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  1. L’OPERAZIONE BRITANNICA “PEDESTAL” LA BATTAGLIA AERONAVALE DI MEZZO AGOSTO 1942 Francesco Mattesini La pianificazione delle operazioni “Pedestal”, “Bellows” e “Ascendant” Dopo il fallimento nel giugno 1942 delle operazioni Harpoon e Vigorous, che comportarono la perdita di sei navi mercantili, sulle diciassette avviate a Malta dalla Gran Bretagna e dai porti del Mediterraneo orientale (Alessandria, Haifa, Porto Said), e l’arrivo alla Valletta di due sole navi mercantili, il piroscafo Troilus e la motonave Orari, nei Comando militari di Londra e del Medio oriente vi fu molto scetticismo sulle possibilità di resistenza di Malta, e sulla convenienza di effettuare un altro tentativo di rifornimento.[1] Ciò comportava un grande spiegamento di mezzi aero-navali, ed erano previste perdite rilevanti. Com’aveva dimostrato l’ultima esperienza delle operazioni Harpoon e Vigorous, che messe in movimento dalle due estremità del Mediterraneo aveva portato alla disastrosa battaglia di mezzo giugno, come é chiamata in Italia. Inoltre, a differenza di quanto era stato allora pianificato, questa volta doveva essere seguita la sola rotta del Mediterraneo occidentale, poiché a oriente tutti gli aeroporti della Cirenaica e dell’Egitto, fino ad El Alamein, erano caduti in mano alle forze dell’Asse, dopo la conquista della piazzaforte di Tobruk da parte delle truppe motocorazzate italo-tedesche del generale Erwin Rommel, spintesi fino ad El Alamein, a 50 miglia a est della grande base navale di Alessandria. Il Primo Ministro britannico, che per temperamento e determinazione non era secondo a nessuno, si mostrò deciso di non abbandonare al suo destino l’isola fortezza assediata, e scrivendo all’ammiraglio ammiraglio Dudley Pound, Primo Lord del Mare, sostenne: “Il destino di Malta è in gioco e devo poter assicurare il Governo che la Marina non l’abbandonerà mai”.[2] L’ammiraglio Pound e il signor Hon A.V. Alexander, Primo Lord dell’Ammiragliato, condivisero il punto di vista di Winston Churchill nei riguardi di un eventuale abbandono di Malta e una sua eventuale resa, perché considerata una perdita disastrosa per l’Impero britannico e fatale alla difesa della Valle del Nilo. Pertanto, nel corso del mese di luglio, riunendo forze navali sottratte ai più svariati scacchieri di guerra, come l’Artico, per la scorta ai convogli diretti nella Russia Settentrionale, e l’Oceano Indiano, minacciato dai giapponesi, l’Ammiragliato britannico pianificò l’ operazione Pedestal, riunendo a Greenock (Clyde) le navi di un convoglio, denominato W.S.21/SA, costituito da quattordici grosse navi da trasporto, scelte fra le più grosse e veloci delle flotte mercantili britannica e statunitensi. Ma vediamo ora nel dettaglio qual’era il piano della Pedestal, ad iniziare dal momento in cui il 7 luglio, in seguito ad ordine dell’Ammiragliato, il vice ammiraglio Edward Neville Syfret, accompagnato dal suo capo di stato maggiore alle operazioni, capitano di fregata Antony Henry Thorold, partì dal suo Comando di Takoradi per trasferirsi a Londra, arrivandovi a destinazione il giorno 13. Subito si trasferì all’Ammiragliato partecipando alle discussioni del piano dell’operazione Pedestal, con lo Stato Maggiore della Royal Navy e con gli ufficiali più elevati in grado che sarebbero stati sotto il suo comando: il contrammiraglio Arthur Lumley St. George Lyster, ideatore e realizzatore dell’attacco alla flotta italiana a Taranto l’11 novembre 1940, che doveva comandare una squadra di navi portaerei, e il contrammiraglio Harold Martin Burrough, comandante della 10a Divisione Incrociatori della Home Fleet che doveva accompagnare a Malta il convoglio W.S. 21/S, dopo essere stato lasciato delle forze pesanti di scorta (corazzate e portaerei) a nord di Biserta. Considerando la pericolosità delle corazzate italiane, e volendo contare su una scorta più potente, Burrough suggerì che anche le navi da battaglia britanniche che dovevano partecipare all’operazione, lo accompagnassero nell’ultima parte della navigazione, attraverso il Canale di Sicilia. Considerando che quel tratto di mare, tra l’estremità sud occidentale della Sicilia e la costa tunisina di Capo Bon era fortemente insidiato per circa 100 chilometri da bassi fondali minati, e il convoglio per raggiungere Malta, muovendo per maggiore sicurezza in periodo di notte senza luna, avrebbe dovuto proseguire per circa 250 miglia con una scorta leggera, la proposta fu discussa e poi lasciata cadere perché ai più apparve improbabile che gli italiani, si sarebbero spinti con le loro corazzate in una zona che era sotto la minaccia dell’aviazione di Malta, mentre il loro eventuale intervento poteva verificarsi a sud della Sardegna. Prima di iniziare i movimenti della Pedestal, si svolsero due riunioni, una a Scapa Flow sulla corazzata Nelson, la nave di bandiera di Syfret, e l’altra a Clyde, a bordo della nave ammiraglia di Burrough, l’incrociatore Nigeria, dove rispettivamente furono discussi i particolari dell’operazione con i comandanti delle unità della Home Fleet, e con i capitani dei quattordici piroscafi del convoglio W.S.21/S, che per ingannare eventuali informatori del nemico era una sigla fittizia, impiegata per i convogli “Winston Specials”, diretti da Clyde in Medio Oriente ed Estremo Oriente. Si trattava degli undici piroscafi britannici Port Chalmers (che imbarcava quale commodoro, il capitano di vascello della Riserva Albert George Venables), Clan Ferguson, Brisbane Star, Rochester Castle; Empire Hope, Glenorchy, Dorset, Deucalion, Wairangi e Waimarama, e di tre navi statunitensi, i piroscafi Almerya Likes e Santa Elisa e la modernissima petroliera Ohio, il tutto per 139.000 tonnellate di naviglio. Ad eccezione dell’Empire Hope, tutti gli altri piroscafi britannici erano veterani della rotta di Malta, e i loro comandanti ed i loro equipaggi conoscevano bene i rischi della missione a cui andavano incontro. Le navi da trasporto, capaci di una velocità di quindici nodi, imbarcarono il carico dei rifornimenti e del carburante nei porti del Canale di Bristol, a Belfast, Liverpool e Glasgow, per poi riunirsi a Gorouck, lungo le sponde dell’Estuario del fiume Clyde nella Scozia sud-occidenrtale, raggruppandosi nell’ancoraggio del Banco Tail. Secondo un sistema adottato fino a allora, le 85.000 tonnellate di carico complessivamente destinato a raggiungere Malta fu distribuito in modo da stivare su ogni nave mercantile un minimo indispensabile di merci ai bisogni dell’isola. E questo perché, se si fossero verificate delle perdite, occorreva far giungere a destinazione almeno un minimo indispensabile ai bisogni della popolazione e della guarnigione di Malta, e quindi una parte di ogni prezioso rifornimento, che consisteva soprattutto in farina, munizioni, olio per le macchine e per il riscaldamento, e benzina avio in fusti per gli aerei. Inoltre un carico di 11.500 tonnellate di nafta e di benzina avio, necessari sull’isola per fare operare i sommergibili e gli aerei, fu interamente imbarcato a Douglas sulla petroliera Ohio (9.514 tsl), che fino alla primavera del 1942 aveva battuto la bandiera statunitense, e che messa a disposizione dal Presidente Franklin Delano Roosevelt, su richiesta di Churchill, e inscritta nel naviglio britannico divenne la nave più importante da portare a destinazione; lo stesso era avvenuto per la altrettanto modernissima petroliera Kentucky, poi affondata il 15 giugno presso Pantelleria, durante l’operazione “Harpoon”, dalle navi italiane della 7a Divisione dell’ammiraglio Alberto Da Zara. Per evitare alla Ohio la sorte della Kentucky, che prima di essere affondata era stata immobilizzata da una bomba sganciata da un velivolo tedesco Ju. 88 del 2° Corpo Aereo (II Fluiegerkorps), caduta presso la fiancata dello scafo che aveva spezzato un tubo di vapore, su disposizioni del Ministro dei Trasporti britannico le macchine della petroliera, dalla potenza di 9.000 cavalli, vennero montate su cuscinetti di gomma, per ridurre l’effetto delle esplosioni vicine, e tutti i tubi del vapore furono rinforzati con molle di acciaio e travi da costruzione in legno.[3] Su tutte le navi mercantili del convoglio fu poi imbarcato personale specializzato della Royal Navy, allo scopo di migliorare i collegamenti, le segnalazioni e la codificazione delle trasmissioni, e per asservire le armi contraeree, incrementate con cannoni e mitragliere di vario calibro impiegate da uomini dell’Esercito britannico. Per la protezione del convoglio W.S.21/S, nel corso della pianificazione furono organizzati due gruppi di scorta, il tutto riunito nella Forza F, un complesso di sessanta navi comandato dal vice ammiraglio Syfret. Il primo dei due gruppi, denominato Forza Z, era destinato ad accompagnare il convoglio fino al sabbioso Banco Skerki, a nord di Biserta, l’ultima zona di mare, all’entrata occidentale del Canale di Sicilia, dove le corazzate e le portaerei potevano manovrare senza eccessivi pericoli, e che era previsto sarebbe stata raggiunta per le ore 19.15 del 12 agosto. Per assolvere questo compito, la Forza Z fu costituita con le navi da battaglia Nelson (nave di bandiera del vice ammiraglio Syfret) e Rodney, le portaerei Victorious (contrammiraglio Lyster), Indomitable (contrammiraglio Denis William Boyd) ed Eagle, gli incrociatori Sirius, Phoebe e Charybdis e dodici cacciatorpediniere inquadrati nella 19a Flottiglia: Laforey (capitano di vascello R.M.J. Hutton), Lightning, Lookout, Quentin, Tartar, Somali, Eskimo, Wishart, Zetland, Ithuriel, Antelope e Vansittart. Sulle tre navi portaerei della Forza Z, che al pari delle corazzate Nelson e Rodney, disponevano ciascuna di cinque apparati radar,[4] erano imbarcati esattamente cento aerei. Di essi settantadue velivoli da caccia, (47 Sea Hurricane, 16 Fulmar e 9 Martlet), erano disponibili per la protezione aerea, mentre ventotto Albacore dovevano assicurare la scorta antisommergibile e tenersi pronti ad intervenire con compito offensivo con i siluri. Il secondo gruppo della Forza F era la Forza X, una formazione navale destinata ad accompagnare il convoglio fino agli approcci di Malta, – il cui arrivo a destinazione era previsto per il pomeriggio del 13 agosto. Al comando del contrammiraglio Burrough sull’incrociatore Nigeria, essa comprendeva i grandi incrociatori della 10a Divisione della Home Fleet Nigeria, Kenya e Mancester, del piccolo e vecchio incrociatore contraereo Cairo, dislocato a Gibilterra, e di altri dodici cacciatorpediniere inquadrati nella 6a Flottiglia della Home Fleet: Ashanti (capitano di vascello R.G. Onslow), Intrepid, Icarus, Foresight, Fury, Derwent, Bramham, Bicester, Ledbury, Pathfinder, Penn e Wilton. Essendo stata notevolmente rinforzata nei confronti dell’operazione di giugno, vi era il convincimento che la Forza X avrebbe potuto agevolmente contrastare un attacco della flotta italiana eventualmente avventuratasi con incrociatori e cacciatorpediniere nelle acque del Canale di Sicilia. Una volta aver accompagnato il convoglio nei pressi di Malta, la Forza X sarebbe tornata indietro lasciando il compito di scortare le navi mercantili, nelle ultime miglia di navigazione, a un gruppo navale della base. Esso comprendente, agli ordini del capitano di fregata H.J.A.S. Jerome, i quattro dragamine della 17a Flottiglia Speedy, Hebe, Hyte, Rye, e le sette motolance della 3a Flottiglia ML 121, 126, 134, 135, 168, 459, 462, tutte navi arrivate alla Valletta a metà del precedente mese di giugno con il convoglio dell’operazione “Harpoon”. Il motivo per cui la Forza X non doveva entrare alla Valletta, risiedeva nel fatto che le sue navi, anche in caso di necessità, dovevano evitare di rifornirsi a scapito dei già magri depositi di Malta. Pertanto, dovendo attraversare combattendo, come dimostrava l’esperienza delle altre operazioni, il Mediterraneo occidentale e parte di quello centrale nei due sensi di navigazione, i comandanti delle unità del contrammiraglio Burrough ricevettero la raccomandazione di fare la massima economia di nafta e possibilmente anche di munizioni. Allo scopo di nascondere l’ingresso del convoglio in Mediterraneo, previsto per la notte fra il 9 e il 10 agosto, fu deciso che quante più navi di scorta possibile della Forza F (in modo speciale i cacciatorpediniere che navigando ad alta velocità consumavano ingente quantità di nafta) avrebbero attraversato lo Stretto di Gibilterra senza entrare in porto per rifornirsi. Questa misura comportò di organizzare un complesso servizio di rifornimento in alto mare, mediante l’impiego di petroliere, sia in Atlantico sia nel Mediterraneo. Il gruppo di rifornimento in Atlantico, denominato Forza W, fu costituito con la petroliera di squadra Abbeydale, scortata dalle corvette Burdock e Armeria. Il gruppo di rifornimento del Mediterraneo, denominato Forza R, comprendeva le grandi petroliere di squadra Brown Ranger e Dingledare, e il rimorchiatore di squadra Salvonia. Alla sua scorta furono destinate le quattro corvette Jonquil, Geranium, Spirea e Coltsfoot. Petroliere e corvette si trovavano a Gibilterra alle dipendenze del Comando del Nord Atlantico. Il gruppo di rifornimento del Mediterraneo avrebbe accompagnato la Forza F nella sua rotta verso levante fino ad un punto situato a sud delle Isole Baleari, per poi effettuare, nella giornata dell’11 agosto, il rifornimento dei cacciatorpediniere. Quindi, mantenendosi a stazionare a sud dell’arcipelago le due petroliere della Forza R avrebbero atteso il rientro da Malta delle unità della Forza X, per assicurare a quelle che, eventualmente fossero arrivate con i depositi prosciugati, la nafta necessaria per raggiungere Gibilterra. La presenza del rimorchiatore Salvonia nella Forza R era invece dovuto alla necessità di disporre di navi di salvataggio; innovazione introdotta dopo l’esperienza fatta nell’operazione “Harpoon”, in cui mancarono le unità necessarie per cercare di soccorrere le numerose navi danneggiate. Un secondo rimorchiatore d’alto mare, il Jaunty, era stato invece aggregato alla Forza X, ma successivamente per la sua bassa velocità, apparve necessario dirottarlo alla Forza R. Mentre l’elaborazione dei complessi piani della Pedestal era ormai a buon punto, all’ultimo momento sorse un’altra esigenza, che costrinse l’Ammiragliato britannico ad apportare all’ordine di operazione una non prevista variante. Poiché il Comando aereo di Malta aveva chiesto di reintegrare le perdite di velivoli da caccia, quantificate in diciassette velivoli alla settimana, su richiesta del Capo di Stato Maggiore della R.A.F., maresciallo dell’aria C.F.A. Portal, il Primo Lord del Mare mise a disposizione una quarta grande nave portaerei, la anziana Furious, destinandola a trasportare ed inviare sulle tre basi dell’isola, in due spedizioni successive, altri sessantuno Spitfire.[5] Per queste due operazioni, denominate Bellows e Baritone, la Furious, che inizialmente fu aggregata al movimento del convoglio W.S. 21/S verso levante fino all’altezza di Algeri, avrebbe disposto per compiti di protezione su otto cacciatorpediniere di base a Gibilterra, e inquadrati nel gruppo scorta di riserva: Keppel (capitano di fregata J. E. Broome), Malcolm, Amazon, Venomous, Volverine, Wrestler, Vidette, e Westcott. Dopo aver fatto decollare il primo gruppo di trentanove Spitfire, all’incirca alle ore 13.00 dell’11 agosto (operazione Bellow), la Furious avrebbe invertito la rotta per imbarcare a Gibilterra i trentadue velivoli della seconda spedizione (operazione “Baritone”), che erano già stati inviati in quella base dall’Inghilterra a bordo del piroscafo Empire Clive. Vennero anche approntati nove sommergibili delle flottiglie 8a e 10a di Gibilterra e di Malta, che dovevano durante i giorni critici dell’operazione Pedestal raggiungere posizioni d’agguato nel Mediterraneo centrale. Due di questi sommergibili furono incaricati di effettuare un normale servizio di agguato a nord della Sicilia, il Safari al largo di Palermo e l’Unbroken più a levante di fronte a Milazzo: erano entrambi punti d’agguato importanti per intercettare gli incrociatori pesanti della 3a Divisione Navale italiana se fossero usciti da Messina, per spostarsi lungo la costa settentrionale della Sicilia, e andare ad attaccare il convoglio W.S. 21/S nella zona di Pantelleria, come era accaduto il precedente 15 giugno al convoglio dell’operazione “Harpoon”. Altri sei sommergibili, Uproar, P 222, Ultimatum, Unruffled, Utmost e United, dovevano concentrarsi nel Canale di Sicilia, a levante di Pantelleria, per costituirvi successive linee di sorveglianza. Uno di questi sbarramenti sarebbe entrato in vigore all’alba del 13 agosto, in previsione dei movimenti di navi di superficie italiane che avrebbero potuto minacciare il convoglio da ponente, quando si sarebbe trovato ad attraversare quel tratto di mare. Poiché il convoglio sarebbe probabilmente passato attraverso la linea di difesa nella stessa mattinata del 13, ai sommergibili fu ordinato di procedere in superficie per fare da schermo avanzato fino a mezzogiorno, e quindi si sarebbero dovuti immergere. Vi era nei britannici la speranza che le unità subacquee potessero essere individuate dagli aerei dell’Asse in modo da attirare su di loro, anziché sul convoglio, l’attenzione delle navi di superficie del nemico. Se la flotta italiana fosse stata avvistata con rotta sud, per attaccare il convoglio W.S.21/S e colpirlo nel punto più critico della sua navigazione, ai sommergibili era concessa libertà di azione con l’ordine di attaccare con determinazione, quale obiettivo primario, le più grosse navi nemiche. Il nono sommergibile, l’Una, doveva mettere a terra una squadra di quattro Commandos presso la foce del fiume Simeto, per cercare di sabotare e distruggere, nella fase critica dell’operazione Pedestal, i velivoli da bombardamento tedeschi di base sull’aeroporto di Catania, dove aveva sede il Comando e lo schieramento degli Ju. 88 del 54° Stormo Bombardamento (KG. 54).[6] Con l’operazione Ascendant fu poi programmato di riportare a Gibilterra i piroscafi Orari e Troilus arrivati a Malta a metà giugno – nel corso dell’operazione Harpoon – accompagnati dal cacciatorpediniere di squadra Matchless (capitano di corvetta John Mowlam), che fungeva da nave comando del convoglio, e dal cacciatorpediniere di scorta Badsworth. Il piroscafo Orari e le due unità di scorta, entrati il 15 giugno in uno sbarramento minato posato all’entrata del Gran Harbour dalle motosilurante tedesche della 3a Flottiglia, erano stati messi in condizioni di riprendere il mare, dopo che i loro danni erano stati sufficientemente riparati nell’arsenale della Valletta. Le quattro navi, che costituivano la Forza Y, procedendo in un’unica formazione, dovevano salpare da Malta la notte sull’11 agosto, quasi contemporaneamente all’entrata in Mediterraneo della Forza F. La speranza, su cui i britannici contavano, era di farle raggiungere Gibilterra senza danni, approfittando dell’attenzione che le forze di vigilanza dell’Asse avrebbero rivolto all’importante e appetitoso convoglio dell’operazione Pedestal che arrivava da ponente. In effetti dobbiamo dire che il loro spostamento si verificò come pianificato. Le quattro navi transitarono nella notte tra l’11 e il 12 agosto per Capo Bon, avvistarono il cacciatorpediniere italiano Malocello, che protetto da due torpediniere due Mas era impegnato in una posa di mine temporanee in acque territoriali francesi, dove gli italiani supponevano sarebbe transitato il convoglio britannico, ma non lo disturbarono avendolo preso per un dragamine francese classe “Elam”. Proseguirono poi verso ponente, sebbene fossero stati avvistati dai ricognitori italiani e tedeschi, poterono tranquillamente raggiungere Gibilterra, anche perché i Comandi dell’Asse, impegnati negli attacchi al convoglio Pedestal, si accorse trattarsi di navi scariche salpate dalla Valletta.[7] Infine, per creare una diversione nel Mediterraneo orientale, fu pianificata l’operazione M.G. 3, il cui scopo, come scrisse il Comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Henry Harwood, era quello di impedire “che il nemico potesse impiegare tutto il peso delle sue forze navali ed aeree contro il convoglio proveniente da Gibilterra”.[8] L’operazione “M.G. 3”, pertanto, consistette nel far partire dai porti del Mar del Levante di Porto Said e Haifa, un convoglio fittizio dei quattro piroscafi City of Pretoria (commodoro capitano Frank Deighton), City of Lincoln, City of Edimburgh, Ajax scortato dai quattro incrociatori della 15a Divisione Cleopatra (contrammiraglio Philip Louis Vian), Dido, Arethusa, Euryalus, dall’incrociatore contraereo Coventry, dai quindici cacciatorpediniere Sikh, Zulu, Javelin, Crome, Tetcott, Aldenham, Pakenham, Paladin. Hurworth, Dulverton, Beaufort, Jervis, Hursley, Kelvin, Eridge, e dalle due corvette Antwerp e Hyacinty. Una volta che fosse stato avvistato dai ricognitori dell’Asse, il convoglio, denominato M.W.12, doveva disperdersi e rientrare alle basi, dopo aver raggiunto la sera dell’11 agosto, quale zona di spostamento verso ponente, un punto situato a nord di Alessandria. Prendendo in considerazione l’eventualità che la flotta italiana fosse uscita dalle basi dello Jonio per dirigere verso il convoglio, fu disposto che tre sommergibili della 1a Flottiglia di Alessandria, il Turbolent, Thorn e Taku, si portassero, il primo davanti a Navarrino, base della 8a Divisione Navale (tre incrociatori e quattro cacciatorpediniere al comando dell’ammiraglio Raffaele de Courten), e gli altri due in zone di agguato a sudovest di Creta. Tuttavia, il Thorn (capitano di corvetta Robert Galliano Norfolk), che era partito da Haifa il 21 luglio per operare inizialmente davanti a Tobruch, spostandosi nel pomeriggio del 7 agosto verso Capo Matapan, fu affondato con le bombe di profondità della torpediniera italiana Pegaso (tenente di vascello Mario De Petris), di scorta al piroscafo Istria partito da Bengasi e diretto al Pireo. Questa perdita del Thorn con l’intero equipaggio, si era verificata tre giorni prima dall’entrata in Mediterraneo del convoglio della Pedestal, ma è da considerare come conseguenza di quell’operazione. Occorre subito dire che l’operazione M.W. 3 si svolse come programmato, ma non ebbe alcuna influenza sulle decisioni italiane e tedesche, poiché l’attenzione di Supremarina e dell’O.B.S (Oberbefehlshaber Süd - Comando Superiore del Sud) del feldmaresciallo Albert Kesselring, Comandante della 2a Flotta Aerea (2a Luftflotte) non si fece sviare da quello che era l’obiettivo primario della Pedestal. I due alti comandi considerarono il movimento navale nel Mediterraneo orientale niente più che una diversione, non mancando però di prendere precauzioni di ricognizione, e mettendo in allarme la 8a Divisione Navale a Navarrino, soprattutto dopo che o due incrociatori Arethusa e Cleopatra e quattro cacciatorpediniere avevano bombardato la notte del 13 agosto il porto di Rodi. Commentando nel suo rapporto lo svolgimento della M.W. 3, l’ammiraglio Harwood scrisse: “Il solo aspetto interessante di questa piccola operazione fu dato dal considerevole dispetto che fu manifestato dagli equipaggi delle navi mercantili del finto convoglio quando si accorsero che non stavano dirigendo su Malta”.[9] Le misure per il contrasto alla Forza F discusse a Roma da italiani e tedeschi Nella notte tra il 9 e il 10 agosto, dopo che le tre portaerei della Forza F, a cui si aggiunse temporaneamente anche la vecchia Argus, avevano svolto, nel corso della navigazione in Atlantico, un ciclo di esercitazioni ritenuto necessario per permettere agli aerei imbarcati di affinare le tattiche di combattimento (operazione Berserk), e si era realizzato il rifornimento in mare di gran parte delle navi di scorta, il convoglio ed il suo poderoso nucleo di scorta – il maggiore complesso navale che fosse stato impiegato nella seconda guerra mondiale per proteggere un solo convoglio di rifornimento – superò lo stretto di Gibilterra entrando nel Mediterraneo, per poi proseguire con rotta est. Il movimento, che comportò l’entrata a Gibilterra delle navi che non si erano potute rifornire in mare e che lo fecero alle petroliere San Claudio e Brown Ranger dislocate in quella importante base navale, fu subito percepito dagli agenti dell’Asse ubicati sulle coste meridionali della Spagna e in quelle del Marocco spagnolo.[10] Conseguentemente, nella giornata del 10 agosto, durante una riunione tenutasi a Roma, presso il Comando Supremo delle Forze Armate italiane a Palazzo Vidoni, presenti alti ufficiali della Regia Marina, della Regia Aeronautica e tedeschi dell’OBS (Oberbefehlshaber Süd), fu pianificata l’azione di contrasto delle forze aeronavali dell’Asse. Tuttavia, forse non rendendosi conto di quale importanza rivestiva un intervento di tutte le forze navali per far fallire l’operazione britannica, fu escluso l’impiego delle quattro corazzate efficienti presenti a Taranto (Vittorio Veneto, Andrea Doria, Duilio e Giulio Cesare) motivandolo per deficienza di nafta e sostenendo che l’intervento di quelle navi da battaglia avrebbe comportato di consumare l’intera quantità di combustibile della scorta intangibile destinato all’applicazione della Direttiva Navale n. 7 (Di.Na.7); ossia all’”Azione a massa aeronavale” pianificata per intervenire contro la flotta britannica, che era proprio l’occasione che si stava presentando in quel momento, perché nella Di.Na.7 era previsto il contrasto ad ogni iniziativa nemica verso il Mediterraneo centrale.[11] Sebbene l’ipotesi di un rifornimento di Malta fosse quella più comunemente accettata, tuttavia il grandi schieramenti di forze transitate per lo Stretto di Gibilterra fece pensare a un’operazione più complessa, quale il passaggio di un importante convoglio ad Alessandria, o addirittura uno sbarco in Libia, alle spalle del fronte africano. Quest’ultima minaccia fu considerata la più pericolosa tanti che anche i Comandi in Africa vennero messi in allarme e il feldmaresciallo Rommel informò Roma di aver costituito un gruppo corazzato da inviare eventualmente verso occidente. Comunque fosse, Supermarina dispose di attuare un ampio schieramento di ventidue sommergibili (2 tedeschi) tra le Baleari e Malta, l’impiego di dodici motosiluranti (6 tedesche) e di una dozzina di Mas nel Canale di Sicilia, e di realizzare, con il cacciatorpediniere Malocello uno sbarramento temporaneo di mine presso Capo Bon, in acque territoriali francesi, da realizzare la notte precedente a quella dell’arrivo del convoglio in quella zona di mare. Gran parte delle discussioni, che continuarono anche nella giornata dell’11 agosto, si svolse sull’eventuale intervento di due divisioni navali: la 3a costituita dagli incrociatori pesanti Gorizia (ammiraglio Angelo Parona), Bolzano e Trieste, e dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Camicia Nera, Legionario, Ascari, Corsaro e Grecale; e la 7a costituita dagli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia (ammiraglio Alberto Da Zara), Montecuccoli e Attendolo, e dai cacciatorpediniere Gioberti, Maestrale, Oriani e Fuciliere. L’intervento di questa forza di sei incrociatori e undici cacciatorpediniere, dal potenziale qualitativo e numerico di quello su cui poteva contare la Forza X del contrammiraglio Burrough, doveva verificarsi a sud di Pantelleria, quando il convoglio britannico sarebbe stato abbandonato dalle corazzate e dalle portaerei dalla Forza Z, la sua potente scorta di copertura, motivo per il quale a Roma fu scartata l’iniziale idea di un intervento navale a sud della Sardegna. Tuttavia il Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio di armata Arturo Riccardi mise bene in chiaro: “Naturalmente il movimento degli incrociatori è legato alla disponibilità di aerei da caccia”.[12] Questi aerei, avrebbero dovuto assicurare sul cielo delle navi una scorta continua con turni di otto velivoli alla volta, per fronteggiare, rispetto all’azione di giugno, un maggior numero di aerei presenti a Malta, dei quali gli aerosiluranti Beaufort, per i colpi messi a segno sull’incrociatore Trento e sulla corazzata Littorio, avevano particolarmente impressionato il Comando Squadra e Supermarina.[13] Dal momento le aviazioni dell’Asse stavano preparandosi ad intervenire in forze contro il convoglio britannico, rinforzando i reparti da bombardamento e di aerosiluranti dislocati in Sicilia e in Sardegna, avendo a disposizione soltanto cinque gruppi da caccia di aerei moderni (tre italiani e due tedeschi) per scortare una massa di circa quattrocento velivoli offensivi, o loro responsabili dovettero prendere un’estrema decisione. Non volendo essere assente sul cielo della battaglia, assegnando gran parte dei suoi cinquanta caccia alla scorta alle navi, il Comando del II Fliegerkorps (generale Bruno Loerzer) sostenne di non essere in grado di farlo, e il feldmaresciallo Kesselring, comandante della 2a Flotta Aerea e dell’O.B.S., gli dette ragione.[14] Anche Superaereo, pur riconoscendo le necessità della Marina si mostro molto restio ad accontentarla, almeno in parte, cedendo alla scorta delle navi tutti quei velivoli meno competitivi (Cr. 42, Mc. 200, Re. 2000, Cr. 25) di cui si poteva fare a meno per scortare le forti aliquote offensive della Regia Aeronautica, in particolare bombardieri e aerosiluranti. Dopo molte discussioni, proseguite nelle giornate dell’11 e del 12 agosto a Palazzo Vidoni e a Palazzo Venezia presso il Capo del Governo Benito Mussolini (Duce), il maresciallo Ugo Cavallero, Capo del Comando Supremo, riuscì a convincere il generale Rino Corso Fougier, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare per il giorno 13, in cui era previsto l’intervento navale, un appoggio aereo sostanzioso che prevedeva l’impiego di turni di scorta di sei velivoli. In tal modo, prevedendo che ogni caccia svolgesse almeno due missioni, si riduceva da sessanta a quarantacinque il numero dei velivoli necessari per scortare le navi. Con l’arrivo dei rinforzi, fatti affluire dalla Grecia, dalla Romania e dalla Libia, il II Fliegerkorps del generale Bruno Loerzer venne a disporre sugli aeroporti di Catania, Gerbini, Comiso, Trapani, Gela, Pantelleria e Elmas, di una massa di 239 aerei, che includevano: quattordici ricognitori del 122° Gruppo, di cui otto Ju. 88 e sei Bf. 109; centotrenta bombardieri Ju. 88 degli Stormi KG.54, KG.77 e LG.1; ventisei bombardieri a tuffo Ju. 87 del Gruppo I./St.G.3; dieci aerosiluranti He. 111 della Squadriglia 6./KG.26; dodici caccia notturni Ju. 88 del Gruppo I./NJG.2; otto caccia pesanti Bf. 110 della Squadriglia 8./ZG.26; trentuno caccia monomotori Bf. 109 dello Stormo JG.53; 4 idrosoccorso Do. 24 della 6a Squadriglia del 3° Gruppo Soccorso. Circa il piano d’impiego del II Fliegerkorps, portato dal Comando del feldmaresciallo Kesselring (O.B.S.) a conoscenza di Superaereo nel pomeriggio dell’11 agosto, era previsto: di iniziare l’attacco contro il convoglio all’imbrunire dello stesso giorno con 30-40 bombardieri Ju. 88 e dieci aerosiluranti He. 111, e con obiettivo principale le navi da guerra, in particolare le portaerei; di proseguire gli attacchi l’indomani, dopo l’arrivo a Gerbini del 1° Stormo Sperimentale in trasferimento da Creta, con altri 50-60 bombardieri Ju. 88 e Ju. 87, con obiettivo principale i piroscafi; di effettuare un attacco serale con un gruppo da bombardamento e dieci aerosiluranti; e quindi, con il mantenimento del contatto da parte dei ricognitori anche durante le ore notturne, rinnovare gli attacchi il giorno 13 secondo la disponibilità di aerei offensivi e in base allo sviluppo della situazione, e considerando ancora i piroscafi come l’obiettivo principale. In conformità con questa previsione, dieci bombardieri Ju. 88 del 606° Gruppo da Combattimento (KGr.606), facente parte del KG.54, e tredici caccia Bf .109 del 1° Gruppo del 77° Stormo (JG.77), alle dipendenze del 53° JG.53, furono inviati ad Elmas, i primi destinati a svolgere ricognizione armata, i secondi a scortare le formazioni offensive della Sicilia che l’indomani, come pianificato dal Comando del II Fliegerkorps (Apollo 1°), dovevano entrare in azione contro il convoglio britannico a sud-ovest della Sardegna. Per lo stesso motivo, dovendo scortare nei loro attacchi gli Ju. 87 ad ovest della Sicilia, diciotto Bf. 109 del 2° Gruppo del 53° Stormo Caccia (II./JG.53) furono trasferiti a Pantelleria. Fu disposto che i ricognitori, una volta avvistate le forze navali nemiche, mantenessero il contatto anche durante la notte mediante l’impiego di uno Ju. 88D del 122° Gruppo con radiolocalizzatore. Per proteggere le formazioni più importanti, nel modo più adeguato concesso dalla scarsa disponibilità e autonomia degli aerei da caccia disponibili, appena trentuno Bf.109 dell’JG.53 e otto Bf. 110 della 8/ZG.26, avrebbero dovuto realizzare la scorta ai bombardieri con logoranti voli a spola, tra le due grandi isole, forniti di serbatoi supplementari. L’attuazione di questo vasto programma comportava per l’O.B.S. la necessità di coordinare le proprie azioni con quelle dell’Aeronautica italiana, e ciò lo indusse a chiedere a Superaereo di conoscere gli orari dei suoi attacchi e di essere informato sui movimenti delle navi italiane. La Regia Aeronautica dimostrò anch’essa una valida efficienza nello spostare rapidamente le proprie unità da combattimento nelle sedi d’impiego, raggruppando in Sicilia gli aerei offensivi e di scorta nelle basi occidentali dell’isola, e facendo affluire in Sardegna notevoli rinforzi dagli aeroporti della penisola italiana, e dalla Sicilia. Infatti, fin dalla sera del 10 agosto Superaereo, aveva diramato al generale Silvio Scaroni gli ordini per una più idonea dislocazione delle forze aeree della Sicilia, e al generale Aldo Urbani gli ordini per il potenziamento dell’Aeronautica della Sardegna, sui cui aeroporti furono fatti affluire ben centoundici velivoli: ventiquattro bombardieri S. 84, ventitré aerosiluranti S. 79, due velivoli speciali, cinquantuno caccia Mc. 202 e Re. 2001, sette trasporti S. 82 e quattro idrosoccorso Cant. Z. 506. La sera dell’11 agosto, Superaereo informò dei preparativi in atto il Comando Supremo e l’O.B.S., precisando che si rendevano disponibili per operare contro le forze navali inglesi provenienti da Gibilterra i seguenti aerei: in Sardegna, cinquantuno aerosiluranti (con una dotazione di sessantasette siluri), dodici bombardieri, quindici cacciabombardieri e sessantasette caccia; in Sicilia, venti aerosiluranti (con una dotazione di trentasei siluri), dodici o quattordici bombardieri a tuffo, quaranta bombardieri in quota e cinquanta caccia. A quel momento le aviazioni dell’Asse potevano disporre in Sicilia e in Sardegna di 588 aerei, dei quali 353 italiani (189 in Sardegna e 164 in Sicilia) e 235 tedeschi. Presi direttamente ordini dal Comando Supremo – trasmessi agli Stati Maggiori con messaggio 40588/OP delle ore 13.35 che fissava quale obiettivo principale per l’Aeronautica gli attacchi aerei contro i piroscafi e per la Marina di intensificare l’intervento dei Mas e delle divisioni navali – Superaereo inviò all’Aeronautica della Sardegna le direttive per la condotta delle azioni contro la formazione navale nemica, prescrivendo di attaccare ad ondate successive con tutti i velivoli da bombardamento, tuffatori, aerosiluranti e velivoli speciali, scortati dal massimo numero di caccia. Fu altresì ordinato di realizzare, nella giornata dell’11 agosto, l’esplorazione dell’intero Mediterraneo. Ma poi, in seguito ad accordi con l’O.B.S., fu stabilito che l’impiego della ricognizione aerea da svolgere in profondità nel Mediterraneo occidentale, fosse realizzata nella giornata dell’11 agosto soltanto con i velivoli Ju. 88D tedeschi della 1a e 2a Squadriglia del 122° Gruppo Ricognizione Strategica (1. e 2.(F)/122) dislocati a Trapani e a Elmas. Avendo una minore autonomia e velocità rispetto agli Ju. 88D, l’intervento dei Cant. Z. 1007 bis italiani del 51° Gruppo Ricognizione Strategica di base a Villacidro fu riservato alla giornata dell’indomani 12 giorno nel quale fu programmato il massimo sforzo offensivo della Regia Aeronautica da realizzare entro l’autonomia della caccia di scorta. Di fronte alla quantità di forze navali ed aeree schierate dalla Marina e dall’Aviazione italiana e germanica per contrastare l’operazione Pedestal, l’accoglienza da riservare al nemico era da considerare alquanto rovente. E in effetti, come vedremo, il convoglio W.S. 21/S e la sua forza di scorta diretta, la Forza X, in quattro giorni di battaglia accanita, corsero il rischio di essere addirittura annientati. Un’eventualità che, se si fosse realizzata, com’era nelle possibilità, avrebbe influito negativamente sui britannici per la sopravvivenza di Malta e, forse, anche nella battaglia che si combatteva sul fronte di El Alamein. L’inizio della navigazione nel Mediterraneo e le prime perdite della Forza F Nell’entrare nel Mediterraneo, proseguendo la navigazione vero levante, La Forza F aveva assunto, con l’arrivo di unità navali salpate da Gibilterra, la sua formazione organica definitiva, con i quattordici mercantili del convoglio disposti su quattro colonne, ciascuna guidata da un incrociatore della Forza X, seguite dalle due corazzate e dalle quattro portaerei, con i loro tre incrociatori di scorta, mentre la maggior parte dei cacciatorpediniere andarono a costituire lo schermo avanzato, con compito antisom e antiaereo (vedi cartina). Gli attacchi contro la Forza F, iniziarono nelle prime ore dell’11 agosto da parte del sommergibile italiano Uarsciek (tenente di vascello Gaetano Arezzo della Targia), che alle 04.32 lancio i siluri contro la portaerei Furious senza riuscire a colpirla. Venuto in emersione alle 09.36 con mare libero, l’Uarsciek lanciò immediatamente il segnale di scoperta. Questa notizia pervenuta a Roma alle 10.25, due ore dopo l’arrivo della segnalazione della Forza F da parte di un aereo tedesco Ju. 88 della 1a Squadriglia del 122° Gruppo Ricognizione Strategica (1.(F)/122), ebbe importanza basilare per i comandi dell’Asse, perché contribuì a stabilire quali fossero l’esatta posizione e la velocità di spostamento delle forze navali britanniche dopo la loro entrata nel Mediterraneo avvenuta ventiquattro ore prima. Poco dopo le 08.15, i radar delle grandi navi della Forza F percepirono per la prima volta la presenza di aerei nemici, e da quell’ora in poi le segnalazioni si fecero più frequenti, indice di un continuo pedinamento del convoglio da parte dei ricognitori dell’Asse. Nelle ore successive, con l’ordine di mantenere il silenzio radio, le portaerei tennero in volo due sezioni di caccia, di quattro velivoli ciascuna che, a causa del vento mutevole in direzione e intensità, dovettero decollare per mezzo delle catapulte.[15] Le pattuglie dei caccia, sebbene fossero rinforzate nei casi di necessità, poiché che altri dodici intercettori erano tenuti pronti sui ponti di volo, non ebbero compito facile per raggiungere velivoli molto elusivi che volavano ad altissima quota, sui 7.000 metri, tanto ché il vice ammiraglio Syfret scrisse: “i nostri caccia si batterono virilmente a grande altezza contro i pedinatori, ma la velocità e l’altezza degli Junker 88 rese il compito dei caccia disperato”.[16] Nel corso di cinque intercettazioni i caccia dell’Aviazione Navale britannica (FAA) colpirono tre Ju. 88, abbattendone della 2.(F)/122, attaccato dagli Hurricane dell’808° Squadron della Indomitable. Persero però due Hurricane dell’Indomitable e un Fulmar della Victorious, uno dei quali dell’808° Squadron abbattuto dal mitragliere di uno Ju. 88. Gli altri due caccia furono costretti ad ammarare per guasti meccanici. Era già accaduto che quattro Fulmar della Victorious fossero andati perduti in Atlantico durante le esercitazioni di guida caccia dell’operazione Bellows, poiché il loro reparto di nuova assegnazione alla portaerei, l’809° Squadron, non possedeva un sufficiente addestramento all’attività sul mare. Assommando tutte queste perdite, la sera dell’11 agosto, prima che iniziassero gli attacchi aerei, rimanevano disponibili sulle portaerei cinquanta degli originali settantadue caccia. Alle 13.00 gli attacchi subacquei contro la formazione navale britannica furono continuati dall’U 73, proprio mentre la Furious, trovandosi a nord di Algeri, dando inizio all’operazione Bellows stava lanciando i suoi trentotto Spitfire diretti a Malta, uno dei quali fu costretto a rientrare per guasto meccanico. Il sommergibile tedesco, comandato dal tenente di vascello Helmut Rosembaum, approfittando del fatto che undici dei ventiquattro cacciatorpediniere della Forza F avevano abbandonato le assegnate posizioni di scorta del convoglio per rifornirsi alle petroliere, superò abilmente il ridotto schermo difensivo ed attaccò, nei quartieri poppieri di sinistra la portaerei Eagle, colpendola con quattro siluri lanciati da una distanza di soli 400 metri. La portaerei, sbandando sul fianco sinistro, affondò nello spazio di otto minuti, e la perdita di sedici dei suoi venti velivoli da caccia Hurricane dell’801° Squadron (quattro si trovavano in volo e atterrarono sulla Victorious e sull’Indomitable) privò la Forza F del 20% della sua forza aerea di protezione. Nel frattempo, gli avvistamenti della Forza F da parte dei ricognitori tedeschi, che nel corso della mattinata aveva visto l’impiego di dodici Ju 88, permettevano al Comando del II. Fliegerkorps per fornire precisi dettagli fotografici panoramici ai reparti offensivi, sia per conoscere il numero delle navi partecipanti all’operazione nemica che appariva elevato e la loro efficienza difensiva, e dette modo alla grande unità della Luftwaffe di organizzare un primo programmato attacco aereo serale nel modo migliore. Tuttavia i britannici ne erano a conoscenza, forse per la fonte crittografica Ultra, e ne informarono il vice ammiraglio Syfret alle 16.34 con un segnale di avvertimento trasmesso dal Comandante del Nord Atlantico, indicante che velivoli tedeschi del tipo Ju. 88 potevano effettuare un attacco al crepuscolo contro la Forza F. L’azione, a cui parteciparono ventotto bombardieri Ju. 88 del KG. 54 e KG. 77 e tre aerosiluranti He. 111 della 6./KG.26, e che ebbe per obiettivo le portaerei da attaccare anche con bombe da 1.400 chili, si sviluppò poco dopo il tramonto del sole, quando le navi di scorta si erano rifornire dalle petroliere, e la Forza F si trovava al completo. La semioscurità permise alla maggior parte dei velivoli tedeschi di eludere l’intervento dei caccia delle portaerei, che riuscirono ad abbattere soltanto uno Ju. 88 del Gruppo Combattimento KGr. 806. Un altro velivolo del KGr.806 nell’attaccare in picchiata la Victorious fu abbattuto dall’intenso fuoco contraereo della portaerei, mentre le navi non riportarono alcun danno. Vi furono però incidenti nell’atterraggio notturno sulle portaerei, avvenuto con le navi che sparavano in ogni direzione, coinvolgendo sette velivoli, tre andarono distrutti e quattro danneggiati, diminuendo ancor di più l’efficienza della linea caccia. Quasi contemporaneamente all’attacco contro la Forza F, allo scopo di menomare il potenziale aereo offensivo dell’Asse concentrato sugli aeroporti della Sardegna, al tramonto dell’11 agosto una formazione di nove caccia a lungo raggio Beaufighter del 248° Squadron della R.A.F., al comando del tenente colonnello Thomas Geoffrey Pike, decollati dall’aeroporto maltese di Luqa, effettuò a volo radente una micidiale azione di mitragliamento contro gli aerei parcheggiati ad Elmas e a Decimomannu. Furono colpiti e incendiati parecchi velivoli arrivati dal continente per partecipare all’attacco del convoglio britannico, e che non erano stati ancora decentrati perché si trovavano in fase di rifornimento. Cinque aerosiluranti S. 79 andarono completamente distrutti, ed altri quattordici rimasero più o meno danneggiati, e furono colpiti anche tre caccia Mc. 202 e tre caccia tedeschi Bf. 109; e ciò ridusse sensibilmente l’efficienza della massa aerea italiana, che doveva entrare in azione l’indomani, costringendo il personale a lavori di riparazione prolungatasi, tutta la notte, sotto l’azione di disturbo di due velivoli “Liberator” del 159° Squadron, che decollati da Malta sganciarono su Elmas e Decimomannu bombe ad esplosione ritardata. Fu una “lunga veglia”. Nel rientrare alla base i Beaufighter sorvolarono il Golfo di Cagliari, avvistando le unità della 7a Divisione Navale dell’ammiraglio Da Zara, appena salpata dal porto e comprendente gli incrociatori Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli e i tre cacciatorpediniere Maestrale, Gioberti e Oriani, che dirigeva a sud-est alla velocità di venti nodi. Queste cinque unità erano dirette all’appuntamento con la 3a Divisione dell’ammiraglio Parona, e con altre navi sopraggiungenti da La Spezia e Napoli, fissato da Supermarina per il pomeriggio del 12 agosto a nord dell’Isola Ustica. A tenere d’occhio nella notte la 7a Divisione fu inviato da Malta un velivolo Wellington da ricognizione del 69° Squadron, dotato di radar. Nel frattempo si realizzava il concentramento dei sommergibili nel Mediterraneo occidentale, completato il mattino del 12 agosto, quando vennero a trovarsi in agguato diciassette unità subacquee italiane e due U-boote germanici distribuite nei seguenti settori: Giada, Uarsciek, Volframio, Brin, Dagabur, U 73, U 205 nel tratto di mare fra le Isole Baleari e la costa dell’Algeria; Ascianghi, Axum, Alagi, Bronzo, Dessie, Avorio, Cobalto, Emo, Dandolo, Otaria a settentrione della congiungente Isola Galite – Banco Skerki , e quindi all’entrata occidentale del Canale di Sicilia; Granito a nord di Capo Bon presso Biserta; Asteria a levante dell’Isola Linosa e quindi nelle vicinanze di Malta. Gli attacchi aerei del II Fliegerkorps e dell’Aeronautica della Sardegna Mentre la Forza F proseguiva la sua navigazione, affrontando una navigazione notturna alquanto tranquilla, una certa agitazione si ebbe nel gruppo navale della portaerei Furious che stava rientrando a Gibilterra per imbarcare altri Spitfire destinati a Malta (operazione Baritone realizzata il 17 agosto), Transitando nelle prime ore di oscurità del 12 agosto a sud delle isole Baleari, il Wolverine (capitano di corvetta P.W. Gretton), una dei cinque cacciatorpediniere di scorta della Furious, localizzò in superficie con il radar 271 il sommergibile italiano Dagabur (tenente di vascello Renato Pecori), e lo speronò affondandolo con l’intero equipaggio. Un altro sommergibile italiano, il Giada (tenente di vascello Gaspare Cavallina), trovandosi spostato più a levante, fu attaccato e danneggiato al mattino di quel giorno 12 da due idrovolanti Sunderland del 202° Squadron della R.A.F. decollati da Gibilterra, uno dei quali, il TK7C, fu abbattuto dalle mitragliere dell’unità subacquea. Avendo riportato molti feriti gravi, prima di rientrare alla Maddalena, il Giada fu costretto a raggiungere il porto spagnolo di Valencia per sbarcarvi gli uomini più menomati. Sempre al mattino del 12 agosto, dopo le prime segnalazioni giunte dai ricognitori del 122° Gruppo, la Forza F fu attaccata alle 09.15 da una formazione di diciassette bombardieri Ju. 88 del I. e II./LG.1 decollati da Gerbini, scortati da alcuni caccia Bf. 109 G2 del I./JG.77, partiti da Elmas. Comandavano i due gruppi i capitani Jochim Helbig, e von Karl-Heinz Schomann, quest’ultimo in sostituzione del comandante titolare del II./LG.1, maggiore Gerhard Kollewe, che a sua volta era stato destinato a comandare a Gerbini il 1° Stormo Sperimentale (LG.1) del colonnello Franz von Benda, rimasto in Grecia. Percepiti dai radar delle navi britanniche, gli Ju. 88 dell’LG.1 furono intercettati a 16 miglia dal convoglio da sedici caccia, su venticinque decollati dalle portaerei Victorious e Indomitable. Sebbene fossero riusciti a passare con l’appoggio dei formidabili Bf. 109 G2 del capitano Heinz Bär, che abbatterono due Hurricane degli Squadron 801° e 880°, gli Ju. 88 sganciarono le bombe in picchiata sotto un formidabile tiro di sbarramento contraereo delle navi, ma non ottennero alcun risultato e persero ben cinque dei diciassette velivoli che avevano realizzato l’attacco: tre del I./LG.1 e due del II./LG.1. Altri due Ju. 88 del II./LG.1, che erano stati costretti per guasti meccanici a dirigere verso la Sardegna, giunti nella zona del Golfo di Cagliari ed attaccati, per mancato riconoscimento, da due caccia italiani G. 50 del 24° Gruppo (sottotenenti Suppo e Rodolfi), furono entrambi abbattuti dopo essere stati anche inquadrati dal tiro dalle batterie contraeree. Alle proteste tedesche, da parte di Superaereo fu risposto, con una certa stizza, che i velivoli tedeschi, avvicinandosi a Cagliari, non avevano fatto i prescritti segnali di riconoscimento. Comunque, all’Ufficio di Collegamento tedesco presso l’organo operativo della Regia Aeronautica fu espresso rincrescimento per la perdita degli otto membri degli equipaggi dei due Ju. 88, ai quali furono tributate a Cagliari solenni onoranze funebri. Mentre la Forza F si avvicinava alla Sardegna, i caccia delle portaerei che erano stati particolarmente impegnati contro i veloci ricognitori Ju. 88 tedeschi e contro i più facili bersagli costituiti dai Cant Z. 1007 bis italiani del 51° Gruppo Ricognizione Strategica della Sardegna, due dei quali furono abbattuti e un altro seriamente danneggiato dai caccia Fulmar e Hurricane degli squadrin 884° e 880° delle portaerei Victorious e Indimitable. Fu in questo contesto che, tra le 12.00 e le 13.30, si sviluppò il più grande attacco in massa di tutta la guerra, realizzato da parte delle forze aeree dell’Asse nel Mediterraneo, a cui parteciparono, con decollo dalle basi di Elmas, Decimomannu, Villacidro e Monserrato ben centosedici velivoli italiani, a cui si aggiunsero provenienti dalla Sicilia trentasette bombardieri Ju. 88 del KG.54 e del KG.77, scortati, con partenza da Elmas, da ventuno caccia Bf. 109 del I./JG.77. I primi ad arrivare furono i trentanove velivoli di una formazione mista che comprendeva dieci bombardieri S. 84 del 38° Gruppo (maggiore Vincenzo Orlando) del 32° Stormo e quattordici caccia di scorta Mc. 202 del 153° Gruppo (maggiore Andrea Savini), seguiti da quindici caccia Cr. 42 del 24° Gruppo (maggiore Mario Frulla), otto dei quali armati con due bombe da 100 chili fissate sotto le ali, e sette col compito di effettuare mitragliamenti, per stornarne l’attenzione delle navi nemiche durante gli attacchi. I dieci S. 84, erano armati ognuno con due motobombe FFF (dal nome degli inventori Freri, Fiore, Filpa), un’arma simile a un piccolo siluro munita di paracadute da sganciare di prora alle navi, e in grado, dopo essere scese in acqua, di eseguire un percorso a spirale. L’intendimento era di scompaginare la formazione navale nemica e agevolare il successivo attacco degli aerosiluranti con questa nuova arma, costruita in Italia anche per i tedeschi che l’avevano acquistata, e da essi impiegata in mare per la prima volta dai bombardieri Ju.88 del I./KG.54 a metà giugno nel corso dell’operazione Vigorous. Ma anche quest’attacco con le FFF, realizzato sotto forte reazione contraerea e dei caccia britannici che abbatterono due S. 84, non ebbe alcun risultato, per la pronta manovra delle navi della Forza F che, all’ordine della corazzata Nelson, e al suono delle sirene, schivarono le motobombe accostando a un tempo di 90° sulla dritta. Anche gli Mc. 202 della scorta, nonostante le ottimistiche valutazioni dei piloti di quell’aereo dalle caratteristiche di velocità e manovrabilità superiori a quelle dei caccia delle portaerei, non conseguirono alcun successo nei duelli aerei con Hurricane, Fulmar e Martlet. Purtroppo era una lacuna dovuta certamente allo scarso armamento del velivolo (due mitragliere da 12.7), all’insufficiente addestramento e a inadeguate tattiche di combattimento imposte ai piloti, che portava a risultati scadenti come fu dimostrato, a riprova, nel corso dell’intera operazione Pedestal. Subito dopo l’accostata della Forza F sopraggiunsero i Cr. 42 del 24° Gruppo Caccia, ridotti a quattordici, poiché il maggiore Frulla era dovuto rientrare per un guasto, lasciando il comando della formazione al tenente Pietro Andreotti. I Cr. 42 attaccarono in picchiata le unità di scorta dello schermo del convoglio, prendendo di mira il grosso cacciatorpediniere Lightning, che fu mancato di poco da una bomba. Purtroppo l’attacco degli aerosiluranti, che avrebbe dovuto seguire a cinque minuti di distanza da quello dei bombardieri, poté realizzarsi con un ritardo di un quarto d’ora, per difficoltà sorte nella messa in moto dei caccia di scorta del 2° Gruppo Re. 2001, trasferiti dalla Sicilia e operanti per la prima volta in Sardegna, che vennero a mancare di parte dei loro specialisti. Ciò dette modo alla Forza F, che con altra accostata di 90° sulla sinistra era tornata sulla rotta primitiva, di accogliere gli aerosiluranti nella migliore disposizione difensiva. L’ondata d’attacco si componeva alla partenza di quarantatre velivoli, ma due di essi durante la rotta ebbero dei problemi e dovettero rientrare. I restanti quarantuno arrivarono sull’obiettivo alle 13.00, a una quota di navigazione di 400 metri, e sopraggiungendo di prora alla Forza F si divisero in due formazioni, per poi dirigere in pattuglie a cuneo contro entrambi i lati della Forza F, facendo in modo di arrivarvi contemporaneamente. La prima formazione era costituito da nove S. 79 e dieci S. 84 dei gruppi 105° e 89° Gruppo (36° Stormo), scortati da quattordici caccia Re. 2001 del 2° e 22° Gruppo. La seconda formazione da ventidue S. 79 dei gruppi 109° (36° Stormo) e 130°, e del 2° e 3° Nucleo Addestramento Aerosiluranti, affidati a istruttori e migliori allievi pilota, scortati da altri dodici caccia Re. 2001 del 2° Gruppo. I velivoli della prima formazione, possedendo nell’Alfa 128 motori più potenti, compiendo un’ampia manovra attaccarono le navi della Forza F sul fianco destro, quelli della seconda formazione, con motori Alfa 126 meno veloci, svolsero un percorso più diretto, attaccando il fianco sinistro della formazione britannica, in modo da realizzare la prevista azione contemporanea sui due lati del convoglio. (vedi cartina). Purtroppo, gli aerosiluranti, accolti da uno spaventoso fuoco di sbarramento, il maggiore che i loro piloti veterani avessero mai dovuto affrontare, lanciarono i siluri da troppo lontano, al di fuori dei cacciatorpediniere dello schermo del convoglio, che si trovava alla distanza di 7.000 metri. Ne consegui che gli aerosiluranti non conseguirono alcun risultato, perdendo l’S. 79 del maggiore Zanardi, comandante del 109° Gruppo, costretto ad ammarare da due caccia mentre dirigeva all’attacco della corazzata Nelson, e un caccia Re. 2001 del 2° Gruppo, anch’esso abbattuto dai caccia britannici. Altrettanto sfortunato risultò l’attacco di due caccia bombardieri Re. 2001 della Sezione Speciale di Guidonia, che erano armati con bombe perforanti da 630 chili, da impiegare contro le navi portaerei per menomare il loro ponte di volo. Avvistato l’obiettivo alle 13.25 da una quota di 4.000 metri, i tenenti piloti Riccardo Vaccari e Guido Robone cominciarono ad abbassarsi compiendo un lungo giro per poi avvicinarsi di poppa alla Victorious (capitano di vascello Henry Cecil Bovel) come se volessero atterrarvi, e sorvolandola indisturbati ad una quota di circa 20 metri, sganciarono le bombe, per poi allontanarsi quasi indisturbati, essendo stata tardiva la reazione della portaerei e dei loro caccia in volo. (vedi cartina). L’abile e coraggioso attacco dei piloti dei Re. 2001 avrebbe potuto conseguire un grosso successo materiale e di prestigio se fosse stato aiutato dalla fortuna. Infatti, le due grosse bombe colpirono entrambe la Victorious, la nave di bandiera del contrammiraglio Lyster, ma la quota di sgancio risultò troppo bassa per perforarne il ponte di volo corazzato. Inoltre il congegno di attivazione delle spolette non ebbe il tempo di funzionare completamente. Ne conseguì che una delle bombe, deflorando al centro della nave, si frantumò in pezzi uno dei quali colpì un carrello che trasportava le batterie per avviare i motori dei caccia Hurricane. La seconda bomba ebbe anch’essa scarso effetto, rimbalzò sul ponte di volo, scivolò presso prora, e finì in mare senza esplodere. A bordo della portaerei, che riportò soltanto lievi danni strutturali, rimasero uccisi quattro ufficiali e due marinai e vi furono due feriti, ma la Victorious poté continuare senza intralci la sua attività di volo.[17] Essa fu veramente aiutata dalla fortuna poiché se le due grosse bombe fossero esplose, sfondando il ponte, avrebbero causato alla portaerei danni dagli effetti di natura disastrosa. Per ultimo avrebbe dovuto attaccare un S. 79 radiocomandato, che imbarcando una grossa bomba da mille chili, era stato progettato per attaccare grosse navi. L’intenzione era quella di mandarlo a schiantare su una portaerei come un velivolo Kamikaze ma senza pilota, usufruendo della radioguida montata su un Cant. Z. 1007 bis. I due velivoli, scortati da cinque caccia G. 50 del 24° Gruppo, decollarono da Villacidro, ma quando già si trovavano in vista della Forza F, l’S. 79 deviò dalla sua rotta a causa di un guasto ad un condensatore all’apparato di guida del Cant Z. 1007 bis. Il personale tecnico, che includeva il responsabile del progetto generale Ferdinando Raffaelli, non riuscì a correggere l’anomalia, ragion per cui l’S.79 fu visto sparire all’orizzonte per poi andare a sfasciarsi su una collina dell’Algeria, nei pressi di Costantina. Il costo dell’intera azione fallimentare dell’Aeronautica della Sardegna fu rappresentato della perdita dell’S. 79 radiocomandato e di cinque aerei abbattuti dai caccia delle portaerei, compreso un ricognizione Cant. Z. 1007 bis del 51° Gruppo, che durante le azioni aeree era stato inviato a mantenere il contatto con la Forza F. Anche l’azione dei velivoli da bombardamento tedeschi, che attaccarono in picchiata dopo che si era conclusa l’azione degli aerosiluranti italiani, fu nel complesso deludente. I piloti dei trentasette Ju. 88 riuscirono a colpire con una bomba, probabilmente sganciata dal velivolo del comandante del II./KG.77 capitano Heinrich Paepcke, il solo piroscafo Deucalion, che dopo essersi fermato per controllare i danni poté proseguire la navigazione, seguendo il convoglio, scortato dal piccolo cacciatorpediniere di scorta Bramham che lo aveva soccorso. Dopo questa serie di attacchi, superati senza troppi danni, la Forza F passò a circa 20 miglia a nord dell’isola Galite e trascorse il resto del pomeriggio a contrastare con successo attacchi di sommergibili italiani, evitando alle 16.30 i siluri dell’Emo (tenente di vascello Giuseppe Franco), e affondando verso le 18.00 il Cobalto (tenente di vascello Raffaele Amicarelli) con il cacciatorpediniere Ithuriel (capitano di corvetta D.H. Maitland-Makgill-Crichton), che dopo aver speronato il sommergibile, riportando danni piuttosto gravi alla prua, fermando le macchine ne recuperò i superstiti. Occorre dire che, allo scopo di realizzare il maggior apporto offensivo, fin dalle 09.00 del 12 agosto Maricosom, il Comando in Capo della Squadra Sommergibili (ammiraglio Antonio Legnani), aveva inviato alle unità subacquee due messaggi: 1°) “Ricordo per l’ultima volta il mio preciso tassativo inequivocabile ordine lanciare sempre massimo numero siluri contro bersagli tonnellaggio superiore a quello delle torpediniere”; 2°) “Il nemico non ripeto non deve passare alt Est un imperativo che io affido alla vostra perizia al vostro ardimento alla vostra decisiva volontà di vittoria”.[18] Intanto, una seconda azione aerea era stata pianificata per il pomeriggio dal Comando dell’Aeronautica della Sardegna, ma dovette essere “subordinata alle contingenti condizioni di efficienza qualitativa e quantitativa dei reparti”, che in quelle ore del pomeriggio del 12 agosto non esistevano, a causa dei danni riportati dai velivoli dei vari reparti nell’attacco del mattino.[19] Essendo stato pianificato l’intervento aereo in forma ridotta, alle 16.30 decollarono due formazioni offensive: la prima costituita da otto caccia Cr. 42 bombe alari del 24° Gruppo, scortata da nove caccia Re. 2001 del 22° Gruppo; la seconda comprendente otto aerosiluranti S. 79 del 36° Stormo e del 130° Gruppo, scortata da quattordici caccia Mc. 202 del 153° Gruppo. Mentre gli aerosiluranti furono costretti a rientrare senza essere riusciti ad avvistare le navi nemiche, per il sopraggiunto limite di autonomia dei caccia di scorta, gli otto tuffatori, al comando del tenente Pietro Andreotti, e i nove caccia di scorta guidati dal capitano Germano La Ferla, nel dirigere verso la zona in cui doveva trovarsi la Forza F furono segnalati dai radar delle navi britanniche in avvicinamento, e poco dopo, alle 17.36, vennero intercettati ed attaccati da quattro caccia Martlet dell’806°Squadron della portaerei Indomitable. Arrivando da quota superiore i velivoli britannici colpirono gravemente due Re. 2001, uno dei quali andò perduto, mentre l’altro riuscì a rientrare alla base. Ancora uno scontro finito male per i cacciatori italiani, nonostante la loro superiorità numerica, mentre i Cr. 42 non ebbero maggior fortuna. Avendo avvistato il danneggiato cacciatorpediniere Ithuriel, lo attaccarono in picchiata, riuscendo soltanto a sfiorarlo con diverse bombe da cento chili. La Forza F, che durante tutta la giornata aveva mantenuto una navigazione lineare verso levante, alle ore 18.00 cambiò rotta per 121° per passare attraverso il Canale di Skerki; e ciò avvenne mentre grosse formazioni di aerei decollati dagli aeroporti della Sicilia erano in arrivo, percepite dai radar. Stava per cominciare una nuova e più movimentata fase della battaglia. La pianificazione e l’attacco delle forze aeree dell’Asse dislocate in Sicilia Basandosi sulle disposizioni impartite da Superaereo e tenendo conto della velocità di spostamento del convoglio britannico e della forte protezione a esso assicurata dai caccia delle portaerei, il Comando dell’Aeronautica della Sicilia e il Comando del II Fligerkorps avevano stabilito fin dal mattino del 12 di svolgere le azioni offensive dei loro reparti nel tardo pomeriggio, contando sul rientro a Caltagirone dei caccia Re. 2001 del 2° Gruppo che nella mattinata avevano operato in Sardegna. Da parte italiana, secondo le istruzioni diramate ai reparti dal Comando Tattico di Catania, era stato previsto di impegnare la Forza F a nord di Biserta con una massa di ben centocinque aerei, ripartiti in tre ondate successive, la prima costituita da trenta bombardieri in quota (Cant. Z. 1007 bi, S. 84 e Br. 20) scortati da otto caccia Re. 2001, la seconda da venti aerosiluranti S.79 e S. 84 scortati da ventidue caccia Mc. 202, la terza da quindici bombardieri in picchiata Ju. 87, scortati da altri dieci caccia Re. 2001. Il loro obiettivo principale, nel corso di un attacco da realizzare in modo sincronizzato, dovevano essere i piroscafi, quello secondario dalle navi portaerei e dalle altre navi da guerra maggiori. Il piano di attacco, accuratamente preparato dal Comandante dell’Aeronautica Sicilia, generale Silvio Scaroni, che con accordi stabiliti con il Comando del II Fliegerkorps doveva essere coordinato con gli Ju. 87 del I./St.G.1, scortati dai caccia Bf. 109 dei gruppi II./JG.53 e I./JG.77, quest’ultimo rientrato in Sicilia da Elmas, non poté essere attuato nella forma originale. E ciò avvenne per il mancato rientro a Caltagirone dei Re. 2001 del 2° Gruppo Caccia, che essendo stati impegnati a proteggere le formazioni offensive della Sardegna anche nelle azioni del pomeriggio, non avevano il tempo di partecipare all’azione serale, fissata per le ore 18.30. Allora facendo l’errata considerazione che il convoglio nemico fosse ancora scortato da tre a quattro portaerei con un numero di caccia elevato, il generale Scaroni ritenne troppo pericoloso inviare all’attacco del convoglio nemico un massiccio numero di aerei offensivi senza adeguata protezione di caccia di scorta, e decise pertanto, con l’autorizzazione di Superaereo, di rinunciare al concorso dei trenta bombardieri in quota per dare maggiore protezione agli aerosiluranti e ai tuffatori, che furono riuniti a Pantelleria. Tuttavia, seppur dolorosa, la rinuncia all’impiego dei trenta bombardieri in quota permise all’Aeronautica della Sicilia di disporre per quella stessa sera dei velivoli necessari per venire incontro ai desideri di Supermarina di battere nella notte gli aeroporti di Malta con la maggiore forza e intensità possibile, allo scopo di cercare di tenere a terra gli aerei offensivi dell’isola, nel momento in cui le due divisioni navali sarebbero entrate nel Canale di Sicilia, dirette verso Pantelleria. Gli ordini operativi, diramati dal Comandante del Bombardamento Sicilia, colonnello Giuseppe Gaeta, prevedevano di attaccare in tre ondate l’aeroporto di Luqa, il principale di Malta, con l’impiego di diciassette bombardieri, ad iniziare dalle ore 23.00 del 12 agosto, per poi proseguirle, con la massima puntualità, fino alle 02.00 del 13. Risolto questo problema, purtroppo ne sorse un altro. Come se tutto volesse congiurare nella preparazione delle azioni offensive dell’Aeronautica della Sicilia, all’ultimo momento a Gerbini sorsero degli inconvenienti sugli S. 84 del 4° Gruppo nell’armarsi con i siluri, e non furono in grado di partecipare all’azione programmata, cosi come avvenne per cinque tuffatori Ju. 87 del 102° Gruppo che, arrivati a Pantelleria, non ebbero il tempo di completare il rifornimento. Per tutti questi contrattempi, cui si aggiunsero vari incidenti ai velivoli nell’atterraggio, il gruppo d’attacco preparato dal Comando Operazioni del generale Scaroni si ridusse ancora di numero, e infine venne ad essere costituito, addirittura dimezzato, soltanto da cinquantuno velivoli, il cui intervento ebbe inizio dopo che i ricognitori, italiani e tedeschi, avevano confermarono che la Forza F stava entrando entro il raggio d’azione degli aerei concentrati a Pantelleria. Nel corso delle missioni di ricognizione non rientrò alla base un S. 79 del 32° Gruppo del 10° Stormo Bombardieri, che fu abbattuto da due caccia Fulmar dell’884° Squadron della Victorious. Nel corso dell’attacco intervenne anche un Fulmar dell’809° Squadrone dell’Indomitable, che però venne a sua volta abbattuto da un mitragliere dell’S. 79. Immediatamente dopo l’arrivo dei primi rapporti trasmessi dai ricognitori, che segnalarono con sufficiente approssimazione rotta e consistenza della Forza F e la disposizione dei caccia di scorta scaglionati a varie quote, il Comando Tattico dell’Aeronautica della Sicilia impartì l’ordine di operazione conclusivo per tutti i reparti interessati destinati ad attaccare la Forza F, dopodiché le formazioni italiane presero il volo dall’aeroporto di Pantelleria, dirette verso il nemico, scortate dai caccia del 51° Stormo (tenente colonnello Aldo Remondino). I primi a partire, alle 17.25 del 12 agosto, furono nove Ju. 87 del 102° Gruppo (capitano Antonio Cumbat), che furono subito dopo raggiunti dalla loro scorta, costituita da undici caccia Mc. 202 del 20° Gruppo (maggiore Gino Callieri). Seguirono quattordici aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo (capitano Ugo Rivoli), poi raggiunti dalla scorta costituita da diciassette caccia Mc. 202 del 155° Gruppo (maggiore Duilio Fanali). Nel frattempo si concludevano anche i preparativi dei reparti germanici del II Fliegerkorps, il cui Comando Tattico, che inizialmente aveva pianificato di realizzare l’attacco dalla Sardegna, trasferendo i velivoli Ju 87 del I./St.G.3 ad Elmas, dopo gli accordi intervenuti tra l’O.B.S. e Superaereo, vi aveva rinunciato, per coordinare le sue azioni, con partenza da Trapani, Alle 18.35, con la Forza F che si trovava a passare a 20 miglia a nord dell’Isola dei Cani, i radar delle navi britanniche segnalarono una grossa formazione di aerei in avvicinamento ad una distanza di 40 miglia, ed immediatamente, mentre a bordo delle navi scattava nuovamente l’allarme e aumentava lo stato di tensione, le portaerei fecero decollare tutti i loro caccia disponibili, fino a costituire sopra il convoglio un ombrello di venticinque velivoli, che all’apparire degli aerei dell’Asse iniziarono i loro attacchi, impegnandosi a respingere il nemico, senza grande successo poiché i bombardieri e gli aerosiluranti erano protetti da velivoli da caccia di caratteristiche numeriche e belliche più elevate, ciò che permise agli intercettori italiani e tedeschi di mantenere una indubbia supremazia nel cielo della battaglia e consenti agli aerei offensivi da essi scortati di operare con una certa tranquillità. Gli attacchi contro le unità della Forza F furono iniziati dai tuffatori Ju. 87 del 102° Gruppo alle 18.40, ora alla quale, con perfetto sincronismo, anche gli aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo, che volavano ad una quota di navigazione di 500 metri, cominciarono ad avvicinarsi alla formazione navale britannica, dando inizio ad un attacco che si prolungo per una ventina di minuti, e che fu accolto dal rombo spaventoso di tutte le artiglierie delle navi britanniche, e dal crepitio delle mitragliere di ogni calibro. Gli Ju. 87 del 102° Gruppo scesero in picchiata dalla direzione del sole, dirigendo in massima parte contro i piroscafi, senza però conseguire alcun risultato, dal momento che le loro bombe caddero in mare. Un maggior successo avrebbe invece potuto conseguire lo Ju. 87 che scelse a bersaglio la corazzata Rodney (capitano di vascello J.W Rivett-Carnac), ma purtroppo la sua bomba da cinquecento chili (com’è scritto nel diario della nave) invece di penetrare ed esplodere sulla torre X di grosso calibro da 406 mm, slittò sulla robustissima corazza per poi finire in mare a una quindicina di metri dallo scafo della Rodney, limitando il danno della proiezione di schegge al ferimento di quattro uomini dell’equipaggio.[20] Il colpo a segno fu chiaramente osservato dai piloti degli Mc. 202 del 20° Gruppo Caccia, ma il coraggioso pilota dello Ju. 87 e il suo armiere non sopravvissero per raccontarlo essendo stato il loro aereo colpito dalle artiglierie della Rodney, cadendo in mare a poppa della corazzata, mentre un altro tuffatore fu abbattuto da un caccia Hurricane dell’800° Squadron dell’Indomitable. Non sopravvissero i piloti dei due Ju. 87, sergenti Giulio Cremonesi e Ugo Casavola, e i loro mitraglieri, gli allievi motoristi Giovanni Parietti e Giuseppe Colarenna. Mentre l’attacco dei Picchiatelli italiani si stava esaurendo, alle 18.44 sopraggiunse sulla Forza F la formazione di venti Ju. 87 tedeschi del I./St.G.3. Da una quota di 3.000 metri gli Stuka diressero sulla Indomitable che, trovandosi a poppa della Rodney ed essendo seguita dall’incrociatore Phoebe, aveva appena ultimato il decollo di una pattuglia di quattro Hurricane. Manovrando sotto un uragano di fuoco contraereo, i piloti degli Ju. 87 scesero rapidamente in picchiata dalla direzione del sole, “nel famoso cielo azzurro” come si espresse il comandante dell’Indomitable capitano di vascello Thomas Troubridge, per concentrare la loro azione sulla portaerei, arrivandovi da poppa, per poi sganciare le bombe da una quota di circa 300 – 350 metri.[21] L’Indomitable, inquadrata con precisione, fu nascosta per qualche tempo alla vista dagli spruzzi delle bombe da 500 chili cadute in mare e dal fumo delle tre che la colpirono – a prora davanti all’elevatore che si sollevo di 70 cm, a poppa sfondando l’elevatore posteriore, e presso il fianco sinistro – mettendo fuori servizio il ponte di volo e impianti contraerei, e dando agli uomini delle unità vicine l’impressione che la portaerei, preda di forti incendi, sarebbe apparsa come un rottame fumante. Lo sguardo era rivolto al fumo e al vapore che si levavano dietro la cortina d’acqua sollevata dalle esplosioni delle bombe. Poi con sollievo di tutti gli uomini delle navi vicine, da quella cortina in attenuazione la Indomitable apparve avvolta dalle fiamme da prora a poppa, ma ancora a galla. Fra i membri dell’equipaggio vi furono sessantasei morti e cinquantanove feriti. Arrivarono per ultimi gli aerosiluranti del 132° Gruppo i quali realizzarono il loro attacco dividendosi in tre formazioni, protette dai caccia di scorta del maggiore Fanali, che s’impegnarono a contrastare e tenere agevolmente lontani dagli S. 79 i caccia britannici. Secondo il rapporto del vice ammiraglio Syfret, gli equipaggi degli S. 79 lanciarono i siluri da una distanza di circa 2.700 metri dai cacciatorpediniere più avanzati dello schermo. Una distanza eccessiva rispetto ai piroscafi del convoglio, l’obiettivo loro assegnato, che poterono agevolmente evitare la minaccia con una manovra a un tempo prontamente ordinata dalla Nelson colla sirena e con il segnale a bandiera rossa. Il giudizio di Syfret fu condiviso dal maggiore Fanali, il quale sostenne che i dodici aerosiluranti sganciarono i siluri da troppo lontano e “in fretta” contro le unità della scorta sul fianco destro del convoglio, e nessuno di essi si inoltrò verso i piroscafi che si trovavano al centro della formazione. Più difficile apparve il compito dei cacciatorpediniere dello schermo per schivare i siluri, uno dei quali colpì a poppa a sinistra il cacciatorpediniere Foresight (capitano di corvetta Robert August Fell), che imbarcando acqua, e con la sala macchine inutilizzata, dovette essere abbandonato l’indomani, e finito con un siluro dal cacciatorpediniere Tartar (capitano di fregata St.J.R.J. Tyrwhitt) che lo aveva preso a rimorchio con l’intenzione di portarlo a Gibilterra. Questa serie di successi dell’Asse non doveva restare isolata, perché circa un’ora più tardi, quando il vice ammiraglio Syfret aveva anticipato di venti minuti l’inversione di rotta della Forza Z agli approcci occidentali del Canale di Sicilia, per portare al più presto la danneggiata Indomitable lontana dagli aeroporti dell’Asse, si verificò un vero disastro. I successi dei sommergibili italiani e degli aerei tedeschi nella zona del Banco Skerki. Nell’invertire la rotta, la Forza Z del vice ammiraglio Syfret diresse verso occidente alla velocità di diciotto nidi in una formazione che comprendeva le corazzate Nelson e Rodney, le portaerei Victorious e Indomitable, gli incrociatori Sirius, Phoebe, e Charybdis e undici cacciatorpediniere della 19a Flottiglia: Laforey, Lookout, Lightning, Quentin, Eskimo, Somali, Ithuriel, Antelope, Wishart, Vansittarth e Zetland. Rimanevano indietro il danneggiato cacciatorpediniere Foresight, della Forza X, con il Tartar. Proseguirono verso Malta le navi del convoglio e del suo gruppo di scorta, la Forza X del contrammiraglio Burrough, che poteva disporre di una formazione quasi all’organico completo, con il convoglio W.S. 21/S che ancora comprendeva quattordici navi mercantili, di cui tredici in formazione: i piroscafi Port Chalmers, Empire Hope, Waimarama, Wairangi, Melbourne Star, Dorset, Glenorchy, Rochester Castle, Clan Ferguson, Brisbane Star, Santa Elisa, Almeria Lykes e la petroliera Ohio, seguiti alquanto distante dal danneggiato piroscafo Deucalion, scortato dal cacciatorpediniere Bramham. Quanto alla scorta della Forza X, essa disponeva dei tre incrociatori della 10a Divisione Nigeria, Kenya, Manchester, dell’incrociatore contraereo Cairo e dei dieci cacciatorpediniere della 6a Flottiglia Ashanti, Intrepid, Icarus, Fury, Derwent, Bicester, Ledbury, Pathfinder, Penn e Wilton, seguiti dal Bramham. In quel momento Syfret aveva assolto perfettamente il suo compito e il convoglio, che non aveva subito perdite, stava entrando nelle ristrette acque del canale del Banco Skerki, a nord di Biserta, in cui erano concentrati ben cinque sommergibili italiani: Granito, Bronzo, Axum, Dessie, Alagi. Scrissero i britannici, che gli attacchi portati da quei sommergibili in quella ristretta e sabbiosa area di mare, situata a nord di Biserta e a 250 miglia a ponente di Malta, produssero, improvvisamente, un inaspettato e grave rovescio, “i cui effetti furono superiori ad ogni ragionevole previsione”. E con tali conseguenze disastrose la fortuna, che fino a quel momento aveva accompagnato il convoglio W.S. 21/S, venne a cessare di colpo.[22] Ciò avvenne mentre, per ridurre il rischio di imbattersi in campi minati e di manovrare più agevolmente nelle acque ristrette del Canale di Sicilia tra il Banco Skerki e l’Isola di Pantelleria, le navi mercantili e gli incrociatori stavano manovrando per cambiare formazione al convoglio, passando da quattro a due colonne, con i cacciatorpediniere sui fianchi. Il primo sommergibile ad attaccare in immersione, fu il Dessie (tenente di vascello Renato Scandola), che alle 19.27 lancio la salva dei quattro siluri di prora contro due piroscafi fallendo il bersaglio. Poi, mentre il convoglio britannico aveva cominciato a manovrare per cambiare formazione e disporsi su due colonne, arrivò al lancio l’Axum (tenente di vascello Renato Ferrini), che alle 19.55 fece partire angolati i quattro siluri di prora, prendendo di mira le navi di testa della formazione britannica. L’azione ebbe effetti micidiali. Furono colpiti da un siluro ciascuno l’incrociatore Nigeria, la nave ammiraglia di Burrough, che alla velocità di quattordici nodi guidava la colonna di sinistra del convoglio, l’incrociatore contraereo Cairo, in testa alla colonna di destra, e la petroliera Ohio. Sul Nigeria (capitano di vascello Stuart Henry Paton), che era stato colpito sul fianco destro sotto il ponte di comando, per le copiose entrate d’acqua nello scafo, attraverso una falla larga ben tredici metri, vi fu subito uno sbandamento a sinistra di tredici gradi, per poi raggiungere in tre minuti i diciassette gradi. L’incrociatore, che sembrava volesse capovolgersi, rimasto privo di controllo e con le pompe che non funzionavano, fece una gran volta tonda per poi continuare lentamente a muoversi fortemente inclinato sul fianco. L’equipaggio, tra il quale vi furono cinquantadue morti, lottò disperatamente per effettuare le riparazioni di emergenza, puntellando le paratie, isolando alcuni compartimenti e allagandone altri dal lato opposto alla falla per ridurre lo sbandamento. Alle 21.10 il Nigeria era già sotto controllo e cinque minuti più tardi si fermò per trasbordare il contrammiraglio Burrough e il suo stato maggiore sull’Ashanti, per continuare sul cacciatorpediniere ad esercitare il comando della formazione. Dopo di che il Nigeria, invertendo la rotta a ponente, diresse lentamente verso Gibilterra, scortato dai quattro cacciatorpediniere Bicester; Wilton, Derwent e Malcolm, che per ordine del vice ammiraglio Syfret erano stati lasciati indietro per proteggere l’incrociatore. L’incrociatore contraereo Cairo (capitano di vascello Cecil Campbell Hardy, raggiunto da un siluro sul fianco sinistro, rimase immobilizzato con la poppa asportata e le macchine fuori servizio a 75 miglia a nord di Capo Bon. La situazione della nave, priva di corrente elettrica, e che aveva riportato venti morti tra l’equipaggio, apparve disperata per gli allagamenti che si stavano estendendo ai locali prossimi alla sala macchine, e fu ordinata l’evacuazione. I cacciatorpediniere Pathfinder e Derwent recuperarono l’equipaggio, e infine ricevettero l’ingrato compito di finire il Cairo, lanciando i siluri e sparando con il cannone. Sulla petroliera Ohio il siluro dell’Axum esplose al centro dello scafo e dette origine ad un incendio, in corrispondenza della sala pompe. La nave rimase inizialmente immobilizzata, per le caldaie che si erano spente per danni alle tubulature del vapore e il timone in avaria. In queste condizioni il comandante, capitano Dudley William Mason, dette ordine di abbandonare temporaneamente la sala macchine. L’incendio fu poi domato dall’equipaggio, che puntellando le paratie e rimettendo in moto le macchine, permise alla Ohio di proseguire la navigazione a buona andatura, tre quarti d’ora che era stata colpita, scortata dal cacciatorpediniere Ledbury. Lo splendido e micidiale attacco dell’Axum che, con uno dei migliori lanci multipli in assoluto di tutta la guerra, aveva colpito tre fra le più importanti navi del convoglio britannico, e che all’epoca fu sottovalutato anche nei confronti delle decorazioni al comandante e all’equipaggio, ebbe un effetto portata assai vasta. Infatti, si verificarono nell’ambito della Forza X e del convoglio i seguenti inconvenienti: 1°) la temporanea assenza del comandante dell’Ashanti, che guidava la 6a Flottiglia Cacciatorpediniere, fermatosi per imbarcare il contrammiraglio Burrough, il quale per un certo tempo non fu in grado di esercitare il comando della Forza X, assunto dal comandante dell’incrociatore Kenya, capitano di vascello Alfred Spalding Russell; 2°) la mancanza di un incrociatore a capofila di due delle quattro colonne dei piroscafi, e di quasi metà dei cacciatorpediniere di scorta per aiutare le navi danneggiate; 3°) la messa fuori combattimento di due dei quattro incrociatori della Forza X, che erano anche le unità addette alla direzione dei caccia di Malta destinati l’indomani ad assumere la scorta al convoglio, poiché soltanto il Nigeria e il Cairo possedevano adatti apparati radio fonici a bassa frequenza; 4°) l’immediato sparpagliamento dei piroscafi, ognuno dei quali per diverso tempo manovrò indipendentemente, e che rese difficile la loro protezione da parte delle unità di scorta al convoglio divenuto “una massa confusa e eterogenea”, addirittura “caotica” come riferì il comandante del Kenya.[23] Il vice ammiraglio Syfret, che si trovava molto ad ovest del convoglio, non appena venne a conoscenza di quanto era successo ordinò all’incrociatore Charybdis e ai due grossi cacciatorpediniere Eskimo e Somali di staccarsi dalla Forza Z per raggiungere la Forza X, per due motivi: per rafforzare la scorta menomata del convoglio, divenuta ormai insufficiente nel passaggio del Canale di Sicilia; e perché lo Charybdis disponeva di un radiotelefono a piccola frequenza, utilissimo per guidare i velivoli da caccia di Malta quando l’indomani avessero assunto la scorta al convoglio. Fu in questa situazione che si verificò, in quelle ore crepuscolari, un fatto inaspettato. Alle 20.35 i radar delle unità britanniche, che si trovavano a 20 miglia dal Canale Skerki, segnalarono l’arrivo di grosse formazioni di aerei, e poco dopo, mentre le navi mercantili del convoglio tentavano di costituire nella crescente oscurità la formazione su due colonne, ebbe inizio un micidiale attacco che ebbe termine alle 21.30, con risultati disastrosi. All’attacco, pianificato da Apollo Ia, fissando quale obiettivo principale da attaccare le navi mercantili, partecipavano ripartiti in cinque gruppi trenta bombardieri Ju. 88 del KG.54, KG.77 e II./LG.1, e sette aerosiluranti He. 111 della 6./KG.26, scortati da sei caccia distruttori Bf.110 della 8./ZG.26. Per proteggere il convoglio il contrammiraglio Burrough ordinò all’Ashanti di stendere una cortina di fumo e di nebbia artificiale sul lato della luminosità dell’orizzonte, e al Penn di fare altrettanto. Poco dopo che i due cacciatorpediniere avevano cominciato a stendere la cortina, la prima formazione degli aerei tedeschi, provenienti da nord-est, cominciò ad aggredire le navi mercantili, che apparivano in formazione molto allungata, mentre le loro sagome scure si stagliavano verso occidente contro le ultime luci dell’orizzonte. Questa condizione ideale fu sfruttata dai bombardieri, e soprattutto dagli aerosiluranti che li seguirono sull’obiettivo, nel migliore dei modi. L’attacco aereo fu anche agevolato dal fatto che sei caccia a lungo raggio Beufighter del 248° Squadron, arrivati da Malta per assumere la scorta del convoglio in sostituzione dei velivoli delle portaerei, stavano rientrando alla base e nell’invertire la rotta non poterono rintracciare al buio i velivoli attaccanti. Per circa mezzora gli aerei tedeschi attaccarono, a coppie o isolati, e molti piroscafi riportarono danni per colpi vicini. Alle 20.35 due grosse bombe caddero presso lo scafo del Rochester Castle (capitano R. Wren) che imbarcò acqua nella sala macchine. Poco dopo l’Empire Hope (capitano G. Williams) fu particolarmente inquadrato dagli Ju. 88. Una bomba, caduta vicino, aprì un forte squarcio sul fianco del piroscafo, che fu costretto a fermarsi con le macchine fuori uso. Rimasto immobile bersaglio, alle 20.50, il medesimo Empire Hope fu colpito in pieno da due bombe, una delle quali esplose nella stiva numero quattro dove si trovava un carico di munizioni e benzina avio, generando un forte incendio. Apparendo condannato, il piroscafo dovette essere colpito con il siluro dal cacciatorpediniere Penn (capitano di corvetta J.H. Swain, dopo che ne aveva recuperò l’equipaggio. Anche il cacciatorpediniere Ashanti fu preso di mira dagli Ju. 88, e una bomba cadutagli vicino causò, per un ritorno di fiamma, un incendio nella sala caldaie, che fu rapidamente domato. Verso le 21.00 i sette aerosiluranti della 6./KG.26, comandati dal capitano Karl Barth, che erano armati ciascuno con due siluri F.5b, attaccarono con decisione e colpirono dapprima il piroscafo Brisbane Star, con un siluro esploso all’estremità della prora, e due minuti più tardi il Clan Ferguson, che si trovava a circa 7 miglia a nord dell’Isola Zembra. Pur con la stiva 1 allagata, dopo essersi arrestato per controllare i danni, il Brisbane Star (capitano F.N. Riley) fu in grado di continuare isolato la navigazione alla velocità di cinque nodi, poi in seguito aumentata a otto nodi. Il Clan Ferguson fu colpito da un siluro sul fianco destro, e il carico nella stiva 4, costituito da benzina in fusti, prese fuoco. L’incendio raggiunse la stiva 5, ove si trovava un carico di centocinquanta tonnellate di munizioni che esplosero. In preda alle fiamme che si estesero da un capo all’altro, il Clan Ferguson fu abbandonato dall’equipaggio, il quale riuscì ad allontanarsi su imbarcazioni di salvataggio, prontamente calate in mare. Ciononostante, sugli ottantacinque uomini che si trovavano a bordo del piroscafo, vi furono trentadue morti. I superstiti furono salvati indomani dai MAS 548 e 560, e da un idrovolante tedesco Do. 24. Alle 21.15 due aerosiluranti della 6./KG.26 rintracciarono, a 6 miglia dall’isola dei Cani, il danneggiato Deucalion (capitano R. Brown), che scortato dal cacciatorpediniere Bramham seguiva il convoglio costeggiando la costa della Tunisia, Il piroscafo, colpito da un siluro sul fianco destro, nella stiva 6 in cui si trovava un carico di benzina per aerei, rimase immobilizzato e in preda ad un fortissimo incendio. Il Bramham recuperò l’equipaggio e dette al Deucalion il colpo di grazia con bombe di profondità fatte esplodere nei pressi dello scafo. Nel corso dell’attacco le perdite tedesche furono limitate all’abbattimento di un solo velivolo Ju. 88 della 3a Squadriglia del KGr.806. Con le incursioni aeree non ancora cessate, alle 21.05 entrò nella mischia il sommergibile Alagi, comandato dal tenente di vascello Sergio Puccini, uno dei sommergibilisti più abili della flotta subacquea italiana. Manovrando a quota periscopica, e sorvegliando le manovre delle navi britanniche sotto l’attacco dei velivoli tedeschi, Puccini si trovò in buona posizione per attaccare un incrociatore ritenuto del tipo “Southampton”, che aveva vicino un piroscafo di medio tonnellaggio. Approfittando dell’occasione di un bersaglio multiplo, il comandante dell’Alagi fece partire a ventaglio i quattro siluri di prora. Il piroscafo Port Chalmers e contemporaneamente l’incrociatore Kenya, videro le scie dei siluri avvicinarsi sul fianco destro e immediatamente manovrarono per evitarle. Con l’accostata tempestiva il Kenya schivò tre siluri: uno fu visto passare sotto la poppa; altri due a breve distanza dalla scia della nave; il quarto siluro raggiunse il Kenya all’estrema prora sul fianco destro, costringendo l’incrociatore a diminuire la velocità. Malgrado un grosso squarcio apertosi sotto la chiglia, a cui si aggiunse l’allagamento del locale prodiero colpito dal siluro e la messa fuori uso dello scandaglio asdic, l’ottima compartizione del Kenya resse bene all’esplosione del siluro, e dopo aver diminuito la velocità, controllato le avarie e gli allagamenti e controbilanciato un leggero sbandamento, fu in grado di risalire il convoglio alla buona velocità di venticinque nodi, e raggiungeva il Manchester, il solo incrociatore della Forza X ancora indenne. Dopo questo nuovo infortunio, vedendo il Kenya colpito, a bordo di molte navi mercantili scoppiò il panico. Il Port Chalmer, il piroscafo del commodoro Venables che si trovava a poppa del Kenya, invertì la rotta per Gibilterra, imitato dal Dorset e dal Melbourne Star i cui comandanti ritennero di essere stati abbandonati dalle unità di scorta. Fu necessario inviare i cacciatorpediniere a convincerli a invertire la rotta. Alle 22.05 il sommergibile Bronzo (tenente di vascello Cesare Buldrini) avvisto l’incrociatore Charybdis e i cacciatorpediniere Eskimo e il Somali che a forte velocità dirigevano per raggiungere il convoglio, ma non riuscì a raggiungere una posizione di lancio favorevole per attaccarle. Il Bronzo diresse allora verso gli incendi delle navi che ardevano in lontananza, avvistò il cacciatorpediniere Ledbury, che passava nella zona assieme allo petroliera Ohio. Diresse poi verso il relitto del piroscafo Clan Fergusson, che era ancora a galla, e alle 23.46 lo attaccò con lanci successivi di tre siluri, l’ultimo dei quali arrivò a segnò facendo incendiare la nave, che affondò capovolgendosi un’ora dopo, quando si verificò il completo distacco della prora. [1] Per le operazioni Harpoon e Vigorous vedi l’articolo di Francesco Mattesini, 1942: Battaglia Aeronavale di Mezzo Giugno, in Storia Militare dei mesi di novembre - dicembre 2012 e gennaio 2013. [2] S.W. Roskill, The war at sea, Vol. II, The period of Balance, Her Majesty’s Stationery Office (H.MS.O), Londra, 1956, p. 301-302. [3] M. Pearson, The Ohio & Malta. The Legendary Tanker that Refused to Die, Leo Cooper, Barnsley, 2004; R. Woodmann, Malta Convoy 1940 – 1943, John Murray, Londra, 2000, p. 374 sg. [4] Ricordiamo che per l’incapacità dell’industria a realizzare radiolocalizzatori, la Regia Marina possedeva allora di tre soli apparati di quel tipo: due Gufo costruiti da Marinelettro Livorno, praticamente sperimentali e di nessuna utilità operativa, sulla torpediniera Carini e sulla corazzata Littorio, e un Dete ceduto dalla Marina germanica nell’autunno del 1941, e sistemato sul nuovo cacciatorpediniere Legionario, allora in costruzione a Livorno. Per saperne di più, vedi Francesco Mattesini, “I radiolocalizzatori della Regia Marina”, nel Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Parte prima, settembre 1995, p. 95-198, Parte seconda, dicembre 1995, p. 25-141. [5] Nei mesi di maggio e di giugno arrivarono a Malta 136 Spitfire, per mezzo delle portaerei Wasp (statunitense) ed Eagle. Altri 33 giunsero a metà luglio, per rimpiazzarne i 36 che erano andati perduti o gravemente danneggiati, e ancora 28 atterrarono sugli aeroporti dell’isola il 22 luglio, che era la data dell’ultimo rinforzo di Spitfire. [6] Il Safari e il P 222 appartenevano all’8a Flottiglia di Gibilterra. Gli altri sette sommergibili alla 10a Flottiglia di Malta. [7] In effetti, dobbiamo dire che l’operazione Ascendant si verificò come pianificato. Le quattro navi transitarono nella notte tra l’11 e il 12 agosto per Capo Bon, avvistarono il cacciatorpediniere italiano Malocello, che protetto da due torpediniere due Mas era impegnato in una posa di mine temporanee in acque territoriali francesi, dove gli italiani supponevano sarebbe transitato il convoglio britannico, ma non lo disturbarono avendolo preso per un dragamine francese classe “Elam”. Proseguirono poi verso ponente, e sebbene fossero stati avvistati dai ricognitori italiani e tedeschi, poterono tranquillamente raggiungere Gibilterra, anche perché i Comandi dell’Asse, impegnati negli attacchi al convoglio Pedestal, si accorse trattarsi di navi scariche salpate dalla Valletta. [8] Archivio Ufficio Storico della Marina Militare (da ora in poiAUSMM), Scambio notizie con Ammiragliato britannico, “Operazione Pedestal – Agosto 1942”. [9] Naval Staff Histories, The Royal Navy and the Mediterranean Convoy, prefazione di Malcolm Llewellyn-Jones, Routledge Londra, 2007, p. 83; AUSMM, “Relazione sull’operazione Pedestal”, Scambio notizie con Ammiragliato britannico. [10] Il rifornimento delle navi della Forza F rappresentò un compito particolarmente complesso per il Comandante del Nord atlantico, vice ammiraglio George Frederick Bassett Edward-Collins e dei collaboratori del suo stato maggiore, a causa dalla difficoltà di dover smistare rapidamente le unità in arrivo ai punti di attracco, oltre a dover mantenere lo stato di sicurezza. In effetti, la base di Gibilterra era sotto il controllo degli agenti dell’Asse stanziati nella vicina località spagnola di Algesiras e nei punti di osservazione lungo le coste neutrali ai due lati dello stretto, e pertanto l’arrivo in porto di tante navi contribuiva a diminuire le possibilità di far passare inosservato il convoglio nel Mediterraneo. [11] Per la Di.Na.7 vedi Francesco Mattesini, La battaglia Aeronavale di mezzo agosto, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1986, Annesso 3, p. 453-468. Riportata anche in Francesco Mattesini e Mario Cermelli, Le direttive tecnico-operative di Superaereo, Volume Secondo I Tomo, Gennaio 1942- Settembre 1943, Stato Maggiore Aeronautica Ufficio Storico, Roma 1992, Documento n. 9, p. 31-43. [12] AUSMM, cartella delle Riunioni per i convogli al Comando Supermo. [13] Secondo la relazione del Comandante della R.A.F. di Malta, vice maresciallo dell’aria Keith Park, il 10 agosto si trovavano nei tre aeroporti dell’isola 211 aerei, dei quali 110 caccia Spitfire, 43 Beaufighter, 35 aerosiluranti, 6 bombardieri e 17 ricognitori. Ad essi dovevano poi aggiungersi, la sera dell’11 agosto 37 Spitfire lanciati dalla portaerei Furious. [14] Occorre anche dire che Kesselring, dopo le delusioni delle seconda battaglie della Sirte e di Pantelleria, non riponeva molta fiducia sulle capacità combattive della flotta italiana, alla quale aveva dato nel passato, in operazioni analoghe, il suo appoggio aereo, ricavandone parecchie delusioni. Colpa certamente della prudenza dei Capi, a Roma, e non degli ufficiali e degli equipaggi delle unità della Squadra Navale che, quando era ordinata un’azione offensiva, non si tiravano indietro e cercavano di fare tutti il loro dovere. [15] L’attività di volo britannica fu percepita dalle stazioni di ascolto italiane a iniziare dalle ore 09.30 dell’11 agosto, al momento in cui cominciarono ad essere intercettate le trasmissioni radio tra le portaerei e i velivoli in pattugliamento nella zona delle Isole Baleari. [16] “Operazione Pedestal” Supplemente to The London Gazette, 10 maggio 1948. [17] I. Cameron, Red Duster White Ensign. The Story of the Malta Convoys, cit., p. 181; R. Woodman, Malta convoy 1940 – 1943, cit., p. 403. [18] AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, b. 62. [19] Archivio Ufficio Storico Aeronautica (da ora in poi AUSA), Relazione del Comando Aeronautica della Sardegna. [20] National Archives, AIR 23/5755, Operation Pedestal: H.Q. Malta Report 1942. [21] AUSMM, Scambio notizie con Ammiragliato britannico, “Operazione Pedestal – Agosto 1942”, traduzione dal testo inglese. Riportato anche in The Royal Navy and the Mediterranean Convoy, A Naval Staff History, Routledge, Londra, 2007, p. 89. [22] Per le azioni dei sommergibili italiani è stata consultata, presso l’AUSMM, la vastissima documentazione di Maricosom e, in particolare, i rapporti di missione. [23] AUSMM, Scambio notizie con Ammiragliato britannico, “Operazione Pedestal – Agosto 1942”.
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