del tutto personali sull'impiego dell'aviazione. Fedele al principio «tutto ciò che vola mi appartiene», fin dal tempo di pace non aveva mai preso in considerazione le richieste della Marina che voleva disporre di una aviazione propria.
Una volta stabilito che la Luftwaffe avrebbe condotto per proprio conto anche la guerra sul mare, alla Marina, come accadeva anche in Italia, furono concessi soltanto aeroplani adatti all'esplorazione e in previsione di operazioni tattiche o di scontri navali. Ma poiché quegli stessi aerei rimanevano sempre alle dipendenze della Luftwaffe, ne conseguiva che di essi si poteva disporre soltanto mediante preventive richieste e contatti e non sempre le richieste erano accolte nella giusta misura.
Pertanto, una prima collaborazione fra gli aerei e i sommergibili, che era iniziata dopo la conquista della Francia, nel luglio del 1940, e proseguita fino a tutto dicembre, non aveva avuto un grande successo a causa della povertà dei mezzi impiegati. La maggior parte dei velivoli della Luftwaffe erano antiquati e possedevano insufficiente autonomia, e poiché scarsi erano gli aerei a grande raggio d’azione, fu possibile a malapena assicurare una ricognizione giornaliera nella zona a sud-ovest dell'Irlanda. Questo non poteva bastare all'ammiraglio Dönitz, che si vide costretto a chiedere qualcosa di più da utilizzare per le sue reali necessità.
Il 2 gennaio del 1941 Dönitz fece una relazione sull'argomento al Comandante in Capo della Marina Germanica, grande ammiraglio Erich Raeder, a Berlino. Questi, che concordava pienamente con lui, lo mandò dal generale Alfred Jodl, Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht (OKW) il quale, sentite le ragioni e restatone convinto, ne parlò a Adolf Hitler il 7 gennaio. Il Führer assecondò le richieste di Dönitz e gli mise a disposizione dodici velivoli FW.200 del 1° Gruppo del 40° Stormo (I./KG.40) di base a Merignac, presso Bordeaux, affinché li impiegasse per l'esclusivo compito di esplorazione e collaborazione con i suoi sommergibili.
Il FW.200, aereo civile di linea opportunamente trasformato, chiamato più comunemente Condor, era l'unico quadrimotore tedesco impiegato dalla Luftwaffe con compiti operativi di bombardamento. Dotato di una autonomia di 800 miglia, esso poteva spingersi fino al 20° meridiano ovest e quindi oltre la zona di dispersione dei convogli il cui limite era fissato a quell'epoca sul 19° meridiano. Inizialmente i FW.200 disponibili erano ancora pochi e quindi in grado di espletare soltanto due ricognizioni giornaliere nella zona del Canale del Nord.
Nondimeno, malgrado iniziali difficoltà dovute alle non buone comunicazioni radio e a errori di rotta, gli aerei riuscirono in più occasioni a scoprire i convogli e, con le loro segnalazioni, permisero al B.d.U. di appostare i sommergibili al punto giusto per intercettarli. Inoltre, poiché era stato dato loro un secondo compito, quello di attaccare tutte le navi mercantili che navigavano isolate o che avevano perduto il contatto con i loro convogli, i FW.200 dettero forte contributo nell'affondare piroscafi per conto proprio, e in effetti, in due mesi, dal gennaio al febbraio, ne distrussero ben trentasette per quasi 150.000 tsl.
Da parte britannica, inizialmente non potevano essere escogitati rimedi efficaci contro i Condor, che agivano molto al di fuori dell'autonomia dei velivoli da caccia di base a terra. Pertanto, non restò che spostare ulteriormente più a nord, verso l'Islanda, le rotte dei convogli in uscita dal Canale del Nord in modo da allontanarle dalla zona di influenza degli aerei tedeschi.
La diramazione delle rotte, che indubbiamente facilitava ai britannici la difesa, finì per rendere sempre più difficile al Comando Superiore dei Sommergibili tedeschi il compito di trovare i convogli. Con i soli sommergibili si poteva sorvegliare solo una limitata distesa di mare. Ma poiché una volta individuata la posizione degli U-boote i convogli potevano facilmente evitare lo sbarramento predisposto dal B.d.U. cambiando rotta, in febbraio, di fronte agli insuccessi, fu necessario cambiare tattica.
Mentre lo schieramento dei sommergibili tedeschi fu prolungato fino nelle zone situate a sud dell'Islanda, i FW.200 del I./KG.40 partendo dalla base di Bordeaux e poi anche da Brest, si trasferivano in Norvegia sorvolando tutta l'ampia distesa settentrionale a ovest e a nord-ovest delle Isole britanniche. Nel trasferimento essi segnalavano e attaccavano a bassa quota i convogli e le navi isolate incontrate, quindi raggiungevano la base di Stavanger-Sola, oppure di Vaernes, presso Trondheim, e ne ripartivano il giorno seguente per rientrare in Francia facendo, con le medesime modalità operative, lo stesso tragitto in senso inverso.
Così, giovandosi della collaborazione degli aerei, che andavano perfezionando, con il sistema d'impiego, la condotta della navigazione, il mantenimento del contatto e delle comunicazioni, nella seconda metà di febbraio i sommergibili svolsero un brillante e fruttuoso ciclo operativo che vide impegnati con buoni risultati anche i sommergibili italiani dell’11° Gruppo di base a Bordeaux (Betasom), comandato del contrammiraglio Angelo Parona.

 

La ripresa delle operazioni in comune tra sommergibili tedeschi e italiani e il primo successo del sommergibile BIANCHI

 

Le operazioni in comune tra sommergibili tedeschi e italiani si svolsero in un periodo di grandi tempeste che continuarono a flagellare, in quell'inverno eccezionalmente lungo, il Nord Atlantico.
Avendo preso accordi con il B.d.U. l’ammiraglio Parona nella prima decade di febbraio fece partire un gruppo di quattro sommergibili, il MICHELE BIANCHI, il giorno 5, l’OTARIA e il LORENZO MARCELLO il giorno 6, e l’Agostino Barbarigo il giorno 10, con l’ordine di raggiungere nella zona di operazioni settentrionali posizioni a cavallo del 15° parallelo est. L’Otaria arrivo nella sua zona il 13 febbraio, il Bianchi il 14, il Barbarigo il 16, mentre nessuna notizia si ebbe dal Marcello che, come vedremo, andò perduto per cause non accertate, per cui non sappiamo se avesse raggiunto la zona assegnata.
Al BARBARIGO fu anche trasmesso, il 12 febbraio, di fare attenzione nei giorni dal 13 al 16 per “Probabile passaggio” nella sua zona dell’incrociatore pesante tedesco ADMIRAL HIPPER, salpato da Brest per attaccare i convogli ad ovest delle Isole britanniche. Gli spostamenti dell’HIPPER furono trasmessi ai sommergibili con altri messaggi di Betasom.
Le condizioni atmosferiche furono particolarmente sfavorevoli per i sommergibili fin dall’attraversamento del Golfo di Guascogna, tanto che il Bianchi avendo trovato mare che raggiunse l’intensità di forza 8, ebbe asportato il primo portellone anteriore dell’intercapedine, con leggera entrata d’acqua e allagamento del periscopio d’attacco. Tuttavia ciò non gli impedì dal continuare la missione in buone condizioni, tanto che il comandante del sommergibile, capitano di corvetta Adalberto Giovannini, scrisse nel suo rapporto di missione d’essere rimasto abbastanza soddisfatto della tenuta al mare della sua unità anche di poppa e con governo difficile.
Su richiesta del Comando Superiore dei Sommergibili, che spostava i propri U-boote verso nord, il 16 febbraio Betasom costituì con le quattro unità subacquee uno sbarramento, a ponente dell'Irlanda, per l'attacco al traffico in zone più meridionali rispetto alle posizioni tenute dagli U-boote tedeschi sulle rotte con il Canale del Nord.
Mentre l’OTARIA e il BARBARIGO non effettuarono alcun avvistamento, il Bianchi (capitano di corvetta Adalberto Giovannini), fin dalla notte del 14 febbraio riuscì a conseguire un primo successo. Avvistato alle 01.45 un piroscafo da carico oscurato di circa 5.000 tonnellate, con pozzi delle stive lunghissime e alberi a traliccio, e con rotta nord-est, il comandante Giovannini, manovrando dal lato favorevole rispetto alla luce della luna, lo attaccò di prora alle 03.26, lanciando un siluro da 450 mm che però fallì il bersaglio. Allora, ripeté la manovra d’attacco e alle 04.36, lanciò altri due siluri da 533 mm da 700 metri di distanza, che colpirono entrambi. Quindi, insieme al personale di servizio in torretta, assistette all’affondamento del piroscafo, avvenuto in appena 65 secondi, senza che avesse potuto ultimare un disperato segnale di soccorso.
Si trattava del piroscafo britannico Alnmoor (capitano Albert Edwards), di 6.573 tsl, costruito nel 1927 e in servizio per la compagnia Doxford W. & Sons - William Doxford & Sons Ltd. di Sunderland. Nave dispersa del convoglio SC.21 l’ALNMOOR, dopo essersi trasferito da New York ad Halifax, era partito dal porto canadese il 31 gennaio diretto a Newport (Galles), trasportando un carico di farina e un carico generale compreso acciaio metalli e ferroleghe, nonché anche quattordici aerei da caccia tipo “Curtiss” (fonte Warsailors). Il piroscafo, colpito dai due siluri del BIANCHI, affondò a sud-ovest di Capo Clear, la punta estrema meridionale dell’Irlanda. Decedette l’intero equipaggio di quarantadue uomini.
Subito dopo conclusa l’azione, il Bianchi, alle 04.52, avvistò un altro piroscafo diretto a nord-ovest ma, non potendo attaccarlo per le condizioni iniziali sfavorevoli e per la sua forte velocità di quella nave, desistette dall’inseguirlo. Gli altri tre sommergibili italiani non realizzarono avvistamenti, sebbene su segnalazione di Betasom il Marcello fosse stato inviato verso la danneggiata petroliera olandese TARIA, alla cui vana ricerca partecipò anche il sommergibile Francesco Morosini (capitano di corvetta Alfredo Criscuolo), che assieme all'ENRICO DANDOLO (capitano di corvetta Riccardo Boris) si trovava in quella zona di operazioni, ed erano entrambi in procinto di rientrare alla base. La TARIA, di 10.354 tsl, era stata colpita dalle bombe di un velivolo tedesco FW.200 del I./KG.40, poté raggiungere Rothesay Bay, ove trasbordò il suo carico di benzina su un’altra petroliera.
Di fronte alla rarefazione del traffico nel settore assegnato ai sommergibili italiani, fatto notare al Comando tedesco dall’ammiraglio Parona, il 18 febbraio, e su nuove disposizioni del B.d.U., Betasom spostò di circa 80 miglia a settentrione il BIANCHI, il MARCELLO e il BARBARIGO, e tenne a sud il solo OTARIA che si trovava a corto di nafta. In tal modo si costituì, in un settore al momento più adatto, un nuovo schieramento, che completò con continuità il dispositivo tedesco lungo il 20° meridiano ovest e che coprì l'ampia zona compresa fra il Canale del Nord (57° parallelo nord) e l'estremo sud dell'Islanda. All’Otaria (capitano di corvetta Giuseppe Vocaturo), alle 11.00 del 19 fu ordinato di rintracciare un piroscafo in avaria, ma il sommergibile non riuscì a rintracciarlo.
L'ammiraglio Dönitz, che non disponeva ancora di un sufficiente numero di sommergibili da impiegare negli ampi sbarramenti, di fronte alle missioni vittoriose battelli italiani, in particolare del TORELLI (capitano di fregata Primo Longobardo), che in gennaio aveva affondato quattro piroscafi (Nemea, Brask, Nikolaos Filinis e Urla), per 17998 tsl, aveva ritenuto necessario riprendere con Betasom quella collaborazione che il B.d.U. aveva bruscamente interrotta il 5 dicembre del 1940. Decisione che era stata determinata dagli scarsi successi conseguiti dalle unità subacquee italiane, e dal loro insufficiente addestramento nell’attaccare i convogli, tanto da dimostrarsi, secondo quanto scritto da Dönitz alla S,K.L. il 5 dicembre 1940, più d’impaccio che di utilità. Ciò che aveva determinato a Betasom grande delusione. Pertanto, ancora una volta, attuando un dispositivo nel quale erano contemporaneamente impegnati diversi sommergibili tedeschi e italiani, l'ammiraglio Dönitz poneva le basi per lo svolgimento di una vasta manovra di ricerca e attacco ai convogli, contando su una buona prova fornita dalle unità subacquee italiane.

 

La prolungata ricerca del convoglio “OB.287”

 

A mezzogiorno del 19 febbraio 1941 un quadrimotore FW.200 della 1a Squadriglia del I./KG.40, che si era alzato dall’aeroporto di Merignac (Bordeaux) con destinazione Stavanger-Sola (Norvegia) pilotato dal tenente Bernhard Jope, nel volo di ricognizione ad ovest dell'Inghilterra avvistò, a 80 miglia a nord-ovest da Capo Wrach (59°40'N, 06°W), il convoglio OB.287 in uscita dal Canale del Nord, e dopo aver lanciato il segnale di scoperta lo attaccò affondando la petroliera Gracia e il piroscafo Housatonic, per complessive 11.181 tsl.
Poiché la posizione del convoglio, segnalato dagli aeri comprendere quarantacinque navi senza apparente scorta, non appariva segnalata con sufficiente precisione, per intercettare quella grossa formazione (40 navi mercantili su nove colonne e cinque unità di scorta), che con rotta a ovest si spostava a 7 nodi lungo il 59° parallelo, alle 16.17 l'ammiraglio Dönitz, quel giorno 19, scrisse nel suo Diario di Guerra:

 

Occorre tentare l’impiego dei sommergibili che si trovano al Nord in posizione favorevole. E’ altrettanto possibile che il convoglio accosti verso Nord come verso Sud. Mi decido a costituire una linea di sbarramento il cui centro si trovi davanti alla prora del convoglio dirigente per Ovest. I battelli possono appunto raggiungere una linea di sbarramento che si trovi ad Ovest della posizione in cui si troverà a mezzogiorno [del 20] il convoglio, considerando la sua velocità di 7 nodi. Se farà invece 8 nodi, i sommergibili dovranno incontrarlo nell’ultimo tratto della sua rotta. I sommergibili ricevono pertanto l’ordine di trovarsi per le ore 12.00 su una linea di sbarramento profonda 6 miglia da Qu 2111 fino a Qu 23.77.

 

Allo sbarramento dei sommergibili, steso lungo il 12° meridiano ovest e fra i paralleli 60°50'N e 59°10'N, parteciparono nell'ordine da nord U-73, U-107, U-48, U-96 e U-69, distanziati in linea di fila di 20-25 miglia fra loro; una distanza che fu ritenuta sopportabile dal B.d.U. data “la mole del convoglio e la probabile buona visibilità”. L’U-103, che aveva comunicato di essere in rotta di rientro, non poté partecipare allo sbarramento, che fu integrato e prolungato all'estremità meridionale dai sommergibili italiani Barbarigo e Marcello, mentre il Bianchi fu posto in posizione arretrata per partecipare all'eventuale attacco dopo l'avvistamento della formazione nemica da parte dei sommergibili avanzati.
Allo scopo di consentire lo schieramento di tutti i sommergibili, essi ricevettero l'ordine di attaccare il convoglio solo dopo averne ricevuto l'ordine dal Comando a terra.
Il convoglio, fu più volte segnalato il successivo 20 febbraio dalla ricognizione aerea, assicurata fin dall'alba a mezzo di tre velivoli FW.200 del I./KG.40 partiti ad intervalli di un'ora, per darsi il cambio e mantenere il contatto. E fu constatato che la sua rotta generale dirigeva sull'ala sud dello schieramento tedesco. Sussistendo il pericolo che le navi da carico potessero aggirare lo sbarramento da quel lato, il B.d.U. sperò che il sommergibile italiano prolungante la fila, il Barbarigo (capitano di corvetta Giulio Ghiglieri), avvistasse il convoglio. Ma ciò non avvenne poiché, a seguito di una segnalazione del sommergibile, che alle ore 12.00 dava la propria posizione (37°45'N, 20°45'W), fu constatato che il Barbarigo risultava molto a ponente rispetto a quanto ordinato.
Avendo il sommergibile italiano specificato che a causa delle condizioni atmosferiche (mare-vento forza 7 – 9 da ovest) navigava alla velocità di soli 4 nodi apparve chiaro che non avrebbe potuto assumere la posizione assegnata nello sbarramento. Tale posto fu allora assegnato al Bianchi, ma questi non poté giungervi in tempo e pertanto, proprio nella posizione decisiva, non vi fu nessun sommergibile ed il convoglio OB.287 passò indenne. Tuttavia esso fu attaccato nel pomeriggio da due FW.200 del I./KG.40 (uno dei quali con pilota il tenente Bernhard Jope decollato da Stavanger per rientrare a Merignac) i quali danneggiarono gravemente tre piroscafi e una grossa petroliera. Ma non fu possibile portare direttamente a contatto i sommergibili che alle 15.03, in seguito ai cambiamenti di rotta del convoglio, avevano ricevuto l'ordine di spostarsi verso ponente, poiché la posizione comunicata dagli aerei risultò alquanto imprecisa.
Infatti, durante tutta la giornata al Comando Superiore dei Sommergibili vi fu molta incertezza a causa delle notevoli discordanze sulla segnalazione del convoglio secondo gli avvistamenti effettuati dagli aerei e le intercettazioni radiogoniometriche del Servizio B, l'organizzazione di allarme radio della Marina tedesca. Ritenendo che meritassero maggior fiducia le segnalazioni degli aerei, l'ammiraglio Dönitz inizialmente decise di basarsi solo su quelle; poi, alle 19.45, quando si accorse che le notizie giunte non erano attendibili, dando ragione alle comunicazioni del Servizio B impartì ordini per la costituzione di una nuova linea di sbarramento, situata più a levante verso il 17° meridiano ovest. Tale linea, disposta sulla normale alla direttrice di marcia del convoglio e ancora formata da U-73, U-107, U-48, U-96 e U-69 venne nuovamente prolungata alle ali dai tre sommergibili italiani: il Bianchi e il Barbarigo a nord, il Marcello a sud.
Alle 03.00 del 21 febbraio i sommergibili ricevettero l'ordine di iniziare il rastrellamento della zona con rotta nord-est alla velocità di 8 nodi e alle 14.00, in seguito ad un nuovo segnale di scoperta del convoglio trasmesso nel primo pomeriggio, abbandonarono le posizioni ordinate per dirigere incontro al nemico. Ma anche questo tentativo fallì a causa di discordanze nelle segnalazioni. Pertanto, al calar della notte, l'ammiraglio Dönitz decise di interrompere le ricerche dell'OB.287 e assegnò alle unità subacquee nuove posizioni di agguato. Soltanto l’U-96 del tenente di vascello Heinrich Lehmann-Willenbrock riuscì a rintracciare e affondare poco dopo mezzogiorno del 22 febbraio una nave del convoglio, la petroliera britannica Scottisl Standard, di 6.999 tsl, che alle 09.23 era stata colpita dalle bombe di un velivolo FW.200 del I./KG.40 e abbandonata dall’equipaggio.

 

La ricerca e l’attacco al convoglio “OB.288” e il secondo successo del sommergibile BIANCHI

 

Alle 09.30 del 22 febbraio, un FW.200, decollato da Stavanger per rientrare in Francia, avvistò nel punto geografico di latitudine 59°59'N, longitudine 01°24'W, situato a 40 miglia a sud di Lousy Bank (banchi dei pidocchi), il successivo convoglio OB.288, anch'esso in rotta dall'Inghilterra verso occidente, che risultava formato alla partenza da quarantasette navi mercantili e da cinque unità di scorta, i cacciatorpediniere Georgetown (capo scorta), Achates, Antelope, la corvetta Heather e il trawler Ayrshire, e che includeva anche il Manistee, un piroscafo veloce requisito dall’ammiragliato e impiegato come nave scorta oceanica (Ocean Boarding Vessel).
Il FW.200 attaccò l’OB.288 e sganciate le bombe danneggio i due piroscafi britannici Mount Kitheron e Keila. Per sfruttare la situazione, il B.d.U. ordinò a U-46 e U-552 di operare contro il convoglio; poi, quando alle 12.00 giunse dall'aereo un nuovo segnale che rettificava la primitiva posizione della formazione nemica, l'ammiraglio Dönitz decise di costituire un nuovo gruppo di ricerca spostando U-73, U-69, U-96, U-107, U-552, U-97, Barbarigo e Bianchi che si trovavano in posizione favorevole per intervenire.
Comunque il raggiungimento di una linea di sbarramento prima dell'oscurità, fu ritenuta incerto dal B.d.U., per l’imprecisione delle posizione in cui si trovavano i sommergibili, molti differente tra di loro dal momento che avevano navigato ad alta velocità. Per raggiungere almeno una certa ampiezza di esplorazione, U-73, U-96 e U-69 ricevettero l’ordine di ricercare il contatto in strisce larghe 20 miglia, tra lat. 60°30’N, long. 59°30’W, e all’U-107 e U-123, che si trovavano più lontani, fu trasmesso l’ordine “nessun legame”. Fu comunicato all’U-552 che, nel caso vi fosse buona visibilità, dovesse spingersi in avanti, e all’U-46 di restare nella zona di agguato. Quanto all’U-107, che era in ritardo, esso comunicò poco dopo di essere in rotta di rientro.
Alle 16.16, operando in base agli avvistamenti aerei, l'U-73 (tenente di vascello Helmut Rosenbaum), che nello sbarramento occupava la posizione più settentrionale, avvistò il convoglio. Avendo ricevuto l'ordine di trasmettere rilevamenti e di attaccare solo su ordine, allo scopo di permettere alle altre unità di avvicinarsi, il sommergibile si limitò a seguire il nemico comunicando con continuità ed esattezza i dati di localizzazione. Ma nelle ore serali, a causa del mare tempestoso e della cattiva visibilità che resero difficili manovre e controllo, l'U-73 perse il contatto, e ciò deluse l’ammiraglio Dönitz che dal sommergibile si attendeva di mantenere il contatto “in ogni caso”, dal momento che aveva dato libertà di attacco all’U-95, U69 e U-126, ma di giorno solo a condizione di occasioni particolarmente favorevoli.
Ritenendo che difficilmente un altro sommergibile avrebbe potuto rintracciare il convoglio durante la notte, alle 21.00 l'ammiraglio Dönitz ordinò a U-73, U-96, U-69 e U-123 di spostarsi più a ponente e costituire, per le ore 10.00 del mattino successivo, una nuova linea di sbarramento, prolungata alle estremità da un’unità italiana: Bianchi a nord, Barbarigo a sud. I sommergibili, raggiunte le posizioni assegnate, ricevettero l'ordine di dirigere con rotta a nord-est alla velocità di 7 nodi, per cercare di incrociare la rotta nemica; la mossa si dimostrò appropriata poiché le unità subacquee, con una navigazione resa faticosa dal mare tempestoso, poterono disporsi davanti all'OB.288 che, procedendo con rotta nord-est, andò ad incappare, a sud dell’Isolanda, nella linea di sbarramento come era stato previsto dal B.d.U.
Alle 10.00 del 23 febbraio l'U-96 (tenente di vascello Heinrich Lehmann-Willenbrock) avvistò l’OB.288 che si spostava con rotta sud-ovest alla velocità dei 8 nodi, mantenne il contatto e in base alle sue precise segnalazioni gli altri sommergibili vennero informati con continuità durante tutta la giornata e poterono regolare la loro rotta sul nemico in modo da intercettarlo nella notte. Nel frattempo anche un FW.200 del I./KG.40 venne inviato in esplorazione, ma trovandosi il convoglio al limite del suo raggio di autonomia, il velivolo non riuscì a rintracciarlo. A sera si avvicinarono al convoglio OB.288 l'U-69 e l'U-95 e poco dopo il tramonto fu data dal B.d.U. libertà di attacco.
Mentre il Barbarigo, che alle ore 0725 del 23 febbraio avvistò un cacciatorpediniere, non riuscì a portarsi sul convoglio per le sfavorevoli condizioni del mare, che gli impedirono di mantenere sulla rotta opportuna una velocità superiore ai 5 nodi, il Bianchi si trovò in posizione favorevole per intervenire. Nella navigazione di spostamento, poco dopo il crepuscolo del 23, incontrò il piroscafo da carico britannico MANISTEE, di 5.360 tsl, costruito nel 1920 per la compagnia Cammell Laird & Co Ltd, requisito dall’Ammiragliato nel dicembre 1940, che lo armò con due cannoni e due complessi contraerei, trasformandolo in unità di scorta oceanica con la sigla F 104, ed assegnandolo alla sorveglianza delle rotte. Comandato dal capitano di fregata Eric Haydn Smith, il MANISTEE faceva parte del convoglio OB.288, inizialmente costituito da quarantasette navi, poi per sopraggiunte avarie e gli attacchi aerei ridotte a quarantuno.
Il Bianchi attaccò il Manistee contemporaneamente all’U-107 che si trovava in rotta di rientro alla base per raggiunto limite di autonomia.
Il capitano di corvetta Giovannini, avvisto il Manistee alle 17.45, e cinque minuti dopo individuo un U-boote del tipo IX la cui attenzione era rivolta sullo stesso obiettivo. I due sommergibili, dopo aver atteso il tramonto mantenendosi fuori vista su rotta parallela al piroscafo per ben cinque ore, andarono contemporaneamente all’attacco manovrando di prora al bersaglio, senza scambiarsi alcun segnale avendo entrambi i comandanti compreso di avere lo stesso obiettivo. Il comandante Giovannini tentò di precedere al lancio l’unità alleata, ma non vi riuscì. L’U-107, più veloce e manovrabile del sommergibile italiano, invertì la rotta per attaccare di poppa, e il Bianchi a sua volta “invertì la rotta dal lato opposto”, a sinistra, “per non passargli di poppa ed ostacolare il suo lancio”.
Il comandante dell’U-107, capitano di corvetta Günter Hessler, che era il cognato dell’ammiraglio Dönitz, alle 22.42 lanciò un siluro, che fu visto colpire il Manistee al centro nave sul fianco sinistrò, fatto confermato nel suo rapporto anche da Giovannini, che vide il piroscafo cominciare “a sbandare e procedere a lento moto col timone alla banda”. Quando Hessler si accorse che anche il Bianchi stava manovrando di prora a bassa velocità per attaccare il piroscafo, l’U-107 virò di bordo per non trovarsi nel campo di tiro del sommergibile italiano.
Alle 22.56 il comandante Giovannini lanciò a sua volta un siluro da 533 mm dalla distanza di 600 metri. Poco dopo, avendo udito una forte detonazione, probabilmente causata dall’esplosione prematura del siluro, e avendo osservato una colonna di fumo a poppa del piroscafo, che stava calando in mare le imbarcazioni di salvataggio e convinto di aver dato al Manistee il colpo di grazia, si allontanò “per lasciare libero il sommergibile alleato”, e per “riprendere la ricerca delle altre unità del convoglio”.
In realtà, secondo le osservazioni fatte sulla torretta dell’U-107, il Bianchi non riuscì a colpire la nave nemica, che virando stretto, continuò nella sua rotta con uguale velocità, coprendosi con una cortina di nebbia. E’ pensabile che il Manistee non fosse stato raggiunto neppure dal siluro dell’U-107, esploso all’altezza della sala macchine, come affermato dal comandante dell’U-boote, e neppure in altra parte dello scafo, altrimenti la nave si sarebbe fermata, oppure avrebbe diminuito la velocità. Invece, come vedremo di seguito, costrinse l’U-boote a un lungo e movimentato inseguimento.
Infatti, manovrando con adeguati movimenti a zig-zag, il Manistee riuscì a rendere vane diverse azioni d’attacco dell’U-107 e lo tenne a lungo sotto la minaccia dei suoi cannoni. Alle 22.58 l’U-107 lanciò altri due siluri contro il piroscafo, ma non lo colpì. Alle 23.42 lanciò un altro siluro con lo stesso esito. Proseguì l’inseguimento con il bersaglio zigzagante fino alle 07.58 del 24 febbraio, quando lanciò ancora due siluri, uno dei quali, finalmente, colpì il Manistee a poppa causandone l’affondamento in lat. 58°55’N, 20°50’W.
Non è conosciuta la versione britannica sull’affondamento del Manistee dal momento che decedette l’intero equipaggio. In totale, in questa tragedia del mare, morirono ben centoquaranta uomini, diciotto ufficiali e centoventidue marinai.
Avendo intercettato i segnali di soccorso del Manistee due unità britanniche, la corvetta Heather e i cacciatorpediniere Churchill e Leopard (quest’ultimo franco gollista), furono inviati ad assistere la nave in pericolo. Ma i due cacciatorpediniere furono necessariamente dirottati per assumere la scorta di un altro convoglio in arrivo, e la sola corvetta Heather esplorò una larga zona di mare senza rintracciare alcun superstite del Manistee.
Frattanto, mentre il Bianchi, che aveva ripreso l’inseguimento delle navi del convoglio, navigava nella notte tra continui piovaschi, i mercantili dell’ OB.288, per ordine fissato dal Comando dei Western Approaches, erano stati abbandonati sul 19° meridiano ovest dalle unità di scorta, giunte al limite dell’autonomia. Tuttavia, le navi da carico, nonostante avessero ricevuto l’ordine di dispersione alle ore 21.00, trasmesso dal commodoro del convoglio, contrammiraglio R.A.A. Plowden sul piroscafo Sirikishna (capitano Robert Paterson), avevano continuato la loro rotta ancora raggruppate quando, improvviso e senza alcun contrasto, ebbe inizio l’attacco a “branco di lupi” dei sommergibili.
In quel momento le condizioni del tempo erano perfette per agevolare l’attacco dei sommergibili, poiché in assenza di luce lunare, essendo la notte molto buia, non vi era alcuna visibilità. Infine, soffiava un vento leggero e si aveva un moderato moto ondoso che nel corso di attacchi non avrebbe disturbato la corsa dei siluri.
Alle 23.27 del 23 febbraio un primo siluro lanciato dall’U-96 (tenente di vascello Heinrich Lehmann-Willenbrock) raggiunse il piroscafo britannico Anglo Peruvian, di 5457 tsl, affondandolo. Poco dopo l’U-69 e l’U-95 attaccarono a breve intervallo e affondarono altri tre piroscafi, il britannico Marslew dall’U-69 (tenente di vascello Jost Metzler), il piroscafo norvegese Svein Jarl e il britannico Cape Nelson dall’U-95 (tenente di vascello Gerd Schreiber). Il convoglio si scompaginò ebbe inizio la caccia ai mercantili isolati, alla quale parteciparono anche l’U-123 e il Bianchi.
Il sommergibile italiano attaccò un piroscafo di grosso tonnellaggio ritenuto da Giovannini un tipo “Adrastus” della Blue Funnel per la “prora da incrociatore, poppa normale, isola centrale bassissima con plancia non grande e bene staccata, puntali e picchi di carico supplementari sul cassero e castello”. Al termine di un breve inseguimento reso difficoltoso dal mare grosso e dalla pioggia che riduceva la visibilità nella zona, il Bianchi lanciò tre siluri da 450 mm. I primi due di poppa, alle 04.37, che arrestarono un piroscafo, facendolo appruare; e l’ultimo di prora, alle 05.29, che servì a dare il colpo di grazia, sollevando sul bersaglio, all’altezza della prima stiva prodiera, un’alta colonna d’acqua. Il lancio del siluro avvenne dopo che l’equipaggio della nave nemica si era allontanato con le scialuppe di salvataggio.
Si trattava del piroscafo britannico HUNTINGDON, di 10.946 tsl, che il capitano di corvetta Giovannini aveva ritenuto potesse essere per la sagoma molto simile al piroscafo LINARIA, affondato dall’U-96. Nave che noi, invece, nelle due edizioni di “Betasom. La guerra negli Oceani (1940-1943”, abbiamo assegnato al Bianchi, non avendo motivo di dubitare dei dati all’epoca esistenti nell’Ufficio Storico della Marina Militare, trasmessi, a richiesta, dall’Ammiragliato britannico, e confermati anche dallo storico tedesco Jürgen Rohwer.
Sull’affondamento dell’HUNTINGDON da parte del Bianchi esiste da parte britannica la seguente versione. Il piroscafo, costruito in Germania nel 1920, appartenente alla New Zealand Shipping Company, al comando dal capitano John Percy Styrin era salpato da Swansea il 13 febbraio 1941 con un carico vario da trasportare in Australia. Per il trasferimento oceanico raggiunse la Clyde allo scopo di essere inserito nel convoglio OB.288.
Alle 02.35 (orario britannico) del 24 febbraio l’HUNTINGDON fu colpito dal sommergibile Bianchi con un siluro, che aprì un grosso squarcio all’altezza della stiva prodiera numero 1. L’equipaggio salì in coperta e il comandante Styrin ordinò l’abbandono nave, facendo mettere in mare le scialuppe di salvataggio prima che il Bianchi lanciasse un ultimo siluro, il terzo, che colpì nuovamente la grossa nave affondandola in lat. 58°25’N, long. 20°23’W. Faceva freddo e nevicava, ma i sessantasei uomini dell’equipaggio dell’HUNTINGDON furono prontamente salvati dal piroscafo greco PAPALEMOS, che lasciò il convoglio trascurando il rischio di fermare le macchine per recuperare i naufraghi.
Nel frattempo era proseguita la caccia da parte degli U-boote che nelle prime ore del 24 febbraio affondarono con l’U-96 i piroscafi britannici LINARIA e SIRIKISHNA (la nave del commodoro Plowden che decedette), e ancora con l’U-95 il piroscafo britannico Temple Moat.
Alle 04.00 del 24 febbraio, quando l’U-73 (tenente di vascello Helmut Rosenbaum) ottenne l’ultimo successo affondando il piroscafo britannico Wainegate, l’OB.288 risultò decimato, dal momento che dieci navi per 52.857 tsl erano state affondate, nove per 41.911 tsl dai sommergibili tedeschi e una per 10.946 tsl dal Bianchi. Andarono perduti altri due piroscafi isolati venuti a trovarsi in quella notte nella zona di transito del convoglio, e a queste perdite si aggiungeva il danneggiamento di altre due navi mercantili del convoglio OB.288, attaccate dai velivoli Fw.200 del I./KG.40 e costretti a tornare indietro.
Fu probabilmente nel corso di questa operazione che, a sud-ovest delle Isole Ebridi, andò perduto il sommergibile Marcello (capitano di corvetta Alberto Teppati). Nel pomeriggio del 22 tre navi scorta britanniche, i cacciatorpediniere Montgomery e Hurricane e la corvetta PERIWINKLE, attaccarono con le bombe di profondità altrettanti sommergibili localizzati in immersione in zone distanti tra loro. In nessun caso fu ottenuta la prova dell'affondamento; ma poiché l'azione del Montgomery (capitano di corvetta Henry Freston Nash), uno dei cinquanta quattro pipe ceduti dal Presidente statunitense Roosevelt ai britannici nel settembre 1940, si svolse molto vicino alla zona assegnata al Marcello, potrebbe esistere la probabilità che il suo attacco sia stato fatale al sommergibile e ai suoi cinquantasei uomini dell'equipaggio.
Al dramma fu probabilmente inconsapevole testimone il BIANCHI il quale, a partire dalle ore 16.00, udì quaranta scoppi di bombe di profondità lontane e nella direzione di un sommergibile in emersione avvistato alle ore 11.16 del mattino, in lat. 57°55’N, long. 17°40’W, alla distanza di 800 metri senza averne riconosciuta la nazionalità. La possibilità che si trattasse del Marcello può essere avvalorata dal fatto che nessun sommergibile tedesco fu attaccato nel pomeriggio di quel giorno in quella zona. Tuttavia occorre anche considerare che l’attacco del Montgomery contro un supposto sommergibile si svolse alle ore 15.00 (16.00 secondo il fuso italiano) in lat. 59°00’N, long. 17°00’W, e quindi a una distanza di ben 69 miglia da quella in cui si trovava il Bianchi, la cui perdita pertanto resta un mistero difficile da dipanare.

 

La ricerca dei convogli “OB.289” e “OB.290” e il terzo successo del sommergibile BIANCHI

 

Il 23 febbraio, mentre si svolgeva l'operazione contro l'OB.288, il B.d.U. era stato informato dall'U-552 che il susseguente convoglio OB.289 procedeva con rotta a nord al largo delle Isole Ebridi, e pertanto ordinò a U-95, U-97 e U-108 di spostarsi verso oriente per tentare di raggiungerlo. Il comandante dell'U-552, sottotenente di vascello Erich Topp, continuò a mantenere tenacemente il contatto per tre giorni ed attaccò con mare grosso, senza fortuna, a causa di difettoso lancio dei siluri. Nondimeno le sue precise comunicazioni permisero all'U-97 (tenente di vascello Udo Heilmann) di intercettare e attaccare il convoglio, nella notte del 23-24, affondando i tre piroscafi britannici JONATHAN HOLT, MANSEPOOL, BRITISH GUNNER, per 16.761 tsl, e silurando la petroliera norvegese G.C. Brøvig, di 9.718 tsl.
Da parte italiana, secondo la relazione dell’ammiraglio Parona trasmessa a Supermarina, il sommergibile Barbarigo non riuscì a rintracciare il convoglio perché le condizioni del mare da nord-ovest gli impedirono di mantenere una velocità superiore a 5 nodi sulla rotta opportuna. Il sommergibile, trasmettendo la sua posizione, si trovò molto a ponente, con rotta 340°, ciò che costituì una sorpresa a Betasom perché il sommergibile avrebbe dovuto trovare convoglio. Gli fu allora ordinato di rastrellare con rotta 30° fino al parallelo 60°30’N, allo scopo di attaccare eventuali piroscafi dispersi del convoglio. Durante la ricerca il Barbarigo avvistò un piroscafo, ma il suo comportamento prudenziale non gli concesse di conseguire l’agognato successo.
Infatti, alle ore 08.30 del 24 febbraio, il BARBARIGO avvistò gli alberi e il fumo di un piroscafo per 40° circa. Tuttavia, nella presunzione che la rotta di zig-zagamento potesse portare quella nave in prossimità del sommergibile, il capitano di corvetta Ghiglieri, dimostrando di non aver capito come comportarsi in simili situazioni dirigendo sul bersaglio in superficie, preferì immergersi per tentare l’attacco in immersione. Con questa prudente manovra il piroscafo rimase fuori del raggio d’azione del Barbarigo, la cui missione si concluse con una delusione.
Alle 14.11 dell'indomani, 25 febbraio, l'U-47 (tenente di vascello Günther Prien), che si trasferiva nell'area di operazione, transitando a nord-ovest dell'Irlanda, avvistò in lat. 46°15'N, long. 11°45'W un convoglio di venti-venticinque piroscafi diretto a occidente a 7 nodi. Si trattava dell'OB.290, partito da Liverpool il 23 febbraio con sette unità di scorta, i cacciatorpediniere VANQUISHER, WHITEHALL, WINCHELSEA, gli sloop ENCHANTRESS, WESTON, e le corvette CAMPANULA e PIMPERNEL. Nonostante la intensa vigilanza esercitata da aerei, il sommergibile tenne il contatto e nella notte si portò al lancio silurando la grossa petroliera britannica Diala, di 8.106 tsl, e affondando tre piroscafi, il belga Kasongo, il norvegese BORGLAND e lo svedese RYDBOHOLM, per complessive 12.087 tsl..
L'ammiraglio Dönitz, che al momento aveva tutti i sommergibili impegnati a nord, sperò di portare sul convoglio l'U-99 (tenente di vascello Otto Kretschmer) che da Lorient si trasferiva anch'esso in zona di operazione. Pertanto, allo scopo di costituire per il mattino seguente una eventuale linea di sbarramento disposta sul 17° meridiano, davanti alla rotta della formazione nemica con la quale l'U-47 continuava a mantenere il contatto visivo, il B.d.U. dispose alcuni spostamenti. L'U-97, che pur trovandosi senza siluri poteva ancora servire per mantenere il contatto, ricevette l'ordine di dirigere a sud assieme all'U-73; la stessa manovra fu disposta per il Barbarigo e il Marcello che nello sbarramento dovevano prendere posizione alle ali, rispettivamente a nord e a sud, mentre il Bianchi doveva portarsi in un punto più avanzato.
A questa ricerca non vi partecipò l’Otaria, che sempre trovandosi a sud della zona in cui si stavano sviluppando ricerca e attacco al convoglio OB.288, non aveva avuto occasione di avvistare naviglio nemico, né militare né mercantile, e in conseguenza il 24 febbraio, a corto di nafta, aveva avvertito Betasom di rientrare alla base.
L'U-47 continuò a comunicare la posizione e gli spostamenti dell'OB.290 per tutta la notte e gran parte della giornata del 26 febbraio, ma poi, calata l'oscurità, fu costretto a immergersi per la reazione di una unità della scorta e perse il contatto. A questo punto l'impiego dell'U-97 del tenente di vascello Heilmann, anche se era privo di siluri, si dimostrò redditizio. Il sommergibile prese contatto nel pomeriggio e con le sue segnalazioni radiogoniometriche permise a una formazione di sei FW.200 del I./KG.40 partita da Merignac di portarsi sul convoglio, che avvistarono e attaccarono, a 350 miglia ad ovest dell'Irlanda. Furono colpite con le bombe dagli aerei ben dieci navi, sei delle quali, per 33.067 tsl., affondarono.
Si trattava dei piroscafi britannici LLAWERN, MELMORE HEAD, e SWINBURNE, l’olandese BEURSPLEIN, il norvegese SOLFERINO e il greco KYRIAKOULA .
Sebbene le condizioni del tempo fossero andate peggiorando, l'U-97 continuò a tenersi in vista dell'OB.290 fino alla mezzanotte, quando, trovandosi ormai oltre il 19° meridiano ovest, il convoglio britannico si sciolse. I sommergibili che si trovavano nelle vicinanze ricevettero l'ordine di avanzare lungo la direttrice di marcia del nemico per attaccare piroscafi danneggiati e dispersi, ma mentre U-47 riuscì ad affondare il piroscafo britannico Halmolea, unità dispersa del convoglio HX-109, l'U-73 e U-99 lanciavano i siluri senza conseguire risultati. Il Barbarigo, che insieme al Bianchi aveva ricevuto l’ordine di attaccare due piroscafi danneggiati, non ebbe occasione di fare avvistamenti. Invece il BIANCHI, che aveva cambiato rotta tornando a nord, nelle prime ore del 27 febbraio ebbe la fortuna di incontrare tre navi mercantili.
Il comandante Giovannini attaccò la prima nave, che erroneamente ritenne fosse il piroscafo britannico EMPIRE ABILITY, di 7.603 tsl (ex tedesco UHENFELS della DDG Hansa, catturato dai britannici nel 1939 al largo di Freetown e requisito dal MoWT, Ministry of War Transport), ma non colse il segno perché i due siluri da 450 mm lanciati, alle 01.45 e alle 03.50, furono deviati dal mare ondoso molto ampio. Alle 04.47 colpì con un siluro da 533 mm la seconda nave, il piroscafo britannico BALTISTAN, di 6.803 tsl, e assistette al suo affondamento; non attaccò la terza nave avvistata alle 05.40 dello stesso giorno 27, perché Giovannini ne fu sconsigliato dalla contromanovra del piroscafo, facendogli sospettare trattarsi di una pericolosa unità civetta.
Il piroscafo BALTISTAN (capitano John Hobson Hedley), nave moderna essendo stata costruita nel 1937 per la compagnia South Shields, era partita da Ellesmere con destinazione Città del Capo, avendo a bordo otto passeggeri e 6.200 tonnellate di merci varie. Fu colpita dal siluro del Bianchi sul fianco destro e affondo a circa 400 miglia a ovest dell’Isola Valentia (Irlanda). Morirono cinquantuno uomini, compresi quattro passeggeri. Il comandante Hadley e i restanti diciassette uomini, tredici membri dell’equipaggio e quattro passeggeri, furono recuperati dal cacciatorpediniere britannico Brighton (capitano di fregata C.W.V.T.S. Lepper) e sbarcati a Plymouth.
L’affondamento del BALTISTAN rappresentò l’ultimo atto di un interessante ciclo di operazioni contro convogli, che si era prolungato per più di una settimana e nel corso del quale, per la prima volta, sommergibili italiani avevano partecipato attivamente ai rastrelli di ricerca degli U-boote tedeschi. Purtroppo, da parte nostra, ancora una volta, venne a mancare il risultato d’insieme; il successo negato al Marcello e al Barbarigo, fu ottenuto dal solo BIANCHI, il quale rientrando a Bordeaux il 4 marzo con l’affondamento di tre navi per 24.222 tsl, si rese protagonista di una brillante missione i cui risultati furono perfettamente corrispondenti a quelli conseguiti in quello stesso periodo dai sommergibili tedeschi.
Risultato che va esteso, naturalmente, al comandante Giovannini, che per i suoi successi ricevette il “vivo plauso” e le “felicitazioni vivissime” degli ammiragli Riccardi e Falangola. Inoltre, il BIANCHI realizzò, come sostenne l’ammiraglio Parona, il record degli affondamenti fra quanti conseguiti fino ad allora dai sommergibili italiani. Soltanto cinque delle unità subacquee italiane avrebbero fatto meglio di lui. Lo stesso vale per Giovannini che, con il record raggiunto, avrebbe conseguito il settimo posto nella classifica dei comandanti italiani affondatori.
Il capitano di corvetta Giovannini rientrò alla base ai primi di marzo. Fu quella l'ultima sua missione bellica. Decorato con la Medaglia d'Argento, e insignito dall'ammiraglio Dönitz con la ambita onorificenza della Croce di Ferro di 2a classe, venne inviato a Gotenhafen, nel Baltico, per dirigere Marigammasom, la sezione tattica, per l’addestramento di comandanti ed equipaggi, costituita presso la scuola tedesca per sommergibilisti.

 

Considerazioni e conclusioni

 

Trattando delle azioni dei sommergibili BIANCHI e BARBARIGO, nella sua relazione per Supermarina l’ammiraglio Parona scrisse:

 

La manovra disposta dal B.d.U., in perfetta intesa con questo Comando Superiore, ha portato al conseguimento di risultati soddisfacenti con la distruzione di 154.000 tonn. delle quali circa 30.000 da parte della unica unità italiana che ha partecipato efficientemente all’azione.
Dai rapporti di missione dei due Sommergibili si rileva come gli ordini siano stati chiaramente intesi e ne sia stata compresa la ragione da parte delle unità operanti. In casi analoghi si ripeterà una manovra del genere, i concetti della quale sono stati illustrati ai comandanti dipendenti verbalmente e mediante aggiunta all’ordine generale di operazione di questo Comando.

 

Nel suo rapporto di missione, il comandante Giovannini, aveva fatto delle considerazioni, non tutte condivise dall’ammiraglio Parona, come quella delle difficoltà di poter mantenere il sommergibile in immersione con mare grosso nella manovre d’attacco, o il suo dubbio circa la completa esplosione dei siluri perché, rispose il Comandante di Betasom, erano sempre regolarmente esplosi provocando l’affondamento delle navi colpite. Furono invece accolte le seguenti proposte:

 

1°) “l’opinione espressa circa l’opportunità di abbreviare per quanto possibile la durata delle trasmissioni radio-telegrafiche”, per le quali si sarebbe provveduto “in occasione dell’adozione delle macchine cifranti” [le Enigma tedesche, fornite da B.d.U. per rendere più celeri, e sicure, le trasmissioni con i sommergibili];

 

2°) “l’opportunità dell’adozione di un apparecchio per la punteria e il lancio notturno”, simile al tipo tedesco U.Z.O., che permetteva al comandante del sommergibile di effettuare il lancio dei siluri “e mantenere costantemente in punteria sul bersaglio il siluro col variare anche nella fase finale dell’attacco, l’angolazione dell’arma per annullare le oscillazioni prodotte dal cattivo governo con mare agitato”.

 

Avendo consultato attentamente il Rapporto di Missione del capitano di corvetta Giovannini, assieme alle valutazioni fatte dall’ammiraglio Parona sulle manovre d’attacco dei sommergibili, Supermarina, riguardo al Bianchi, scrisse a Betasom, e per conoscenza al Comando della Squadra Sommergibili (Maricosom), quanto segue:

 

E’ stata esaminata col più vivo interesse la manovra disposta dal Comando dei Sommergibili tedeschi per portare lo schieramento dei sommergibili alleati a contatto di convogli nemici, avvistati da aerei, i quali sono riusciti a dare successive posizioni dei gruppi avversari.
Sono stati particolarmente apprezzati, non solo l’abilità e la sagacia, con le quali il Comandante Giovannini ha saputo trarre profitto di ogni elemento per raggiungere ed agganciare l’avversario, ma anche lo spirito offensivo e lo slancio dimostrati nelle singole azioni tattiche, che hanno consentito il conseguimento di risultati veramente cospicui per se stessi e nella relatività con quelli raggiunti nella stessa azione dai sommergibili germanici impegnati. …
Si prendono in considerazione le proposte di ricompense al valor militare, avanzate da codesto Comando.

 

FRANCESCO MATTESINI

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