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IL MANCATO RADAR ITALIANO IN GUERRA - UNO SPRECO DI ENERGIE


Francesco Mattesini
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Dal Saggio, aggiornato, di Francesco Mattesini, “I radiolocalizzatori della Regia Marina”: Parte Prima, Dalle prime esperienze sulle onde elettromagnetiche alle realizzazioni di Marinelettro Livorno,  Settembre 1995; Parte Seconda, L’aiuto fornito dalla Germania, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Settembre  e Dicembre 1995.

 

 

 

IL MITO DELL’INUTILE  RADIOLOCALIZZATORE ITALIANO  EC.3/TER “GUFO

 

Le difficoltà incontrate per cercare di rendere efficiente il radiolocalizzatore  EC.3/ter “Gufo” sulle unità della Flotta.

 

                Nel mese di aprile 1943 Marinarmi ordinò all’industria meccanica Galileo di Firenze la costruzione di venti radiolocalizzatori del tipo navale EC.3/ter “Gufo” da destinare ai cacciatorpediniere in costruzione della nuova classe “Comandanti”, progettati con un dislocamento di 2.100 tonnellate e un armamento di cinque cannoni in torrette singole da 135 mm.

 

         In tal modo, le ordinazioni di apparati Gufo destinati alla Regia Marina passarono da 50 a 60. Numero da ordinare all’industria che successivamente sali a 100 esemplari, avendo Maristat previsto di impiegare i 30 nuovo apparati Gufo per costituire una riserva e per utilizzarli, in parte, quali Rari costieri per l’esplorazione navale.[1] Al modesto numero di tre - quattro radiotelemetri al mese – che era il massimo consentito dall’industria nazionale (qualcosa d’incredibile povertà quando negli altri paesi venivano costruiti a migliaia), gli apparati Gufo vennero destinati con priorità alle unità delle Forze Navali da Battaglia del Tirreno.

 

         Secondo un prospetto dell’Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici di Maristat, alla data del 2 giugno 1943 le unità della flotta fornite di radiolocalizzatore già operativo erano appena tredici, e di esse i cacciatorpediniere Legionario, Lanzerotto Malocello e Alfredo Oriani e le torpediniere di scorta Ardimentoso, Procione e Aliseo possedevano il Dete, mentre la corazzata Littorio e i cacciatorpediniere Carabiniere, Fuciliere, Velite, Leone Pancaldo, Ugolino Vivaldi e Antonio Da Noli potevano usufruire del Gufo.

 

         Il settimo apparato Dete, consegnato dalla Kriegsmarine, che inizialmente avrebbe dovuto essere destinato su un'altra silurante, si trovava invece in corso di sistemazione sull’incrociatore Duca degli Abruzzi (nave ammiraglia dell’8a Divisione Navale a Genova); ed ugualmente in corso di montaggio erano altri dodici Gufo sulle seguenti unità delle Forze Navali da Battaglia: corazzate Roma, Vittorio Veneto, Littorio (secondo Gufo), incrociatori leggeri Scipione Africano, Attilio Regolo, Duca d’Aosta, Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi, e sui cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Nicolò Zeno e Maestrale.[2]

 

         Lo Stato Maggiore della Regia Marina avrebbe voluto, a similitudine della Marina tedesca, equipaggiare con radiolocalizzatori fin dal 2 novembre 1942 anche le unità sottili, ma fu constatato che gli apparati tipo Dete e Gufo per problemi d’ingombro e di peso, e per scarsa potenza del motore di brandeggio dell’antenna mal si prestavano ad essere installati sulle torpediniere e che non si prestavano affatto ad essere imbarcati su unità di tipo minore, come le corvette e le motosiluranti. Pertanto, il 30 aprile 1943, il Reparto Ispettorato delle Telecomunicazioni e dei Servizi Elettrici di Maristata, prevedendo che una qualsiasi richiesta fatta ai tedeschi per ottenere apparati adatti alle unità sottili avrebbe allora comportato non poche difficoltà di accoglimento, chiedeva a Marinarmi, con lettera n. 55388, di voler esaminare la possibilità di affidare a Marinelettro Livorno e all’industria nazionale lo studio di un radiolocalizzatore adatto a quella speciale necessità.[3]

 

         Successivamente fu constatato che il nemico aveva risolto il problema, poiché su una piccola unità navale britannica catturata dalla Marina germanica e su un aereo abbattuto sull’isola di Corfù, si trovavano dislocati apparati Radar di dimensioni ridotte, molto simili al Lichtenstein imbarcato sui velivoli della Luftwaffe. Ritenendo, erroneamente, che la Kriegsmarine impiegasse anch’essa una variante del Lichtenstein sulle sue unità minori, quali le motosiluranti e i moto dragamine, il 12 giugno, con lettera 48984, l’Ispettorato delle Trasmissioni e dei Servizi Elettrici di Maristat avanzava a Superaereo la seguente richiesta.[4]

        

         Si prega vivamente codesto Stato Maggiore di voler esaminare la possibilità di cedere quanto più presto risulterà consentito dalle proprie disponibilità due od almeno un impianto “Lichtenstein” per consentire alla Marina un più rapido orientamento sul problema qui trattato e una più sollecita soluzione di esso.

         Si gradirebbe anche conoscere se codesto Stato Maggiore prevede di potere in seguito addivenire a qualche altra cessione sul totale delle forniture per le Forze Armate stabilite dalla convenzione Telefunken.

 

         A questo proposito occorre dire che nel gennaio 1943, indipendentemente dagli accordi militari precedentemente stabiliti con la Germania, rappresentanti delle Forze Armate italiane, nelle persone del generale di divisione aerea Mario Cebrelli, del generale di divisione dell’Esercito Armando Mazzetti e del generale delle Armi Navali Carlo Matteini, avevano stipulato una convenzione con la Ditta Telefunken, rappresentata dal signor  Ehrhard von Henk, per la fornitura diretta all’Italia di apparati Würzburg, Riese e Lichtenstein. Ciò costituì il primo elemento per la costituzione della Telefunken italiana che, sotto la presidenza del generale dell’Aeronautica Vincenzo Lombard, iniziò a riprodurre i Raro da assegnare all’Italia su disegni della case madre di Berlino.

 

         Il 25 giugno la 1a Divisione Aerea di Superaereo rispondeva a Maristat facendo sapere, con lettera n. 14-A/2895, che i radiolocalizzatori impiegati sulle unità sottili della Marina germanica erano espressamente di tipo navale, quindi Dete. Era specificato che la Ditta Telefunken aveva realizzato due apparati di tipo ridotto per aerei, uno denominato “BC” da impiegare esclusivamente per la caccia notturna, avente una portata in volo variante tra i 300 metri e i 4 chilometri, e l’altro denominato “S”, per la ricerca di unità navali. Tuttavia, essendo costretto a lavorare a quota insufficiente, anche il Lichtenstein del tipo “S” risultava inadatto ad essere utilmente impiegato su un’unità sottile di superficie, poiché la portata utile dell’apparato diminuiva il suo raggio di scoperta dai 30 chilometri ottenibili in volo ai 5 chilometri ottenibili sul mare.[5]

 

         Parallelamente a questi problemi ne sorgevano ben altri ben più allarmanti. L’EC.3/ter Gufo, sperimentato dal Comando in Capo delle Forze Navali da Battaglia della Spezia sui cacciatorpediniere Fuciliere, Carabiniere e Leone Pancaldo continuava a deludere le aspettative, soprattutto come strumento per la ricerca aerea, non riuscendo, in pratica, a percepire echi oltre i 4.000 – 5.000 metri. Di questa scoraggiante realtà l’ammiraglio Bergamini riferiva a Maristat e, per conoscenza a Marinarmi, con la lettera n. 08143 del 29 maggio 1943, che i difetti e le anomalie riscontrate erano da addebitare alla “scarsissima istruzione e addestramento del personale” e alle “frequenti avarie agli apparecchi stessi”, che inoltre avevano dimostrato di possedere caratteristiche di radiolocalizzazione di aerei “effettivamente inferiori a quelle del DETE tedesco. Quest’ultimo apparato, secondo quanto riferito dal Comandante n Capo della Flotta, disponeva rispetto al Gufo di trombe irradianti che non creavano problemi di brandeggio, avevano motori di maggiore potenza, ed anche una maggiore stabilità della piattaforma girevole, che permetteva un discreto funzionamento, anche in presenza di mare mosso e durante il tiro dei canoni.

 

         L’ammiraglio Bergamini, dopo aver elencato minuziosamente un considerevole numero di difetti riscontrati nel “Gufo”, ed avere espresso proposte per eliminarli almeno in parte, faceva le seguenti affermazioni:[6]

        

         Conclusione, si esprime l’opinione che il problema dei RARI delle navi per i motivi suindicati, è bel lungi dall’essere stato risolto e che occorre prendere al più presto i provvedimenti necessari per accelerare la risoluzione.

 

         Tali provvedimenti dovrebbero essere diretti sia a migliorare la formazione del personale tecnico e del personale destinato all’impiego, sia a migliorare l’efficienza degli apparati.

 

         Si ritiene opportuno che presso la Scuola RARI venga eseguita una serie esauriente di prove ed esperienze, con un apparato messo nelle migliori condizioni di efficienza possibili e con personale capace per accertare quali sono le reali possibilità del GUFO nei riguardi della radiolocalizzazione degli aerei.

 

         Sulla base di questa impietosa analisi, l’ammiraglio Sansonetti incaricava l’Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici di Maristat di “esaminare e riferire” allo scopo di accertare quali fossero le reali possibilità dei Gufo assegnati alle unità della flotta.[7]

 

         Nel frattempo però, con un'altra lettera del 4 giugno avente numero di protocollo 08614, l’ammiraglio Bergamini portava all’attenzione di Marinarmi un altro problema, che già in precedenza aveva segnalato : ossia quello del rinforzo delle piattaforme del Gufo sistemati sulle unità della flotta, mediante lavori che, avrebbero dovuto comportare anche la modifica dei rapporti di brandeggio degli apparati EC.3/ter Gufo. Era questa una misura che minacciava di rendere quasi completamente cieca la flotta nel momento critico in cui si attendeva lo sbarco degli anglo-americani sul territorio metropolitano (invasione della Sicilia o della Sardegna), poiché, come riconosceva lo stesso ammiraglio Bergamini, i Gufo dovevano essere smontati dalle navi per lavori da svolgersi necessariamente a Firenze, presso la Ditta Galileo. Ciò avrebbe comportato un ritardo nella sistemazione dei radiotelemetri, la cui assenza era particolarmente sentita sulle navi da battaglia, in vista della possibilità di affrontare un combattimento conclusivo col nemico.[8]

 

         Ma i guai per mettere a punto un efficace radiolocalizzatore di costruzione nazionale, da impiegare con il maggior profitto a bordo delle Regie Navi, continuava a presentarsi ad ogni livello.

 

         Il 5 luglio, con lettera n. 24673, Marinarmi comunicava a Maristat che la ditta SAFAR aveva sviluppato un riflettore unico parabolico da sistemare sull’apparato Gufo in sostituzione della doppia tromba irradiante; tale riflettore aveva il vantaggio di una costruzione più solida e di minore peso, e quindi permetteva di impiegare una minore potenza per il brandeggio, nonché un “aumento della superficie captante” e “conseguente aumento di portata” di scoperta prevista del 30%. Marinarmi prospettò di sistemare il primo esemplare del nuovo apparato, già pronto in ditta, in quanto ne sarebbero risultate agevolate le sperimentazioni. Queste ultime effettuate presso la SAFAR, dettero invece esito negativo riguardo alla possibilità di adottare il riflettore per gli apparati Gufo già costruiti e sistemati sulle navi della flotta.[9]

 

         L’Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici, mentre invitava Marinarmi, con lettera n. 63935 del 27 luglio 1943, e a continuare sollecitamente le prove nell’intendimento di adottare lo specchio unico sui nuovi Gufo da introdurre in servizio, dimostrò anch’esso per il Gufo lo stesso scetticismo espresso il 29 maggio dall’ammiraglio Bergamini. Marinarmi sostenne infatti che le deficienze segnalate dal Comandante in Capo delle Forze Navali da Battaglia continuavano ad essere “confermate dai collaudi successivi e delle relazioni dei Comandanti di bordo” delle sue navi.

 

         Di fronte alle difficoltà incontrate sul funzionamento del Gufo, sopravvalutato in Italia nel dopoguerra, per evidenti motivi di prestigio – e che ancora oggi autori come Enrico Cernuschi[10] e Piero Barone[11] continuano ad apprezzare riuscendo a convincere gli ignari – il 5 agosto 1943, alla vigilia dell’armistizio, Supermarina, con la nota interna numero 22731, faceva presente a Maristat la necessità urgente di sistemare sulle unità delle Forze Navali da Battaglia i più efficaci apparati “Dete”. Ossia gli apparati tedeschi che erano stati installati da alcuni mesi, con ottimi risultati, sulle torpediniere Ardimentoso, Procione e Aliseo. L’Organo Operativo dell’Alto Comando Navale avanzò la raccomandazione di adottare la soluzione più rapida per la messa a punto del Dete sulle navi che sarebbero state prescelte dal Comando in Capo delle Forze Navali da Battaglia.

         L’armistizio dell’8 settembre non permise di sviluppare questo programma.

 

 

Conclusioni

 

OMISSIS

 

         Sulle cause della inferiorità italiana nel campo della radio ricerca, il professor Tiberio è stato molto chiaro scrivendo:[12]

 

        a) La assai scarsa organizzazione di ricerche radio, che esisteva in Italia prima della guerra, ha consentito di individuare in tempo utile la nuova possibilità, ma è arrivata a realizzare con ritardo gli apparati efficienti [sic].

 

        b)  una organizzazione “adeguata” avrebbe consentito di arrivare molto prima a radar efficienti e di entrare in guerra con una prima preziosa dotazione di apparati; inoltre si sarebbe potuto avviare subito la “guerra elettronica” con intercettatori, disturbatori ecc.;

 

       c)  non sarebbe stati però comunque possibile contrastare in modo efficace la colossale produzione americana, nel secondo tempo della battaglia del radar.

 

          In conclusione, pur avendo realizzato in prototipo vari apparati adatti a tutte le necessità delle Forze Armate, da impiegare nella scoperta, nella condotta del tiro contraereo, nella guida caccia e nella caccia notturna, per tutto il periodo della guerra l’industria nazionale non fu in grado di rendere operativi i propri radiolocalizzatori, ad eccezione del tipo navale EC.3/ter “Gufo” del maggiore ingenere Alfeo Brandimarte. Tuttavia,  l’apparato  derivante dai primi prototipi dell’ingegner Tiberio fin dal 1935 a Marinelettro Livorno, non essendo stato messo a punto dalla Ditta SAFAR che li costruiva, all’atto pratico, montato sulle unità navali, si dimostrò un autentica delusione.

 

FRANCESCO MATTESINI

 

10 Agosto 2019


[1] AUSMM, Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici, cartella 21.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] ASMAUS, SIOS, cartella 1.

[6] AUSMM, Ispettorato Telecomunicazioni e Servizi Elettrici, cartella 21.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Nel 1994 un volenteroso Errico Cernuschi, conoscendo l’argomento del radar EC.3/ter “Gufo” soltanto per aver letto libri e articoli al massimo imprecisi, sollevando molte proteste in coloro che invece i difetti del “Gufo” li conoscevano, in un supplemento di una Rivista militare (stampato contemporaneamente ad un mio saggio sullo stesso argomento sul Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare) descrivendo il “Gufo” come una meraviglia, orgoglio nazionale, arrivò a scrivere che gli anglo – americani ce lo invidiavano. Leggendo i documenti dei Comandanti della Squadra Navale, ammiraglio Iachino e soprattutto quelli di un disperato ammiraglio Bergamini, riprodotti in originale nel mio saggio, il “Gufo”, non percepiva nulla, se non a brevissima distanza, e non sempre riusciva a dare esattamente le distanze di un bersaglio aereo o navale.

[11] Piero Baroni, La guerra dei radar. Il suicidio dell’Italia (1935-1943), Greco e Greco, 2007. L’Autore, avendo letto il mio Saggio stampato dal Bollettino d’archivio della Marina Militare nel settembre e dicembre 1995, evidentemente non ci ha capito nulla dando versioni al di fuori della grazia di dio, oppure, per un certo motivo  fazioso  non accetta quanto di logico ho scritto, ben documentandolo.

[12] Ugo Tiberio, Sullo sviluppo delle cognizioni radar italiane durante la guerra, Rivista Marittima, aprile 1951, p. 47.

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Interessante. Avrei alcune domande sull'argomento.

1) esiste documentazione tecnico operativa sull'impiego in servizio sia del DeTe che del Gufo, che ne descrivano le operazioni, anomalie, operatività e difetti?

2) che io sappia il Gufo era un radar a onda continua, che quindi necessitava di una antenna trasmittente separata da una ricevente, da qui le due trombe. Essendo il funzionamento di tipo effetto doppler cioè misurando la differenza di fase tra trasmissione e ricezione, come poteva la Safar proporre un riflettore parabolico, adatto invece a emissioni di tipo impulsivo?

3) il problema del display cioè la rappresentazione grafica del bersaglio ed esplorazione. Io conosco la sola foto, nota, della centrale di controllo e display, quella col volante per la rotazione ed un crt (tubo a raggi catodici) di tipo goniometrico. Il sistema ben si adatta alla misura di un bersaglio puntato con la rotazione manuale delle antenne, dopo indicazioni a vista, per fornire distanza (solo quella) del bersaglio da colpire grazie alla trasmissione doppler. Ecco la domanda: come potevasi pensare di usare un tale apparato, adatto alla direzione del tiro, anche alla esplorazione di superficie e/o aerea? Gli italiani avevano qualche altro tipo di display per l'impiego navale, magari il tipo "A" tedesco cioè l'oscilloscopio usato dai germanici coi 3 tubi per azimuth, distanza e elevazione del SN 202 Lichtenstein?

4) gli altri radar progettati tipo Folaga, Veltro, (il Lince era il Wurzburg nelle versioni 60D campale cioè "vicino" e Wurzburg Riese cioè "lontano") che rispondevano modernamente alle specifiche di esplorazione aerea e navale, furono mai provati su navi?.

5) il radar "Argo e Arghetto" che se non erro erano la copia del ASV 1 o 3 britannico, provato su un S79 sicuramente, esistono documenti di sperimentazione, magari in cooperazione aeronavale?.

6) il prof. Latmiral aveva progettato e costruito il ben noto "disturbatore" a variazione di frequenza in guida d'onda, installato e usato nei primi mesi a cavallo dello sbarco e che gli americani cercarono e probabilmente riuscirono a portar via (a parte forse i tedeschi, nello sfacelo) in postazioni su camion protetti da cumili di pietre, di cui esistono foto. Una delle più efficaci contromisure radar mai prodotte al tempo, con efficacia maggiore delle "windows" in quanto accecava del tutto i radar avversari ma che usato in Sicilia non ebbe molte ricadute operative per la mancanza di un sistema di reazione integrato cioè: controllo dello spazio aereo e coordinamento coi gruppi da caccia e navali per contrattaccare il nemico. Un sistema che ancor oggi fa parte delle "suite" ESM/ECM/ECCM etc, possibile che nessuno avesse pensato ad un utilizzo navale imbarcato?

In tutto questo panorama confusionario, si può ben comprendere come per gli italiani la guerra elettronica fu una chimera.

Edited by sandokan
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Mi chiedi cose tecniche che mi trovi impreparato. Io ho letto migliaia di documenti per fare questo lavoro, ed ho riportato quello che mi sembrava più interessante e comprensivo. La SAFAR a realizzato l'antenna con una sola tromba ma, come abbiamo visto, aveva bisogno di essere messa a punto, cosi come l'intero "Gufo". E' arrivato l'armistizio e non posso sapere se poi ci sarebbero riuasciti. La soluzione più logica sarebbe stata quella proposta da Bergamini, ossia sbarcare il "Gufo" dalle navi e sostituirlo con il Dete. Ma questi non arrivavano dalla Germania, perché la Kriegsmarine si dimostrò molto egoista, a differenza della Luftwaffe. Ha questo proposito ho scritto nelle conclusioni:

 

"Occorre dire che la Luftwaffe, a cui era stato affidato il compito di occuparsi della produzione di tutti i radiolocalizzatori tedeschi di tipo terrestre, negli accordi stipulati con la Regia Aeronautica, alla quale concesse anche la possibilità di riprodurre in Italia la realizzazione dei più affidabili strumenti di rilevamento (Würzburg, Freya, Reise), si rese molto più generosa e disponibile di quanto la Kriegsmarine lo fosse stata con la Regia Marina, alla quale furono concessi, a goccia, soltanto sette apparati Dete da impiegare a bordo delle navi. Anche nel settore terrestre, volendo assicurare la difesa delle coste e delle basi navali, la Regia Marina ricevette forniture di radiolocalizzatori soltanto dalla Regia Aeronautica, che a iniziare dal 1942 gli assegnò cinque esemplari del Würzburg Löwe 40 (Leone), provenienti dalla Germania, che si erano dimostrati inadatti per la guida caccia.

La Germania provvide anche ad addestrare il personale italiano nell’uso dei radiolocalizzatori ceduti all’alleato, tra cui nel 1943, gli uomini da assegnare all’efficientissimo Würzburg Riese (Volpe Gigante), realizzato per la guida degli intercettori nella caccia notturna".

 

Sulle forniture richieste alla Germania furono ceduti e consegnati dalla Luftwaffe:

 

10 Lorenz Fu.MG.L.40 Lowe (Leone); 35 Gena Fu.MG.39G Freya (Felino); 110 Telefunken Fu.MG.62 Würzburg (Volpe); 164 Telefunken F.MG.65 Riese (Volpe Gigante) Renna. Altri 600 circa radiolocalizzatori erano stati concessi, ma non furono consegnati a causa dell'armistizio.

 

Direi che é stata una cessione più che generosa da parte della Luftwaffe, che ha sempre fatto il possibile per aiutare l'Italia, specialmente dopo l'arrivo (novembre 1941) dell'italofilo feldmaresciallo Albert Kesselring. L'avara  Kriegsmarine, lo ripeto, sostenendo che ogni apparato serviva per le sue navi, consegnò soltanto 7 Dete.

 

Franco

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Forse la Kriegsmarine aveva una stima così bassa della Regia Marina da ritenere che qualsiasi aiuto sarebbe stato inutile.

Probabilmente la Regia Aeronautica era più apprezzata.

Sullo "spreco di energie" per il radar mi avrebbe meravigliato il contrario.

Condivido l'osservazione letta da qualche parte che le nostre navi nel '43 erano praticamente uguali a come erano nel '39.

Tutte le altre marine avevano apportato miglioramenti in base all'esperienza bellica, noi poco o nulla.

Sarebbe stato strano se il radar avesse fatto eccezione.

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Caro Gian Carlo, vorrei agghiungere questa nota al mio saggio, ancora più documnentato, che stò scrivendo per Academia Edu:

 

 

Piero Baroni, La guerra dei radar. Il suicidio dell’Italia (1935-1943), Greco e Greco, 2007. L’Autore, avendo letto il mio Saggio stampato dal Bollettino d’archivio della Marina Militare nel settembre e dicembre 1995, evidentemente non ci ha capito nulla dando versioni al di fuori della grazia di dio, oppure, per un certo motivo  fazioso  non accetta quanto di logico ho scritto, ben documentandolo. Copiando quello che aveva scritto Luigi Carillo Castoni nel saggio “I radar industriali italiani”, Baroni alla pag. 220 del suo discutibilissimo libro  per ogni argomento trattato, ha messo in calce: “I prototipi realizzati al RIEC di Livorno, non avevano alcun che da invidiare a quelli tedeschi, inglesi e americani. Rispetto a quelli coevi britannici erano superiori”. Di fronte a ciò ogni commento è inutile. Lascio la parola a Gian Carlo Poddighe, all’epoca degli avvenimenti giovane ufficiale di Marina, che nei siti Academia Edu e Aidmen ha scritto che, nel panorama confusionario in cui si cercava di realizzare i radiolocalizzatori, si può ben comprendere come per gli italiani la guerra elettronica fu una chimera”.

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Dalle mie conclusioni, che dal 1995 erano alla portata di tutti:

 

Facciamo adesso un esame critico sulle difficoltà italiane di costruire radiolocalizzatori e radiotelemetri, e sui difetti da essi riscontrati.

 

La mancanza di componenti elettroniche molto sofisticate, nella fattispecie tubi e valvole di grande affidabilità, non permise all’industria italiana, soprattutto negli anni 1940-1941 (prima dell’aiuto tedesco), di sperimentare e poi produrre radiotelemetri all’altezza dei tempi, assieme alla gamma degli apparati ad essi collegati, quali i sistemi di riconoscimento, di intercettazione e di radiodisturbo, campi in cui partivamo da zero essendo sconosciuti. Ciò significò di non poter restare al passo con quanto veniva realizzato con continue migliorie nelle nazioni più progredite nel ramo dell’elettronica, ragion per cui la quantità e la qualità degli apparati prodotti in Italia, che era subordinata alle forniture di materiale proveniente dalla Germania, risultò nel corso della seconda guerra mondiale di entità molto modesta.

 

Fu solo dopo lunghe prove tecniche che poté avere inizio, a partire dai primi mesi del 1943, la riproduzione in serie dell’EC.3/ter Gufo di tipo navale, ordinato in un totale di 100 esemplari alla Ditta SAFAR. Ma all’atto della sistemazione sulle navi tale apparato – come sottolineò in più occasione l’ammiraglio Bergamini, ed anche Maristat, denunciò tutta una serie di lacune di funzionamenti e strutturali che lo rendevano inaffidabile per la scoperta navale e soprattutto per quella aerea.

 

Seguì, nell’ordine delle costruzioni per la Marina, il più moderno apparato Folaga, realizzato dalla Società Magneti Marelli nel 1942, che fu anche ottimizzato per l’impiego aereo nei laboratori della Regia Aeronautica di Guidonia; ma entrambi gli apparati non ebbero modo di dimostrare appieno il loro valore, essendo rimasti allo stato di prototipi.

 

La stessa sorte subì il Gufo G.III, prodotto dalla Ditta SAFAR per l’impiego navale. Montato su piattaforma girevole a comando elettrico tipo WARD – Leonhard, fornito di un unico riflettore parabolico recante i dipoli per la trasmissione e la ricezione, ed agendo su lunghezza d’onda compresa tra i 65 e gli 80 centimetri, il Gufo G.III era in grado di rilevare navali fino a 50 chilometri di distanza. Potendo inoltre lavorare anche su settori limitati, agendo verso il mare da una postazione terrestre, questo apparato poteva esplorare costantemente la zona interessata migliorando notevolmente le possibilità di scoperta. Purtroppo anche questo interessante prodotto non arrivò in tempo, prima dell’armistizio, per essere sperimentato sulle unità della flotta, in modo da fornire l’esatta capacità d’impiego e, eventualmente, sostituire il lacunoso EC.3/ter Gufo.

 

La più interessante realizzazione dell’industria nazionale, fose l’unica che poteva competere con i Funkmess tedeschi, fu costituita dall’Argo. Si trattava di un apparato dotato di grande antenna rotante, prodotto dalla Divisione Radio di Guidonia per la Regia Aeronautica, allo scopo di utilizzarlo per l’avvistamento a distanza. Esso aveva una portata di circa 150 chilometri, ed era quindi corrispondente al Freya. All’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Argo si trovava ancora allo stato di prototipo in fase di realizzazione a Pratica di Mare, dove fu catturato dai tedeschi e portato in Germania per le sperimentazioni.

 

Nelle medesime condizioni si trovava un radiolocalizzatore di dimensioni molto più ridotte, derivato dall’Argo e denominato Vespa o più affezionatamente Arghetto, il quale , avendo dato buone prove come apparato funzionante a bordo di velivoli da bombardamento (Cant.Z.1007 bis e Cant.Z.1018), era stato ordinato all’industria. Anche l’Arghetto non poté essere realizzato in tempo, al pari del Lepre, apparato ancora di dimensioni minori di quelle del Vespa, che era stato studiato fin dalla fine del 1941 per impiegarlo nella caccia notturna su velivoli intercettori.

 

La stessa cosa capitò al Veltro, un radiotelemetro di seconda generazione autocarrato, destinato all’artiglieria contraerea, e al Lince, radiolocalizzatore di terza generazione, destinato anch’esso al controllo del tiro contraereo. Entrambi non superarono la fase di sperimentazione.

 

Il fatto che nei vari settori dell’avvistamento navale, terrestre, aereo e di guida caccia non fosse stato possibile rendere operativi i radiolocalizzatori realizzati in Italia, ad eccezione del mediocre EC.3/ter Gufo, sta a dimostrare il fallimento in cui andò incontro l’industria radaristica nazionale. Infatti, la realizzazione di discreti apparati sperimentali e di prototipi, resi possibili dalla fornitura di materiali tedeschi e dalla conoscenza della tecnica e delle cognizioni scientifiche tedesche nel campo della radioricerca – Ricordiamo la costituzione della Telefunken italiana che iniziò a riprodurre i Raro da assegnare all’Italia su disegni della case madre di Berlino –  non permisero all’industria italiana di superare la fase sperimentale, nonostante i molti anni trascorsi nella realizzazione degli apparati.

 

Conseguentemente – è bene sottolinearlo per la “Verità Storica” – la guerra elettronica combattuta nel Mediterraneo dalle Forze Armate del Regno non fu suffragata da uno sforzo adeguato, e risultò, nel complesso, di modestissima entità

 

Tuttavia, anche se fosse stata istituita una efficiente organizzazione nel settore della Radioricerca, ben poco l’Italia avrebbe potuto fare, con la sua modesta industria e la scarsa quantità di tecnici specializzati in elettronica, per reggere il passo con i progressi della Germania e, soprattutto per fronteggiare la colossale organizzazione scientifica e produttiva della Gran Bretagna (con fabbriche aeronautiche anche in Canada) e, in particolare, degli Stati Uniti d’America. Questi ultimi, grazie a ben dotati istituti di ricerca elettronica, di norma costituiti presso le Università, collegati da un lato ad un potenziale industriale poderoso e dall’altro con le Forze Armate, poterono sfornare una grande quantità di tecnici da dedicare allo studio e alla realizzazione in serie di un gran numero di apparati radar e sussidiari di ogni genere.

 

 

Francesco Mattesini

 

11 Agosto 2019

Edited by Francesco Mattesini
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Riporto, in forma originale, la lettera con cui l’ammiraglio Carlo Bergamini denunciava le innumerevoli avarie che si riscontravano sul radiolocalizzatore EC.3/ter “Gufo”, e la sua praticamente negativa possibilità operativa  sulle navi della Flotta. Ritengo che queste sue dichiarazioni diano un colpo mortale a tutti coloro che hanno scritto nel corso degli anni tutto il bene possibile su quel mediocrissimo radiolocalizzatore. Dato che la Telefunken stava collaborando alla costruzione di radar in Italia, sarebbe stato meglio, lasciando perdere in quel momento difficilissimo per l'Italia  il prestigio nazionale, che ogni sforzo, in particolare nella difesa aerea, fosse dedicato alla costruzione dei meravigliosi apparati tedeschi, di cui la Telefunken forniva i disegni alla Regia Aeronautica. Se poi non si riusciva, nonostante il trascorrere degli anni, non si riusciva a mettere un radar che Alleati e tedeschi costruivano a migliaia, bene allora, mi azzardo a dire, che ci sarebbe da discutere sulla scarsa attività a quel lavoro dei tecnici italiani e dell'industria elettronica italiana. Quando l'ammiraglio Iachino disse sul primo "Gufo" imbarcato sulla corazzata "Littorio" una fase dal significato "toglietimi dai piedi questo trespolo", adesse se ne capisce la ragione.

 

 

COMANDO IN CAPO

FORZE NAVALI DA BATTAGLIA

R.N. “ROMA”

 

Indirizzo telegrafico: NAVE ROMA per F.N.B.

 

Bordo, li 29 Maggio 1943-XXI

 

Prot. N. 08143                                                        

 

Segreto

 

         MARISTAT N.A.

      e, per conoscenza:

         MARISTAT I.T.E.

         MARINARMI ROMA

 

         1°) L’esperienza fatta in questi primi mesi con gli apparati GUFO del FUCILIERE, del CARABINIERE e del PANCALDO, ha dimostrato che, nelle attuali condizioni degli apparati e del personale, il rendimento dei GUFO è molto scarso. Sino ad ora,  mentre nella radiolocalizzazione di unità navali si è avuto, sebbene sporadicamente, qualche risultato favorevole, nella radiolocalizzazione degli aerei non si è avuto, in pratica, nessun risultato utile. Recentemente sono state eseguite dal CARABINIERE e dal FUCILIERE, alla fonda vicino alla diga di La Spezia, ed in navigazione, varie esercitazioni con l’intervento di aerei di vario tipo, grandi e piccoli, e tutto ciò che si è riusciti ad ottenere è stato, un paio di volte, qualche eco a distanza non superiore a 4000-4500 metri, per brevissimo tempo e subito scomparso.

 

         2°) Il cattivo rendimento dei GUFO dipende da due cause:

 

         1. – scarsissima istruzione ed addestramento del personale;

         2. – frequenti avaria agli apparati.

 

         Ciò, naturalmente, oltre alle intrinseche possibilità dell’apparato (quando in perfetta efficienza ed impiegato da personale addestrato), sulle quali non si è ancora in grado e esprimere una fondata opinione, dato che in conseguenza dei due motivi suddetti non è stato possibile eseguire, sino ad ora, una serie esauriente di prove. Tuttavia ci si va formando l’opinione che le possibilità del GUFO nella radiolocalizzazione di aerei siano effettivamente inferiori a quelle dei DETE e che ciò possa dipendere in parte, dalla forma del diagramma di irradiazione delle trombe.

 

         3°) Nei riguardi del personale, si è riferito in merito con il foglio 05665 in data 11 aprile c.a. diretto a Maristat I.T.E.. Riassumendo, il personale, che sino ad ora è stato proposto all’impiego del GUFO, non è sufficientemente addestrato all’impiego dell’apparato, né ha la preparazione tecnica, non solo per riparare le avarie, ma neppure, nella maggior parte dei casi, per localizzarle.

 

         Questo S.M., con il dispaccio 1954 in data 13/7/43 [sic], ha già impartito le opportune disposizioni per eliminare gli inconvenienti lamentati nei riguardi del personale ed il loro inquadramento; si esprime il parere che occorra anche potenziare maggiormente la Scuola RARI, fornendo soprattutto dei mezzi indispensabili per eseguire l’addestramento alla radiolocalizzazione degli aerei, che è la più difficile e la più importante.

 

         Sempre nei riguardi del personale, bisogna aggiungere che attualmente non vi è, neppure presso le principali sedi di lavoro, personale tecnico capace di localizzare e riparare le avarie che frequentemente si verificano agli apparati, motivo per cui, si è costretti, alla più piccola avaria che si verifica, a chiedere l’intervento di tecnici di Marinelettro o delle Ditte costruttrici, con gli inconvenienti (ritardo ecc.) che ne derivano.

 

         4°) Nei riguardi dell’efficienza degli apparati, si elencano qui di seguito gli inconvenienti che più frequentemente si verificano, con la causa che li produce, nei casi in cui essa è nota.

 

         a) Moltissime avarie sono dovute all’inefficiente sospensione elastica delle apparecchiature, le quali sono quindi soggette a continue vibrazioni ed a forti sollecitazioni meccaniche quando si spara con le artiglierie di bordo. Ciò si verifica specialmente alla colonnetta di comando, la quale, durante il tiro, ed anche nelle rapide accostate delle navi, compie fortissime oscillazioni che compromettono il funzionamento delle apparecchiature.

        

         b) Molte altre avarie sono dovute al fatto che per un buon funzionamento dell’apparato e necessario avere tensioni ben stabilizzate, mentre invece il gruppo FIMET spesso non riesce a stabilizzare la tensione di alimentazione. Tale gruppo è stato sistemato, sino ad ora, rigidamente, senza alcun riguardo per il delicato congegno dei relais.

 

         c) La piattaforma girevole O.G. di sostegno delle trombe, essendo soltanto imperniata al centro, subisce, durante i tiri, forti escursioni verticali, di cui risentono il trasmettitore ed il ricevitore. In qualche caso, si è verificato che la piattaforma medesima è rimasta deformata e bloccata.

         Risulterebbe a questo Comando in Capo che l’O.G., avendo già constatato il suddetto inconveniente, ha preso la decisione di sistemare alla periferia della piattaforma girevole degli aggrappamenti, di cui i nuovi apparati, in corso di consegna, sono stati già muniti. Occorre che anche gli apparati già sistemati vengano muniti al più presto di detti aggrappamenti.

 

 

 

d) Nei riguardi dell’inconveniente già noto che le trombe, in presenza di vento relativo di velocità superiore ai 20 m/s non brandeggiano, non risulta che siano già stati presi i provvedimenti necessari per eliminarlo.

         Si ritiene necessaria una maggiore potenza del motore di brandeggio, tenendo conto anche del sovraccarico dovuto alla passerella circolare fissata alla piattaforma girevole.

 

         e) Durante l’esercizio, gli oscillatori a cavità hanno manifestato i seguenti inconvenienti:

         - scarsa durata di funzionamento (50 – 60 ore al massimo di funzionamento);

         - squilibrio delle due ampolle;

         - frequente bruciatura del filamento di una delle due ampolle;

         - lunghezza d’onda variabile entro limiti superiori a quelli stabiliti.

 

         f) Il bocchettone per l’innesto dei dipoli sulle casse stagne non riescono a bloccare i dipoli, dando luogo a falsi contatti ed a ossidazioni interne.

 

         g) Le spine maschio per l’innesto dei dipoli si spezzano con facilità, perché di costruzione poco solida.

 

         h) Si verificano sovente falsi contatti tra la morsettiera del ricevitore e del trasmettitore a quella delle rispettive cassette stagne. Tale avaria si riscontra per effetto delle sollecitazioni meccaniche dovute ai tiri.

 

         i) Gli strumenti di misura della Ditta Bacchini, sempre a causa dei comenti a cui sono soggetti, si starano dando scarso affidamento nelle letture eseguite.

 

         k) Le valvole RCH 4 Philips variano le proprie caratteristiche dopo poche ore di lavoro. Ciò è forse dovuto, in parte, all’instabilità delle tensioni.

         Le valvole 955 Fivre si esauriscono dopo poche ore di funzionamento; la costruzione del loro tubo in vetro è debole.

 

         l)  Nel pannello della base tempi si notano falsi contatti negli zoccoli a bicchiere delle valvole EL 3 che danno luogo alla sparizione del cerchio sul tubo a raggi catodici.

 

         m) Col riscaldamento dovuto al funzionamento, il diretto si sposta continuamente verso destra rendendo impossibile, dopo qualche tempo, l’azeramento.

 

         n) Falsi contatti di massa nel trasmettitore provocano saltuariamente lo sdoppiamento del diretto.

 

         o) Falsi contatti si riscontrano anche nei turaccioli protettivi del gruppo FIMET.

p) Le sicurezze disposte su i portelli dell’apparato spesso sono difettose ed interrompono il funzionamento. Il personale è costretto a volte ad adoperare accorgimenti provvisori (eliminazione delle sicurezze corto circuitandole sulla morsettiera del 4° ripiano dell’alimentatore), molto pericolosi per la sicurezza del personale stesso.

 

         q) Le trombe irradiano in parte anche posteriormente, producendo echi di ostacoli che si trovano dalla parte opposta e diminuendo l’energia irradiata utile. (Questo fenomeno si sarebbe verificato sul CARABINIERE, ma non si è in grado di assicurare che le coste stanno proprio nel modo suddetto).

 

         r) Per il funzionamento dell’apparecchio, l’operatore deve compiere alcune manovre molto incomode che vanno tutte a danno della precisione e della prontezza, specialmente in caso che si stiano battendo bersagli aerei. Sarebbe opportuno che l’illuminazione della scala delle distanze fosse comandata da un pedale invece che dallo apposito interruttore sistemato sul pannello di comando. Bisognerebbe anche migliorare la fosforescenza della scala e degli indici di brandeggio.

 

         s) Le unità che hanno sistemato il GUFO, non sono state dotate degli indispensabili materiali di rispetto e strumenti di misura, controllo e lavoro. Risulterebbe che Marinelettro Livorno ha già da tempo proposto al Ministero il materiale di cui le unità dovrebbero essere dotate. Occorre che anche a questo Comando in Capo venga assegnato il minimo di materiale indispensabile per uso dell’Ufficiale A.N. e dei sottufficiali specialisti (non ancora assegnati) addetti al servizio RARI.

         Si allega un elenco del materiale che si propone di assegnare a tale scopo. [omesso]

 

         5°) Concludendo, si esprime l’opinione che il problema dei RARI delle navi, per motivi sopraindicati, è ben lungi dall’essere stato risolto e che occorre prendere al più presto i provvedimenti necessari per accelerarne la risoluzione.

         Tali provvedimenti dovrebbero essere diretti sia a migliorare la formazione del personale destinato all’impiego, sia a migliorare l’efficienza degli apparati.

         Si ritiene inoltre opportuno che presso la Scuola RARI venga eseguita una serie esauriente di prove ed esperienze, con un apparato messo nelle migliori condizioni di efficienza possibili e con personale capace, per accertare quali sono le reali possibilità del GUFO nei riguardi della radiolocalizzazione degli aerei.

 

IL COMANDANTE IN CAPO

           F/to Bergamini

 

 

N.B.: La riproduzione fotostatica  in forma originale del Documento si trova nella Parte Seconda del mio Saggio "I radiolocalizzatori della Regia Marina", stampato in Bollettino d'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare, Dicembre 1995, pagine 128- 132.  Bergamini rincarò la dose delle sue lamentele facendo alcune richieste urgenti per mettere a punto le piattaforme dei "Gufo", per i cui proccedimenti di Marinarmi invito Marticost a provvedervi con urgenza: pagine 133-134.

Edited by Francesco Mattesini
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Interessantissimo rapporto tecnico-operativo sul Gufo.

Il quadro che ne esce è abbastanza sconfortante, in riferimento al fatto che siamo già a metà 1943. Tutte queste anomalie infatti contraddistinguono una normale "dentizione" di ogni innovazione tecnica o scientifica, cosa comprensibile nel 1940 ma davvero fuori tempo nel medio 43. I problemi meccanici sono evidentemente generati da una progettazione dell'apparato, di tipo terrestre e non imbarcata. In una postazione al suolo infatti tutti quei problemi non si verificherebbero pertanto stupisce come l'installazione sia di tipo "affrettato" ma, comunque, con un minimo di tempo a disposizione, risolvibili. Non mi è però tuttora comprensibile come un radar ad onda continua, con installazione non rotante continua si possa pretendere atta al rilevamento aereo di ricerca. Significativo infatti quanto riportato al punto 1°) del rapporto di Bergamini. Il sistema infatti sarebbe stato ben adatto per la telemetria navale (anche aerea ma dopo un puntamento ottico iniziale) ed il tiro d'artiglieria, una volta messo a punto, a patto di:

1) avere una installazione stabile a parte, su apposito traliccio e non solidale con le SDT che aumentano i problemi di massa elettromagnetica (lobi secondari etc) e meccanici, trasmettendo torsioni e momenti meccanico-dinamici complessi.

2) la qualità dei componenti elettronici adeguata. Abbiamo visto infatti che tutta la produzione di tubi elettronici e componenti come i condensatori fosse deficitaria e prestazioni scadenti, poca durata prima di una avaria fossero dovute ai filamenti dei tubi elettronici e isolanti dielettrici autarchici (lo stesso problema del dielettrico autarchico, usato per mancanza della Mica, fece andare in avaria nel agosto '42 un condensatore del trasmettitore sul Cant 1007 di radioguida al S79 "canarino); a ciò purtroppo non si poteva rimediare per mancanza di preziosi materiali strategici se non in piccola parte.

3) il problema della istruzione del personale specialista e anche dell'operatore risulta gravissimo ed evidenzia come, almeno sugli imbarchi, la guerra elettronica fosse gravemente sottovalutata, almeno nel '43.

Interessante come anche nel rapporto si evidenzi la antiergonomia della postazione di controllo, a mio avviso già problematica per l'operatività nella direzione delle artiglierie, figurarsi nel rilevamento navale (comunque accettabile) o quello aereo. Qui proprio si vede come le idee fossero confuse.

4) le forniture germaniche non potevano certo rimediare a tutto ma, si deve convenire, gli italiani pensavano ancora di potersi arrangiare nonostante varie missioni tecniche in Germania ed i fatti d'arme avessero dimostrato l'arretratezza significativa. Eppure a livello di piccole élite c'erano spunti interessanti, come il già ricordato "disturbatore Latmiral" o comunque studi radar del prof. Carrara, Tiberio, Vallauri, Brandimarte e altri ma abbandonati a sé stessi fin dal '36, salvo poi chiedere sforzi impossibili a guerra ormai perduta (Matapan se non prima), aggiungiamo anche i ricevitori IMCA Radio in VHF , su iniziativa privata della ditta, che permisero di riprendere gli ascolti delle comunicazioni con "Gondar radio" (il GCI di Malta) dopo il cambio di banda per le comunicazioni. Eppure nel '39 con l'affondamento del Graf Spee, i servizi di intelligence tecnica alleata avevano notato quella "strana antenna a materasso" del DeTe; tutti tranne i nostri? Possibile nessuno fosse andato a Montevideo?

5) mi stupisce come Bergamini citi il sistema come "RaRi" (plurale di RaRo) terminologia con cui era noto in Regia Aeronautica mentre in Marina doveva essere RDT (Radio Detector Telemetro) e le scuole RaRi: questo significa che tutto si appoggiava sulla RA, che aveva scopi diversi ma tecnicamente uguali.

Infine, non si può per nulla concordare, almeno io, con Iachino. Quella sua frase invece ben rappresenta la mentalità con cui si affrontava un problema tecnologico così innovativo.

Edited by sandokan
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Riguardo al Gufo con antenna a parabola unica, sfogliando il libro (devo lavorare in giardino uffa!) " Aircraft carrier Impero", documentatissimo su quel progetto sorprendente, gli autori riportano quanto scoperto sul "Gufo 2" dalle carte dell'archivio Campagnoli. Tutto coincide con quanto noto come Gufo III che sarebbe una evoluzione derivata dal EC-3bis e ter, in base agli studi ed sperimentazione del Tiberio e basato sulle esperienza germaniche. Dovrebbe quindi trattarsi di un radar tipo impulsivo, con paraboloide rotante di 3 mt di diametro e previsto per direzione tiro navale con possibilità di ricerca/tiro contraereo. Stando a quanto noto doveva avere una portata (posizionato a livello del mare) di circa 30km per rilevamento di bastimenti da almeno 200tons con soprastrutture di 4 metri;

Grossi aerei (rilevante radar cross section quindi) a 1000mt di quota rilevabili sempre a 30km circa.

Distanza minima di rilevamento 800mt (quindi una frequenza di prf bassina e sistemi commutazione Tx-Rx lenti; precisione del rilevamento 50mt (larghezza del lobo); precisione angolare +- 0,5° (viene precisato "con personale mediamente istruito e operante); angolo di apertura del lobo di irradiazione 10-11° dipendendendo dalla frequenza (stabilità in frequenza o possibilità di variarla?)

In questi pochi dati si vede come, finalmente, si sarebbe potuto avere un buon radar imbarcato, anche se lo si voleva polifunzionale che non è il massimo, all'altezza di quanto avevano in servizio gli altri nel '43.

Il allegato la foto della pagina del libro dove è mostrato il progetto Safar di transizione tra i due tipi. In pratica un radar diverso e anche qui un po di confusione regnava.o

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Non c'é nessuna portaerei IMPERO,  che era una corazzata della classe "Littorio" la cui costruzione fu abbandonata poco dopo l'inizio della guerra. La portaerei era l'AQUILA, dal,la trasformazione del transatlantico ROMA.

 

Riporto dal mio saggio:

 

Su consiglio dell’ammiraglio Iachino, a iniziare dalla seconda metà di ottobre 1942, Marinarmi veniva incaricato dallo Stato Maggiore della Marina di fare installare a Livorno i primi due Gufo forniti dalla Ditta costruttrice, allo scopo di “poter incominciare l’addestramento del personale”.[1] Successivamente, con il promemoria n. 49 (“Assegnazione radiolocalizzatori”), n. 50 (“Sistemazione RARI” e n. 55 (“Assegnazione RARI”, rispettivamente datati 15 e 16 novembre e 2 dicembre 1942,[2] l’Ufficio Naviglio di Maristat affrontava, nei dettagli, le precedenze da accordare e i problemi tecnici da attuare sulle singole unità destinate a ricevere i primi radiolocalizzatori di costruzione nazionale e quelli già consegnati dalla Kriegsmarine.

Agendo sulla base di ordini verbali ricevuti dal Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Sansonetti, e sulla base di accordi intercorsi tra l’ammiraglio Borgatti e il generale Matteini, l’Ufficio Naviglio di Maristat affrontò tutta una serie di problematiche. Esse riguardavano, in particolare, la precedenza da accordare per la sistemazione dei radiolocalizzatori sulle unità della flotta, compresi quelli da sistemare sulla nave portaerei Aquila (ex piroscafo da passeggeri Roma), che si trovava ai lavori di trasformazione a Genova, e che avrebbe dovuto essere montato, per le sperimentazioni e per l’addestramento del personale, sul vecchio incrociatore Bari. Fu infine deciso di assegnare i primi due EC.3/ter “Gufo” ai cacciatorpediniere  Mitragliere e Lanzerotto Malocello e, nel contempo, di sistemare i primi due De.Te. tedeschi sul Carabiniere e sul Fuciliere.[3]


[1] Ibidem.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

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