CARABINIERE Posted November 2, 2018 Report Share Posted November 2, 2018 ANDREA DORIA: chi era costui? Fu vera gloria? Noi marinai siamo stati spesso chiamati a servire su magnifiche navi credendo anche che portassero il nome di magnifici eroi.E’ anche il caso del ricorrente Andrea Doria, sempre assurto ai fasti delle navi maggiori, ma tardivamente mi sono chiesto: · chi era costui? · Fu vera gloria?· È un esempio ed un monito per chi su tali nave doveva e deve servire la patria? Sono dilemmi che mi sono posto come marinaio e come genovese, e mi sono dibattuto sul cercare di discernere tra il marinaio, il magnificato (e non tanto) condottiero, il furbissimo commerciante/armatore Il contesto era quello delle lotte del papato, ma anche quello della nascente influenza inglese e del protestantesimo, della pirateria nel Mediterraneo, quale centro dei traffici europei con l’Oriente, e quindi i maggiori del mondo conosciuto, dell’auge dei banchieri genovesi, dei fondaci Genovesi dal mar Nero al mar BalticoSi dice ancora oggi che In Mediterraneo la pirateria è vecchia quanto la storia, e nel Mediterraneo aveva le caratteristiche di sistema organizzato, con le sponde africane e la Turchia sedi dei predatori, e le coste europee sede dei predati; si trattava comunque di una vera attività organizzata, quasi su schemi industriali, spesso unica attività produttiva di intere comunità.Alla pirateria, magari in forme più o meno eleganti, ricorrevano tutti magari chiamandola con altri nomi, ma sempre di prede si discuteva.Era una proficua attività, endemica anche altrove, con ritmi e pratiche diverse, dai mari settentrionali, dove sono frequenti le conferme della persistenza di pratiche predatorie sino all’ oriente, come confermarono i pochi che tra terra e mare provarono le rotte del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano e giunti allo stretto di Malacca, si confrontarono con le usuali pratiche cinesi.Il problema era ineludibile ed a fronte di un fenomeno tanto ampio come quello piratesco, si pone ancor oggi, come si poneva in passato, la domanda insidiosa dell’ essenza e della validità̀ stessa della nozione di pirateria. Del resto qualcuno si è spinto a parlare di una evoluzione del fenomeno, da una pirateria a carattere etnico — manifestazione di quella arretratezza economica e culturale – a una pirateria organizzata, poi evoluta nei corsari con patenti di stato. Andrea Doria, forse la stella più nota e brillante nel firmamento della marineria italica del Cinquecento, aveva costruito una brillante carriera politica e, soprattutto, una ingente fortuna economica negoziando i propri servigi ora con il pontefice, ora con la corona francese, ora con l’Impero, ma certo non disdegnando non proprio la lotta contro i pirati barbareschi ma bensi pratiche affini, dove di volta in volta questi accordi consentivano scorrerie non necessariamente limitate alle coste meridionali del Mediterraneo. Nei porti turchi e barbareschi l’attività̀ piratesca era al tempo stesso uno straordinario strumento di inclusione ed un formidabile ascensore sociale, ma forse in altri modi il fenomeno di rifletteva anche nelle italiche e gelosissime repubbliche marinare dove le ricchezze comunque acquisite sul mare rappresentavano l’ unica forma di ascensore sociale. Lo dimostra la celebre vicenda dei fratelli Arouj e Kheir-ed-Din Barbarossa destinati a divenire l’uno il promotore della espansione ottomana in Nordafrica in qualità di beyler beyi— quando nel 1518 fu ucciso da un esercito composto da spagnoli e da algerini stanchi delle sue razzie, la sua testa fu donata a mo’ di ex voto al monastero reale di San Jerónimo de Valparaíso a Cordoba —, l’altro a divenire il leggendario kapudani deryadella flotta ottomana, venendo sepolto nel 1546 in un superbo mausoleo in riva al Bosforo. A dimostrazione che non erano poi così netti né i confini né i comportamenti etnici e religiosi, poco ò noto che ambedue i predetti avessero origini cristiane ….La classificazione e l’identità̀ dei pirati, ma forse in senso più lato, predoni del mare, diventa cosi molto labile, fluida e sfuggente. I Doria facevano parte di questo quadro, erano attori in questo scenario: Giannettino Doria, in una delle sue crociere (od erano anch’ esse una forma di scorreria?) nell’ estate del 1540 sorprese il famoso Dragut — non proprio l’ erede ma certamente il miglior emulo di Kheir-ed-Din Barbarossa— mentre si trovava con le sue navi alla fonda nella baia di Girolata, in Corsica, dove la confraternita dei barbareschi era intenta a ripartirsi il bottino di mesi di scorrerie, forse già in previsione della pausa invernale.Dopo essere stato catturato, il pirata, sembra per qualche commento irriguardoso nei confronti del Doria e della sua giovane età̀, era stato messo ai banchi. In tale stato, durante una visita alla squadra navale genovese fra’ Jean Parisot de la Valette, futuro Gran Maestro dell’Ordine gerosolimitano, non si era fatto scappare l’occasione di incontrare il celebre avversario e vedendo il barbaresco incatenato al remo aveva osservato: « Señor Dragut, usanza de guerra». Al che, pare che l’altro per nulla domo e intimorito avesse prontamente replicato nella lingua franca che univa marinai e pirati (e che è la base della lingua, e non dialetto, genovese): « …e mudanza de fortuna». Schermaglie verbali tra antichi avversari ma forse anche Bon Motsmutati dalla tradizione cavalleresca, nella consapevolezza che i ruoli spesso potevano venire scambiati. Ma, evidentemente, non si trattava solo di fortuna e ambedue i due (pirati,corsari o predati a seconda del momento e dell’ occasione) erano consapevoli della relatività̀ della loro condizione: lo stesso La Valette era stato da poco liberato, grazie ad una complessa operazione di scambio di prigionieri, dopo un anno passato ai remi delle galere barbaresche . La vicenda è esemplare per comprendere le dinamiche politiche e le pratiche dell’epoca, con poca distinzione da quella che oggi viene erroneamente attribuita, con termine moderno ed improprio, all’ “Ammiraglio” Andrea Doria: Dragut fu letteralmente messo all’ asta e poi acquistato dal Banco dei Lomellini — altra poderosa famiglia vicina ad Andrea Doria — che, a sua volta, ne contrattò il riscatto con il Barbarossa intorno al 1544. L’accordo prevedeva il pagamento di 3500 ducati e la concessione della esclusiva sui banchi di corallo di Tabarca, in Tunisia, che poi convolse altra facoltosa famiglia genovese, i Durazzo, a loro volta collegati ai Parravicini o Parravicino o Pallavicino, che furono collegamento storico con la corona britannica. Si tratta dell’ennesima conferma del primato della dimensione predatoria ed economica della guerra di corsa e della sua capacità di attivare networks finanziari a lungo raggio. Secondo una versione più edulcorata delle vicende che portarono al riscatto di Dragut , menzionata negli Annali della Repubblica di Genova del secolo decimo sesto, sembra che la concessione di Tabarca fosse una sorta di compensazione, datio in solutum, dovuta al fatto che il Barbarossa aveva difficoltà a reperire la somma per il riscatto. Più realisticamente la liberazione di Dragut va forse messa in relazione anche con la delicata situazione in cui si trovava Genova durante l’ alleanza stipulata tra Francesco I^ e Solimano il Magnifico, (definita da molti, ed in particolare dai genovesi come “empia alleanza”) là dove il Barbarossa, razziando ripetutamente le coste liguri, non dava certo valore alla neutralità̀ genovese, ma anzi voleva tener sotto scacco la Repubblica di Genova per evitare che si schierasse contro.Al riguardo, al di la degli aspetti economico/finanziari, non risulta proprio nessun cedimento di generosità e mobilitazione dei Doria e della loro flotta in difesa delle comunità liguri a loro in qualche modo tributarie. Situazioni complicate e mutevoli che probabilmente giustificano i continui cambi e “giri di valzer” di Andrea Doria, con I Doria che certamente non hanno brillato alla battaglia di Lepanto e quindi non sono da menzionare per epici battaglie: un Andrea Doria da ricordare pertanto come abile e spregiudicato politico, oltre che grande banchiere capace di giocare su più tavoli, anche la propria flotta senza mai diminuirne il valore usurandola in scontri, ma forse da non sovrastimare nell’ immaginifico popolare e nella demagogia che ne accompagna il mito ed il ricordo come Grande Ammiraglio. Alfabravo 59 1 Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
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